«Come Domina Pearl?» domandò la Maga. Il suo tono era leggero e noncurante, ma aveva gli occhi molto scuri.
«Come Domina Pearl», annuì Camas. «O come voi. O forse come Ducon. Lui è un altro pezzo del rompicapo, credo. È attirato dai labirinti segreti del palazzo, e dagli strani posti di Ombria che nessuno nota, dov’è visibile il confine tra la città e la sua ombra. Non fa che disegnarli.»
«Così voi gli offrite la vostra lealtà, o lo tradite, a seconda del momento?»
«O lui, o Domina Pearl, o voi», rispose Camas, annuendo. Mag lo guardava meravigliata. «Proprio così. Dipende dal momento.»
La maga inarcò un sopracciglio.
Per nulla smontato dal suo silenzio, Camas riprese l’argomento abbandonato poco prima e continuò a far congetture su Faey, sul passato che la circondava e sul rapporto che lei aveva con la città-ombra.
«È vero ciò che dice?» le domandò Mag. «Che la città è sul punto di cambiare?»
La maga scrollò pigramente le spalle. Stava fissando Camas a occhi stretti. «Chi lo sa? Come si può saperlo? Quest’uomo è uno sciocco, ed è molto pericoloso.»
«Cosa vuoi fare con lui?»
«Dargli quello che vuole», rispose subito lei. «Lasciare che si addentri nel passato, finché non ricorderà più la via del ritorno.» Andò a sedersi sul divano, immergendosi di nuovo nella sua forma illusoria, e servì a Camas una tazza di tè. Il tutore apparve d’un tratto meno ciarliero, confuso, e sbatté storditamente le palpebre.
«Cosa… di cosa stavamo parlando?» domandò.
«Mi dicevate del vostro interesse per il passato di Ombria. Quando avrete finito il tè, Mag vi mostrerà la sottocittà.» Gli offrì un piatto con delle tartine coperte di chiaro d’uovo e cioccolata. Nella sua eccitazione l’uomo ne ingoiò una in un solo boccone.
«Non so dirvi quanto è importante per me tutto questo, e quanto vi sono grato. Spero di potervi dimostrare la mia gratitudine in futuro, se tutto andrà secondo i piani.» Camas fece una pausa, sorseggiò il tè e rimase seduto a guardare la tazzina senza sapere perché. Poi si volse a Mag con aria interrogativa. Lei gli restituì lo sguardo con calma, senza pietà. L’uomo scrutò la maga con fare esitante. «Voi non mi avete chiesto niente in cambio. Pensavo che la magia avesse sempre un prezzo.»
«Lo ha», rispose Faey. «Ma consideriamolo uno scambio di conoscenze. Io vi dirò quello che volete sapere, e voi mi direte perché volete saperlo.»
Le palpebre del tutore si abbassarono; i pensieri sembrarono risucchiati via dal suo viso come acqua assorbita nella terra. «Uno scambio giusto», disse in tono convinto, portandosi la tazza alle labbra.
Mag gli mostrò la casa di Faey, dalle stanze dell’attico dove la maga teneva il suo materiale, alla sala a prova d’incantesimi in cui lavorava col calderone. Lui esaminò tutto con interesse, ma mormorò: «Questo è il presente, non il passato. Dove tiene il suo passato?»
Lo trovò negli spettri di Faey.
Essendo uno storico poté riconoscere alcuni di loro, che aveva già visto su antichi quadri: l’obeso mercante pieno di verruche che aveva costruito molti moli di Ombria per la sua flotta di navi; la donna magra e dal lungo naso che aveva dipinto tre generazioni di membri della Casa dei Greve; il calvo e feroce duca dai lunghi mustacchi che aveva organizzato in un esercito i cittadini e difeso Ombria dalle orde di barbari che la attaccavano dalla terra e dal mare; l’adolescente vestito di una palandrana mangiata dalle tarme, che aveva scritto la prima storia di Ombria. Mag non li aveva mai visti in vita sua. Tutti loro parlarono, cosa che la stupì ancor di più. Gli spettri della casa a cui era abituata erano una torma di esseri abulici, che comprendevano le persone del presente ma parlavano solo a quelle del passato.
