Kyel si mise volonterosamente al lavoro. Ducon restò un poco a guardarlo, godendosi la piccola isola di pace che avevano costruito in quel luogo inquieto e pericoloso. Non sarebbe durata molto. Ma per il momento, almeno, il bambino ricordava di avere un cuore.
Ducon rimase con loro, e insegnò a Kyel ciò che sapeva sugli scorpioni, le onde di marea e altri argomenti a caso, cercando di tenere in vita la luce di vivacità nei suoi occhi.
Quando la Perla Nera tornò a prendere il bambino nel primo pomeriggio, Ducon rientrò nel suo alloggio, seguito dalle guardie assegnate a lui, per munirsi degli attrezzi da disegno e della spada che non si era mai preoccupato di portare, fuorché nelle cerimonie di corte. Uscì da una porta segreta accanto al camino della stanza da letto, e scese da solo nel cunicolo che conduceva alle cantine e in strada, attraverso i giardini posteriori.
La ricerca di Camas Erl era un problema che lo trovava del tutto impreparato. Ma Lydea aveva ragione: se Domina Pearl fosse stata costretta a metterla al posto dell’anziano tutore, l’incantesimo della maga non avrebbe retto a un esame più ravvicinato da parte sua. La ragazza sarebbe stata ritrovata sotto un molo col collo spezzato, e Kyel sarebbe diventato un cadavere vivente. Di conseguenza lui doveva scoprire dov’era finito Camas Erl.
Fece indagini nelle taverne e nei bordelli che conosceva meglio, ma senza risultati. D’altro canto, se Camas fosse stato interessato a quel genere di locali, gli avrebbe chiesto di accompagnarlo. Il vecchio cortigiano era astemio e pudico; l’idea che entrasse da solo in un posto come il Bacio dello Sgombro a tracannare birra e cercarsi una femmina era semplicemente ridicola.
Al tramonto, Ducon ritornò a palazzo, convinto che cercare in città era inutile e che Camas doveva essersi perduto nel labirinto sotto l’edificio. Risalì nel suo alloggio lungo il percorso da cui era uscito, depose la scatola da disegno e mise la testa fuori dalla porta per dare una voce alle sue guardie. I due uomini erano furiosi con lui, ma non avevano ancora trovato il coraggio di riferire a Domina Pearl che si erano lasciati imbrogliare da Ducon Greve. Quando il giovane disse loro che non si era mai mosso da lì, decisero che conveniva fingere di credergli e continuarono a piantonare l’appartamento, mentre lui, tornato in camera da letto, usciva ancora nei passaggi segreti.
Stava seguendo un percorso a caso, nel tentativo di mettersi nei panni di Camas per capire quale direzione il vecchio avrebbe trovato più invitante, quando udì le voci.
Subito si fermò e tese le orecchie.
C’era un tramestio oltre una parete, ogni tanto una parola, il cigolio di un’asse del pavimento. Fu sul punto di chiamare Camas, ma tacque. C’erano troppi piedi. Sembravano muoversi in un corridoio parallelo al suo, o attraverso varie camere adiacenti dall’altra parte del muro. Guardie alla ricerca di Camas? Ma le guardie di Domina Pearl non si muovevano furtive, né bisbigliavano. Ducon strinse i denti.
Per lui fu facile aggirare i giovani cospiratori; essi non avevano idea di dove portavano quei labirinti di stanze e cunicoli dimenticati. Tornò indietro, scivolò oltre un paio di porte e spense la candela. Quasi subito li vide in un corridoio poco più avanti, con le facce illuminate dalle loro candele e concentrati, ansiosi. Aprivano le porte, esaminavano brevemente ogni stanza e proseguivano, cercando di non far rumore, a parte il loro scalpiccio cauto e qualche mormorio di commento.
Ducon li pedinò con prudenza, chiedendosi se lo avrebbero portato fino a Camas. Non riusciva a immaginare cosa stessero cercando. A un certo punto si separarono per esplorare un insieme di locali nei quali, come lui sapeva, non c’era niente, a parte le ragnatele, i topi, e le impronte che lui aveva lasciato nella polvere. Si nascose a pochi passi dal punto in cui prevedeva che si sarebbero di nuovo raggruppati, e riuscì a sentire i loro sussurri.
«Dev’essere in un’altra ala del palazzo. Qui non c’è niente.»
