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«Io li uso sempre», annuì la maestra Spina. Guardò il principe che contava e poi intingeva la penna nel calamaio per scrivere il risultato: un uovo, con una coda ricurva sul dorso come quella di un cane. In quel momento una serie di passi rapidi fece ancora sussultare Lydea. La maestra Spina si volse con calma aggraziata, inarcando un sopracciglio, e ciò che vide fu Ducon che entrava dalla porta principale della biblioteca. Gli occhi di lei si spalancarono. La sua bocca dimenticò di respirare.

Ducon venne a fermarsi vicino a loro, accennò al libro rimasto aperto sul tavolo accanto e domandò: «Camas è tornato?»

No dissero le labbra di lei, senza suono. Con uno sforzo si alzò e ritrovò la voce. «Continua a fare pratica con i numeri, mio signore, mentre io parlo con tuo cugino.»

Ducon la seguì dall’altra parte della sala. Nel vedere l’espressione tesa di lei si rabbuiò in viso. «Che succede?» le domandò.

«Qui c’era qualcuno», mormorò lei.

«Qualcuno chi?»

«C’eri tu», rispose lei, con un tremito. «Stavi a quel tavolo, e leggevi.» Ducon passò il libro nell’altra mano e le strinse un braccio. «E poi qualcun altro ha cercato di entrare. Chiunque fosse, ti ha visto seduto là, e se n’è andato.»

Lydea lo vide diventare pallido come un morto. Le lasciò il braccio e andò a sedersi al tavolo. Cercò di parlare, deglutì, poi all’improvviso i suoi occhi s’inumidirono e lei vide con sorpresa che stava piangendo.

«Quello non ero io», sussurrò Ducon.

«Sembravi tu.»

«Lo hai visto chiaramente in faccia?»

«No. Tu avevi… lui aveva una mano sugli occhi.» Lydea si sentì chiudere la gola, senza capire il perché. «Ducon, chi era quell’uomo?»

«Una delle facce uscite dal mio carboncino. L’ho visto per la strada; l’ho visto in sogno. L’ho visto nella tenebra assoluta, nel cuore dei passaggi segreti del palazzo. Sul confine tra la luce e l’ombra.»

«Lui è te?» domandò lei, incredula.

«No. Se si fosse lasciato vedere in faccia, avresti intuito, anche senza conoscerci entrambi, che potrebbe essere mio padre.»

Lei spalancò gli occhi. Sentì l’incantesimo che le proteggeva il viso diventare fragile come una ragnatela. Ducon la toccò, con un’occhiata d’avvertimento. Subito lei unì le mani davanti all’addome, e la sua maschera quieta tornò a prendere il sopravvento sul suo vero volto.

«Nobile Ducon», disse sottovoce, «forse dovresti mostrare al principe in che posizione tuo padre potrebbe trovarsi, sull’albero genealogico della famiglia.»

«Per trovare la posizione di mio padre, maestra Spina», rispose lui, un po’ scosso, «credo che ci sarebbe bisogno ci un diverso albero genealogico.»

Quando la reggente venne a prelevare il principe, trovò tutto come si aspettava: Ducon occupato a condurre Kyel attraverso una complicata regola grammaticale, e la maestra Spina seduta a leggere dall’altra parte della sala, in attesa di essere messa in libertà.

Quando uscì, la ragazza portò un libro con sé. Era quello che il misterioso sconosciuto aveva cominciato a sfogliare prima di sparire: un’antologia di racconti per bambini. Sembrava una strana scelta, per un uomo che aveva viaggiato tra i mondi in risposta alle necessità di suo figlio. Il padre di Ducon, pensò, perplessa. Il mistero non risolto della corte di Ombria. Chi era costui, nel suo mondo? E come aveva fatto la sorella di Royce a risvegliare la sua attenzione, ad attirarlo oltre l’elusivo confine tra la luce e l’ombra e il tempo? O era stata lei ad andare da lui?

Oppure si erano incontrati alla congiunzione dei loro mondi, il posto dove l’aria e l’acqua si baciavano, e dove il fuoco al calor bianco scaturiva direttamente dal cielo per bruciare la terra?

La madre di Ducon non lo aveva mai detto. Si era limitata a partorire quel suo figlio dai capelli bianchi che, se Ducon aveva intuito giusto, apparteneva a entrambi i mondi, uno impenetrabile e l’altro assai poco sicuro per la sua sopravvivenza.

