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«È soltanto questo?» Mag la guardò. «Soltanto una favola?»

Per un momento gli occhi purpurei divennero scuri, neri come le ombre che Mag vedeva nelle strade vuote e nei terreni deserti, attaccate a niente, spinte a caso qua e là dal vento del tempo.

Ma la maga rispose: «Come possiamo saperlo? Le sue ipotesi sono soltanto parole. Camas Erl è intrappolato nelle sue illusioni».

«Che ne sarà di Lydea, se lui non torna?»

«Suppongo che sarà lei a occuparsi del principe, finché Domina Pearl non troverà un altro tutore. Sa leggere e scrivere, se non altro.» Faey si scostò dal collo i capelli umidi e con un gesto azzittì le domande che stava per farle Mag. «Non ora, mia bambola di cera… ricordare tutta quella storia mi ha stancato molto.»

«Tu l’hai ricordata?» ansimò lei.

«Be’, sì. Una volta sono stata giovane, sai.» Posò una mano su una spalla di Mag e si tirò in piedi. La tenebra aveva lasciato i suoi occhi, ma vi stagnava ancora un’espressione fosca. «Stai lontana dal palazzo. Se Domina Pearl rumina le ipotesi di cui parla Camas Erl, è pazza quanto lui. Senza bisogno che io l’aiuti. Adesso andiamo a cena. Il Nobile Erl mangerà illusioni e si ubriacherà di storia per qualche tempo, prima che qualcuno abbia il piacere di rivederlo.»

«Sì, Faey», mormorò distrattamente Mag seguendo la maga, con una mano chiusa intorno al medaglione come se il petalo, il sangue e il carboncino fossero un talismano. Anche Ducon ha il suo misterioso carboncino, pensò, incuriosita. Mi chiedo cosa vede, quando lo adopera.

«Mag.»

«Sì, Faey.»

«Non dirmi ‘Sì, Faey’ e basta. Ascoltami, questa volta.»

«Sì, Faey.»

21

Questo o quello

Ducon stava disegnando, al confine della città-ombra. Nelle profondità dei passaggi segreti del palazzo, come una falena perversa, il giovane si era lasciato attrarre verso il posto che nessuna luce poteva penetrare. La porta con un montante di legno danneggiato e l’altro dipinto a strisce arcobaleno conteneva una tenebra così palpabile da sembrare, come il carboncino tra le sue dita, un crogiolo in cui qualsiasi cosa poteva prendere forma. Quando lui aveva proteso una candela accesa oltre la soglia, il nero aveva ingoiato del tutto la fiamma; quando aveva provato ad attraversarla lui stesso, non aveva sentito nulla sotto il piede. A volte udiva la pioggia, il verso di un uccello, il fruscio del vento tra gli alberi; più spesso avvertiva soltanto la presenza dell’immensità e del silenzio, come se fosse sull’orlo del mondo.

Non vedeva niente. Così lasciava che fosse il carboncino a immaginare ciò che poteva esserci al di là della porta. E dal carboncino uscivano facce, fantasie di palazzi fiabeschi, grandi boschi, e mari spumeggianti dove navigavano velieri dal bompresso spiraliforme come lo sperone frontale dell’unicorno. Ma un volto continuava ad apparire negli schizzi più diversi e casuali. Ducon trovò quella persona tra i cavalieri che cavalcavano in un bosco, e tra la gente sulla terrazza di un’alta torre. Un uomo che aveva quel volto camminava nel porto, e nella strada di una città che avrebbe potuto essere Ombria, se Ombria avesse avuto finestre fiorite, o il suo porto avesse ospitato una foresta di alberi di navi. Desideri, pensò lui. Sogni. Questo è tutto ciò che contiene il carboncino: il mondo perfetto immaginato da un bambino, una città d’infinite delizie. Tuttavia quel mondo lo seduceva, lo tratteneva dal tornare nella misera e silenziosa stanzetta logorata dalla pioggia, davanti a quella porta piena di niente.

Aggirandosi nel palazzo aveva dovuto essere molto prudente. Domina Pearl aveva ordinato a due guardie di seguirlo dappertutto, e non per la sua sicurezza, sospettava lui, bensì perché era curiosa di sapere cosa facesse quando spariva nelle viscere dell’edificio. Dal giorno dell’attentato lui non aveva ancora visto Sozon e Kestevan, ma non tutti i congiurati erano stati spaventati dalle nuove misure di sicurezza della reggente. Ogni tanto vedeva qualcuno dei giovani, e sapeva che lo stavano tenendo d’occhio. Poteva eludere la sorveglianza delle guardie quando voleva, ma, se i suoi segreti restavano al sicuro, la sua persona non lo era affatto.

