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La spada ebbe un fremito nella mano di Ducon; la luce balenò su e giù lungo la lama. La furia che poco prima l’aveva indotto a vedersi dall’esterno, freddamente, ora si accendeva come fuoco nelle sue vene. Il giovane abbassò lo sguardo sulla punta che gli premeva nel collo e aprì la bocca per parlare.

«Stai zitto», lo consigliò Ducon, con voce così bassa che la fiamma della candela non ne avvertì l’alito. A parlare era soltanto la spada, senza parole, e il suo era un silenzio rabbioso che non ammetteva discussioni. Infine lui la ritrasse, e con tutta la sua forza abbatté un fendente di traverso sul muro. La goccia di sangue che aveva raccolto dalla piccola ferita sulla gola dell’altro si sparse sull’intonaco, come un pulviscolo di smeraldi. Il giovane indietreggiò, portandosi una mano al collo, e un conato di vomito lo fece piegare in due.

Ducon rinfoderò la spada, con mano tremante. Nessuno cercò di parlare. Il giovane che si era sentito sfiorare dalla morte si raddrizzò lentamente, dolorosamente, e, appoggiandosi al muro, si voltò verso di lui. La passione che gli bruciava nello sguardo lo aveva abbandonato; i suoi occhi stanchi, disperati, ricordarono a Ducon quelli di Kyel.

Li guardò, tenendo la voce sotto controllo. «Se Kyel muore, vi ucciderò tutti. Uno dopo l’altro. Ho disegnato le vostre facce.»

«Mio signore…» mormorò il giovane, a disagio.

«La Perla Nera, lasciatela a me.»

22

Due tutori assenti

Il mattino successivo, quando Ducon bussò di buon’ora alla porta di Lydea, la ragazza si accorse che appariva diverso. Come lei, anche Ducon quel giorno non portava il suo vero volto; a nasconderlo c’era una maschera rigida e seria, dagli occhi guardinghi. Lo sconosciuto che la maestra Spina ricevette nella sua camera non fece preamboli, quasi che anche lei fosse solo un’estranea.

«Non sono riuscito a trovare Camas Erl. E ho scoperto che la vita di Kyel è in pericolo.»

Lydea sentì il sangue salire dal viso. Ma la maestra Spina unì compostamente le mani e domandò, con calma: «Cosa mi consigli di fare?»

«Non lasciarlo un momento, quando sei con lui. Soprattutto se qualcuno che non ti aspetti entra in biblioteca.»

«Tu sarai con noi, però», gli ricordò lei, all’improvviso poco sicura anche di questo. Lui non lo era di più; si passò una mano sul viso, toccando l’escoriazione senza volerlo, e fece una smorfia.

«Questa mattina, Domina Pearl si consulterà con i suoi consiglieri», mormorò, attribuendo quel titolo civile agli individui che la donna aveva prelevato dai bassifondi del porto per introdurli nella sala del consiglio. «Non si accorgerà della mia assenza.»

Lydea deglutì a vuoto. «E dove andrai?»

«Ho intenzione di cercare subito un certo posto, un posto segreto», rispose lui sottovoce. «Non appena lo avrò trovato, tornerò qui, possibilmente prima che lei venga a portarsi via il principe. Se qualcuno entrasse in biblioteca quando sei sola con lui, chiama le guardie. Se Domina Pearl arrivasse mentre non ci sono, dille che ho sentito delle voci su Camas Erl e sono andato a indagare.»

«Cosa… cosa dovrò insegnare al principe?» balbettò lei, spaventata a quel pensiero.

«Qualsiasi cosa. Non importa.» Lui si chinò a raccogliere un libro tra gli oggetti disseminati sul pavimento accanto al letto. «Stavi studiando? Cos’è questo?»

«Un libro di racconti. Camas mi ha chiesto di leggerlo, e di annotare i riferimenti con la storia del ventaglio.»

«La cosa?»

«La città-ombra. In attesa di quella che lui chiama ‘la trasformazione’. Crede che sia una cosa vera.»

Ducon la guardò in silenzio, con un’espressione che lei non riuscì a decifrare. «E tu?»

«Non saprei. Come si fa a saperlo? Se è una cosa accaduta davvero, nessuno la ricorda. Eppure si può vederne la storia in tutti quei libri. Scivola fuori senza che nessuno se l’aspetti, come il sole in un giorno nuvoloso, un bagliore di luci attraverso il mondo. E poi se ne va. Ma non abbandona il tuo cuore altrettanto in fretta. Il cuore ricorda. E così il racconto si fa strada nella storia.»