«Ducon potrebbe saperlo.»
«Non possiamo domandarlo a lui; si chiederebbe perché ci interessa. E poi, se ci tradisse con Domina Pearl come ha tradito Hilil Gamelyn?»
«Ancora non l’ha fatto. E credo che non denuncerebbe nessuno a lei. La odia.»
«Lei non gli ha ancora tolto niente.»
«È un bastardo; non ha niente. Non ha terre, non ha titoli di proprietà, non ha nulla da perdere fuorché un letto qui a palazzo e una rendita controllata dalla reggente. A differenza dei nostri padri.»
Un altro disse: «È incredibile fin dove osa spingersi. Ieri ha detto a mio padre che ogni nave che fa scalo a Ombria dev’essere considerata di proprietà del principe di Ombria, compreso il suo carico. Si è già impadronita dei moli e delle tasse portuali, per i suoi pirati. Ora ci sta rubando le navi. Mio padre ne ha una dozzina in navigazione, e non c’è modo di avvertirle».
«Ha confiscato tutte le terre di mio zio, che appartengono alla nostra famiglia da generazioni», aggiunse un altro, con tutta la veemenza che si poteva mettere in un sussurro. «Gli ha mostrato una mappa disegnata secoli fa, quando quelle terre erano della Casa dei Greve. Prima che fossero date alla mia famiglia! Ha detto che furono donate illecitamente, e che avrebbero dovuto essere reclamate cent’anni fa. Secondo mio zio, lei vuole il legname di quei boschi per costruire altre navi.»
«Il motivo è chiaro. Nessuno attraccherà più qui, a parte le sue navi. Ombria dipenderà del tutto dai suoi traffici marittimi e dai prodotti delle terre che lei ha rubato.»
«Non abbiamo molto tempo da sprecare in questa ricerca, e nessuno di noi sa niente di veleni. Io dico di travestirci da guardie e soffocare il bambino nel suo letto.»
«Il veleno è più sottile, e farebbe cadere i sospetti sulla Perla Nera.»
«Potremmo avvelenare lei, invece di Kyel.»
Ducon sentì una morsa allo stomaco, mentre il cuore accelerava le pulsazioni. Posò la fronte contro la porta e si accorse che stava sudando freddo. Il peso della spada che aveva al fianco diventò una feroce tentazione, ma si costrinse ad ascoltare.
«Ne abbiamo già parlato. E ci siamo trovati d’accordo.» I loro sussurri li rendevano anonimi. Lui non riusciva ad accoppiare quelle voci a nessun volto. «Lei è troppo imprevedibile. Ducon è abbastanza informato e astuto da riuscire a ucciderla, ma rifiuta di agire contro di lei. Se pensasse che lei ha ucciso Kyel…»
«La ucciderebbe. Sicuro. Così finirebbe il regno della Perla Nera. E nessuno sospetterebbe di noi.»
«Ma se…»
«Non dev’esserci nessun ‘se’.»
«Lei potrebbe incolparne Ducon.»
«Nessuno le crederebbe. Ormai ne ha fatte troppe.»
«E se fosse lei a uccidere Ducon, quando lui la attaccherà?»
Seguì un breve silenzio. Stringendo l’elsa della spada con tale forza che le sue dita sembravano fondersi col metallo, Ducon trattenne il respiro e aspettò, mentre loro riflettevano.
«Allora avremmo perduto», commentò qualcuno, con un fil di voce. «Non ci resterà che andarcene da Ombria, come i topi abbandonano la nave che affonda.»
«Ma dov’è che quella donna tiene i suoi veleni, in questo labirinto?»
In quel momento Ducon aprì la porta. Aveva sfoderato la spada con ferocia istintiva, e la lunga lama d’argento catturò la luce delle candele mentre si sollevava, in un lungo e strano momento durante il quale ogni viso si girò verso di lui, imprimendosi a fuoco nella sua memoria. Poi la punta dell’arma si appoggiò sul colletto ricamato del più acceso tra i cospiratori, che sbarrò gli occhi. Ducon ebbe l’impressione di guardarsi dall’esterno, e in quel silenzioso intervallo di tensione seppe che se un solo muscolo si fosse mosso sulla gola dell’altro sarebbe stata la lama a decidere per lui. Il giovane che aveva di fronte era immobile, pallido come la sua candela; intorno a lui nessuno osava respirare.