Né lo era, evidentemente, Camas Erl, che al termine di una lezione pomeridiana con Kyel aveva lasciato il palazzo e da allora non era più stato visto.

La Perla Nera si mostrò assai irritata per la sua scomparsa, benché il vecchio cortigiano fosse un semplice tutore.

«Prima sparite voi», sbottò, dopo aver convocato Ducon nella biblioteca per interrogarlo. Kyel e Lydea si tenevano in disparte. Entrambi apparivano indifferenti, come se l’assenza del tutore non li riguardasse, ma Ducon sentiva che la giovane donna frenava a stento l’impulso di mangiarsi le unghie. «E ora, Camas Erl. Dove può essere andato?»

«Non ne ho idèa», rispose lui. Ed era la verità. Fino a poco prima avrebbe giurato che la responsabile di quella sparizione era Domina Pearl.

«Voi gli siete sempre stato vicino. Dove va, di solito? Di cosa si occupa?»

«Trascorre qui tutto il suo tempo libero», rispose lui, stringendosi nelle spalle. «Legge, e lavora alla sua storia di Ombria. Forse è andato a fare altre ricerche.»

«Quando dovrebbe tenere lezione al principe? E senza avvertirmi?»

«Sì, questo è improbabile.»

«Vi risulta che ci sia qualcuno che lo vuole morto?»

«Per quale motivo?» replicò Ducon. «Perché qualcuno dovrebbe voler uccidere un vecchio insegnante? Forse si è recato in qualche quartiere malfamato, anche se non è da lui essere così imprudente. Potrebbe esser stato ferito.»

«Voi conoscete i sobborghi meglio di chiunque altro. Andate a cercarlo. No, un momento.» Chiuse gli occhi e si sfiorò la fronte con le unghie, nere e curve come dorsi di scarafaggi. «Per ora, restate qui col principe. Fategli lezione voi, quando la ragazza avrà finito l’ora di calligrafia. Non voglio lasciarli soli, neppure con la presenza delle guardie. Andrete a cercare Camas più tardi, quando avrete finito. Sono certa che voi conoscete i vicoli più reconditi e i buchi dove si rintanano i topi di fogna più pericolosi. Prendete un’arma, e fatevi scortare da una guardia di palazzo. Cercate di essere prudente.»

Lui annuì, e la guardò uscire come una tromba d’aria, sorpreso che nella sua furia non si risucchiasse dietro un vortice di libri e di fogli sciolti.

KyeL che fissava apaticamente la carta e il calamaio, pronunciò sottovoce il nome di lui in segno di saluto, poi chiamò: «Lydea».

«Mio signore Kyel, sono la maestra Spina.»

Lui sì voltò a guardarla. Quando la speranza fiorì dalla muta e stanca disperazione, il cambiamento del suo volto fece venire un nodo in gola a Ducon.

«Io sono il principe di Ombria», sussurrò Kyel. «E tu sei la mia rosa segreta.»

«Sì, mio signore.» La giovane si lasciò scrutare dal suo sguardo affascinato, ma il bambino non riuscì a vedere nessuna rosa segreta nel volto composto e freddo della maestra Spina. «Nobile Ducon», disse lei, «tu hai qualche idea…»

«Nessuna.»

«Temo che se la reggente indagasse sulla mia istruzione, durante l’assenza di Camas Erl, non ne sarebbe troppo compiaciuta.»

Lui si portò un dito alle labbra. «Anche i calamai hanno orecchi. Sembra che questo non ti preoccupi molto, maestra Spina.»

«Se tu andrai via», disse Kyel alla ragazza, «io verrò con te.»

«Mio signore», rispose cautamente lei, «non ho intenzione di andarmene, prima che tu abbia imparato a scrivere la storia del ventaglio in parecchie lingue.»

«Ci vorrà molto tempo?»

«Moltissimo tempo», annuì lei, «dato che prima dovrò impararle io. E ora, visto che qui c’è tuo cugino, forse faresti meglio a imparare a scrivere il suo nome, nel caso che tu ne abbia bisogno.»