Lui la stava ancora guardando. Lydea vide la luce passargli negli occhi trasformandoli in argento, e infine lasciarli di nuovo freddi, metallici. «Strano», sussurrò lui. Poi ritrovò la voce. «Forse è questo che è successo a Camas Erl.»

«Cosa?»

«È stato trasformato.»

«Ducon…» Le mani di lei, ancora strette insieme, erano gelide. «Ho molta paura.»

«Sì.» Hai motivo di averla, le disse il volto di lui. Le si avvicinò e le prese le mani. Anche le sue non erano troppo calde, ma la voce suonò meno lontana. «Tu», disse dolcemente, «sei l’insegnante del principe, e la maestra Spina è una donna forte e capace. È in lei che Kyel ha riposto il suo cuore, e lei non deve cederlo a nessuno.»

«Dove vai?» volle sapere Lydea. «Cosa vai a cercare?»

Ma lui non rispose.

Poco più tardi Ducon la raggiunse in biblioteca, e insieme aspettarono l’arrivo della reggente e del principe. Con labbra così strette che la sua bocca sembrava quella di una tartaruga, la Perla Nera gettò lì alcune secche osservazioni sull’assenza di Camas Erl. Lydea si aspettava che l’atmosfera temporalesca intorno a lei rombasse di tuoni e crepitasse di fulmini da un momento all’altro. Con suo sollievo la donna non si trattenne. Doveva occuparsi di affari urgenti, disse a Ducon, esasperata: lui sarebbe rimasto lì a far lezione a Kyel, e poi avrebbe continuato a cercare Camas.

Non appena restarono soli, Lydea sedette accanto al principe, lo salutò nel loro modo privato e fu ricompensata nel veder sorgere il sole del riconoscimento nei suoi occhi. Quando si voltò a cercare Ducon con lo sguardo, si accorse che era già uscito.

La maestra Spina proseguì la lezione con calma; Kyel non notò nessun nervosismo in lei. Ma quando, dopo circa un’ora, la ragazza passò dalla calligrafia alla storia, lo sentì diventare inquieto. La sua non era la voce della storia, e Ducon era l’altra solida roccia a cui Kyel poteva aggrapparsi nella corrente ostile della sua vita. Si voltò verso il tavolo alle loro spalle, dove il giovane sedeva a disegnare quando aspettava che loro due finissero l’ora di calligrafia. Poi la guardò e con strana calma disse: «È Ducon che mi insegna storia».

«Ducon ha altro da fare, mio signore. Oggi il tuo tutore sono io. La cosa ti dispiace?»

Lui scosse il capo, senza mostrare nessun dispiacere, e le si accostò, per guardare il libro dal quale leggeva e seguire il suo dito che scivolava da una parola all’altra.

Ducon fece ritorno così in silenzio che lei non si accorse della sua presenza finché, lottando su un elementare calcolo matematico che li stava costringendo a contare sulle dita, si guardò attorno come a supplicare disperatamente qualcuno.

Lui era lì che leggeva, con le lunghe gambe accavallate, un gomito posato sul tavolo e una mano sulla fronte per ombreggiarsi gli occhi da un raggio di luce.

Lydea si sentì sciogliere per il sollievo. Tornò a essere la maestra Spina, impantanata in un groviglio di numeri, e aprì la bocca per chiedere il suo aiuto.

Dalla porta più lontana della biblioteca provenne l’eco di un passo. Un’ombra, simile a una figura senza volto, distesa sul lucido pavimento, attraversò la soglia. Lydea trattenne le parole in gola e la guardò. Ducon non si mosse, ma girò un poco la testa bianca e cambiò la posizione delle dita a cui posava la fronte. Dava le spalle alla porta, e lei lo vedeva di profilo, ma notò che si era irrigidito. Nonostante la sua posa languida era teso e attento. Chiunque si fosse avvicinato alla porta non entrò. L’ombra li osservò per un poco; Lydea guardò l’ombra.

Poi essa si volse e scomparve dopo un paio di passi, senza fretta. Kyel le toccò una mano. «Maestra Spina», disse con la cautela che aveva imparato per sopravvivere, «possiamo usare i pollici, per contare?»