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Lui s’irrigidì. «Ci stavi ascoltando?»

«Vi ho anche seguiti al molo.» Mag distolse lo sguardo improvvisamente a corto di parole. «Dovevo prendere una certa decisione. Su di te. Su me stessa.»

«Ah, ricordo», annuì lui, tornando impassibile. «Lydea mi ha detto che mi stavi spiando. Cercavi di decidere se io avrei dovuto vivere o morire.»

«Se aiutare o no Faey nell’incantesimo ai tuoi danni», lo corresse lei. «Poi, però, non ho potuto far niente. Pensavo di sabotare l’incantesimo mentre lo stava costruendo, ma lei non mi ha lasciato il modo di agire; ho tentato di rubarlo, ma lei lo aveva nascosto; ti ho cercato dappertutto per avvisarti, ma non sono riuscita a trovarti…»

«Perché?» la interrogò lui. «Dopo quello che avevi sentito nella taverna e sul molo, perché hai voluto aiutarmi?»

«Quella notte, dopo il funerale, quando tu sei stato chiamato per fare compagnia a Kyel che aveva avuto un incubo, io ero sotto il suo letto.» Ducon, stupito, cercò di parlare, ma nulla gli uscì di bocca. «Io non potevo andarmene, per causa delle guardie. Kyel aveva fiducia in te. E tu sei rimasto sveglio tutta la notte per rincuorarlo. Tu vai dappertutto a Ombria, non hai paura di niente.» Mag guardò il secchio che lui le aveva riconsegnato. «Neppur di essere gentile con una serva.»

Lui la guardò intensamente. «Tu vedi la mia vita con più chiarezza di me.»

«Alla fine non ha fatto differenza», disse lei. «Non ho potuto salvarti da Faey.»

«Ci ha pensato lei a salvarmi. Dopo aver cercato di uccidermi.»

«Per lei è solo una questione di affari.»

«Ma perché sciogliere l’incantesimo e lasciarmi vivo?».

«Faey è fatta così», sospirò Mag. «Neppure io la capisco, a volte.»

«Ambiguità», disse lui, pensierosamente. «Come il carboncino. Era così pieno di magia che non potevo metterlo giù. Sarebbe stata la morte per me, ma avrei lottato contro chi volesse togliermelo. E tu, che tentavi di salvarmi da una stregoneria quando non sapevo neppure che tu esistessi. Lydea dice che l’avrebbero uccisa, quella notte, se non fosse stato per te. Ma chi sei? Da dove vieni?»

«Speravo che questo potessi dirmelo tu.» Mag s’infilò un dito nella scollatura e ne trasse fuori la catenella d’oro. Aprì il medaglione e girò la sottile sfoglia di vetro per mostrargli il carboncino. «Appena nata, qualcuno mi ha abbandonata sulla soglia della casa di Faey, dentro un cestino. Lei mi ha detto che avevo questo al collo. Ho visto i disegni che tu hai fatto con quel carboncino magico. Speravo che anche in questo ci fosse della magia. Ho pensato… ho pensato che forse qui dentro c’è il viso di mia madre.»

Ducon prese il medaglione per guardarlo più da vicino e toccò il carboncino con un dito.

«Forse è così… Che strano. Sangue, un petalo di rosa e un carboncino da disegno. C’è tutta una storia.»

«Lo so. Ma quale? Per favore», lo pregò lei. «Disegna con questo. Adesso, se hai il tempo.»

«Il tempo è proprio quello che non ho, stamattina.» Ducon tacque, sentendo una porta aprirsi. Una donna corpulenta vestita di nero uscì in corridoio e si allontanò, facendo tintinnare delle chiavi a ogni passo. Richiuse con cura il medaglione e lo restituì a Mag. «La Perla Nera mi ha ordinato di andare nella sottocittà a prendere Camas Erl. Come ha fatto a trovare la strada per scendere? Faey sa che è laggiù?»

«Sì. L’ho portato io da lei.»

«Tu?»

«Stavo cercando te, nei passaggi segreti del palazzo, dopo che Faey ti aveva mandato il carboncino…»

«Com’eri riuscita a entrarci?»

«Ti avevo visto sbucare da una porticina nascosta, quella dietro la grande urna panciuta.»

«Vai proprio in giro dappertutto», si stupì ancora lui.