Era Faey a farli parlare, capì d’improvviso, mentre quelli e altri fantasmi dei tempi antichi continuavano a incrociare il cammino di Camas Erl, sbucando dalle porte senza preoccuparsi di aprirle o alzandosi da poltrone che un momento prima erano vuote. Camas rivolgeva la parola a tutti con grande curiosità, lieto di quella fortuna, e ciascuno di loro rispondeva alle sue domande volentieri, finché era a tu per tu con lui e aveva la sua attenzione. Poi, quando il tutore si lasciava distrarre dall’arrivo di un altro spettro, quello con cui aveva parlato cominciava a svanire. Come se esistesse solo mentre lui lo vedeva.
Tutti quegli spettri, uno dopo l’altro, manovravano per condurlo pian piano e senza parere verso la porta principale. Una donna alta dai capelli bronzei, con occhi verdi assai ravvicinati, che vestiva una lunga tunica in pelle di cervo e aveva una spada agganciata alla cintura, lo accompagnò negli ultimi passi fino alla porta, che Mag aprì per loro. Quando furono all’esterno, l’uomo continuò a parlare e gesticolare rivolto alla sua accompagnatrice armata, attraversando con lei la strada del fiume. Sul ponte l’uomo era atteso da un altro spettro, una femmina evanescente quanto le case semisepolte dell’altra riva. I vetri opachi delle loro finestre riflettevano la luce dei lampioni, quasi che avessero aperto occhi insonnoliti per guardare la scena.
Camas attraversò il ponte e prese a braccetto l’elegante dama in abito di seta color lavanda. Dietro di lui, la guerriera svanì. Mag sedette sulla scala di casa e si limitò a seguirlo con lo sguardo. Gli spettri lo tenevano saldamente in pugno; l’uomo si era già dimenticato di lei. Si chiese quanto lontano Faey l’avrebbe mandato a finire. C’erano parti della sottocittà impenetrabili perfino per lei. Erano così antiche da sembrare poco più che ricordi visibili, e sebbene lei avesse cercato di avvicinarsi le aveva sempre viste retrocedere e mantenere le distanze.
Giocherellando col medaglione che le pendeva dal collo, si domandò se Faey stesse tenendo lontano lo spettro di sua madre. Sempreché sua madre fosse morta, disse a se stessa. Ma non era mai tornata dalla maga per farsi restituire la figlia, forse perché annientata dal ricordo della persona a cui appartenevano le tre gocce di sangue nel medaglione. O forse entrambi i suoi genitori erano morti, e un loro amico aveva portato la bambina su quella scala. I «forse» erano troppi e di troppi generi, e neppure dopo averli considerati tutti lei ne avrebbe saputo di più. Aprì le tre sottili sfoglie del medaglione, il sangue, la rosa, il carboncino. Ciò che lei sapeva della sua storia erano quelle tre parole, nient’altro.
Mentre guardava Camas Erl andarsene e aspettava di essere chiamata da Faey, Mag mescolò le tre parole nelle combinazioni più improbabili. Non importa, si disse. Non importa. Sono sempre riuscita a fare a meno della risposta.
Alle sue spalle la porta si aprì. Un fantasma venne a sedersi accanto a lei, e Mag sentì l’odore del suo sudore. I capelli di Faey ricadevano flosci, e adesso apparivano più bianchi che dorati. Il volto di un ovale candido e perfetto era pallido, gonfio. Gli occhi alonati di viola sembravano stanchi. Ma sulle labbra ancora perfette c’era un sorriso, una specie di striminzita creatura strisciata fuori a fatica dalla bocca della maga.
Mag sentì un dito gelido scivolarle giù lungo la spina dorsale. «Credi che tornerà qui?» domandò.
«Può darsi. Quando avrà abbastanza fame. Ma continuerà a vedere spettri finché avrà voglia di vederli. Ormai siamo noi a essere privi di sostanza, per lui.»
«Domina Pearl sentirà la sua mancanza. L’istruzione del principe è affidata a lui.»
La maga sbuffò. «Le ho fatto un favore, anche se non lo saprà mai. Quest’uomo tradirebbe perfino la sua ombra. E per cosa? Per una favola da bambini.»