Mentre mangiava da sola nella sua stanza, Lydea cercò d’immaginare dove lui fosse andato quel mattino, e cosa stesse macchinando a sua insaputa. Poi continuò a leggere il libro che lo straniero aveva scelto. Non fu affatto sorpresa quando capitò su un’arcaica versione della storia del ventaglio.

Il mattino successivo, il protrarsi dell’assenza di Camas Erl non aveva migliorato l’umore della Perla Nera.

«Venite con me», disse bruscamente a Ducon. «Voi vi siete introdotto nelle mie stanze private, cercando di ficcare il naso in segreti che non vi appartengono, per la curiosità di scoprire ciò che so e ciò che faccio. Io posso rintracciare Camas Erl, ma ho bisogno dell’aiuto di un uomo intelligente, forte e discreto. Lui non è qui a darmi una mano, perciò voi dovrete prendere il suo posto.»

Ducon fece per dire qualcosa, poi esitò. L’escoriazione sulla tempia era rossa contro l’improvviso pallore del volto, come se lei lo avesse schiaffeggiato. La donna gli rivolse il suo sorriso ferino.

«Voi vi fidate troppo facilmente, come vostro zio. Per tutti questi anni io ho insegnato a Camas, così come lui insegnava a voi. L’ho trovato un uomo utile, e non voglio perderlo. Ma se mi avesse tradito, allora voi mi aiuterete a ucciderlo. Io ho i miei metodi.»

Ducon non riuscì a trovare nulla da dire. Lydea, col cuore che le batteva forte, lottò contro l’impulso di attrarre più vicino a sé l’apatico Kyel. Perfino la maestra Spina stava sbattendo rapidamente le palpebre, agitata. Infine Ducon disse, con voce rauca: «Perché io? Qualunque sfegatato preso dalla strada potrebbe andarvi bene. Perché rivelare a me i vostri poteri segreti?»

«Perché», rispose lei, sprezzante, «mi avete dimostrato che da voi non ho niente da temere.» Chiamò le guardie in biblioteca per vegliare sul principe. «Non lasciate entrare nessuno», ordinò. «Prendete prigioniero chiunque arrivi qui.» Fermandosi su Lydea, il suo sguardo lampeggiante non prometteva niente di buono. «Voi siete stata scelta da Camas e per il momento dovrò fidarmi. Ma se parlate di questa faccenda, vi farò tagliare la lingua e la getterò nella fogna.»

La maestra Spina chinò la testa, in silenzio. La Perla Nera scrutò il giovane principe, ma nella sua espressione assente nulla le fece sospettare che avesse prestato attenzione alle sue parole. Quindi rivolse a Ducon un gesto imperioso, e lui la seguì fuori dalla sala senza guardarsi indietro.

La maestra Spina si accorse di tremare. Sedette accanto a Kyel e restò in silenzio finché sentì l’imperturbabile maschera dell’incantesimo ricoprire i suoi pensieri. Si accorse però che il bambino aveva compreso qualcosa, perché le si appoggiò a una spalla per essere confortato ancor prima che lei pronunciasse il suo nome.

Quella notte, con sollievo di Lydea, Ducon andò a farle visita nell’ora più buia. Il giovane aveva con sé una candela e la usò per accendere quelle della stanzetta, mentre lei si toglieva i capelli dal viso e scacciava gli ultimi rimasugli dei suoi brutti sogni. Nel guardarlo in silenzio la ragazza lo trovò pallido, con gli occhi cerchiati per la stanchezza e un’aria stordita. Sedettero sul letto, uno accanto all’altra, e lui si passò una mano tra i capelli sudati e scarmigliati.

«Lei ha aperto la porta per me», sussurrò, non molto chiaramente, «e io l’ho seguita là dentro. Avevo cercato quella porta dappertutto.»

«La porta della sua stanza segreta, vuoi dire?»

«Il posto dove lei lavora. Ci dorme, anche», aggiunse. «Dentro una specie di bozzolo. Credo che ogni notte quell’affare ripari la sua malridotta carcassa.»

«Ha trovato Camas?»

«In un certo senso. Sembra che lui sia andato a vagabondare nella storia. E ha parlato con un sacco di spettri. Io ho dovuto girare per lei gli specchi che usa per guardare in vari posti, e dirle ciò che so delle zone di Ombria su cui essi si aprono.»