«Be’, quel giorno sono andata dove non avrei dovuto. Domina Pearl mi chiuse in trappola nella sua biblioteca, senza sapere che ero lì. A trovarmi fu Camas Erl. Mi lasciò libera, ma mi fece delle domande, e dovetti promettergli che lo avrei portato da Faey.»

«Dunque è stato così», mormorò Ducon. «Ma perché?»

«Lui ha certe idee… lui pensa…» Mag scosse il capo, perplessa. Un’altra porta si aprì e si richiuse. Lui la condusse più lontano dalla luce della candela. «È un uomo capace di tutto per raggiungere i suoi scopi, anche se non hanno molto senso. Non ti converrebbe lasciarlo dov’è? Finché quello vaga tra gli spettri, tu sei più al sicuro.»

Ducon scosse il capo. «Per il momento», disse, accigliato, «devo fare quello che mi è stato chiesto.» La prese per un braccio, senza badare allo sguardo perplesso di una giovane serva di passaggio. «Ma voglio che tu mi aspetti.»

«Dove?»

Ducon la condusse oltre l’angolo e poi lungo il corridoio. «Tornerò al più presto. Poi vedremo cosa verrà fuori dal tuo carbone.»

Il giovane aprì una delle tante porte identiche del seminterrato. Una ragazza in sottoveste, china su un catino, alzò il volto gocciolante, sorpresa dal loro ingresso.

«Questa è la maestra Spina», la presentò lui. «Rosa, la lascio con te. Non andartene da questa stanza prima del mio ritorno.»

Mentre il giovane chiudeva la porta, la ragazza si sciacquò in fretta il sapone e sorrise.

«Mag!»

Mentre s’infilava rapidamente l’abito semplice, Lydea raccontò all’amica come mai si trovava lì, mascherata da un incantesimo e sotto lo stesso tetto della Perla Nera. Mag la guardò più da vicino, ma non riuscì a vedere traccia del bel viso triste della ragazza che una notte le aveva tirato addosso le sue scarpe costellate di zaffiri. Faey aveva fatto molto bene il suo lavoro.

La serva che distribuiva la colazione bussò alla porta; Lydea condivise il cibo con Mag. Si passarono l’una con l’altra la tazza del tè, mentre Mag le mostrava il medaglione e spiegava perché era venuta a cercare Ducon.

Non appena finito di mangiare, Lydea si alzò. «Devo andare. Sarò sola con Kyel, fino al ritorno di Ducon. Tu conosci una lingua straniera?»

Mag annuì, sorpresa. «Un ex contrabbandiere me ne ha insegnato un paio.»

«E l’aritmetica?»

«L’ho imparata dalla moglie di un fornaio.»

«E la storia?»

Mag storse la bocca. «Ci vivo dentro. Perché?»

Lydea la studiò un poco, passandosi una mano tra i capelli. «Mi chiedo…» Riabbassò la mano. «No, non riuscirei mai a spiegare la tua presenza a Domina Pearl. Ma vorrei che tu m’insegnassi a fare lezione a Kyel. Io so così poche cose!»

«Ne sai sempre più di lui, suppongo.» Mag guardò la maestra Spina che si allacciava un polsino e s’infilava una spilla sui capelli. «Sembri davvero… hai proprio l’aria di una…»

«Lo so. Me l’ha detto anche Ducon. Vorrei sentirmi come sembro a chi mi guarda.» Si voltò verso Mag e la prese per le spalle, fissandola negli occhi. «So che ti piace andare in giro, ma non farlo. È troppo rischioso. Ducon potrebbe tornare prima di me. Fino ad allora, qui accanto al letto ci sono molti libri di storia.»

La ragazza uscì. Mag sedette sul letto e guardò il muro liscio e uniforme, con occhi vuoti.

I corridoi erano di nuovo silenziosi. Domina Pearl, a quanto aveva detto Lydea, sarebbe stata occupata in camera di consiglio per tutta la mattina. Ducon avrebbe potuto restare assente fino al mezzodì, oppure tutto il giorno. Poco prima di scontrarsi con Ducon, Mag aveva oltrepassato la grande urna dietro cui c’era la piccola porta nascosta. Se avesse voluto aggirarsi per un’oretta nei passaggi segreti, nessuno se ne sarebbe accorto. A casa di Faey aveva visto i disegni lasciati lì dal giovane; essi accennavano all’esistenza di un mistero nelle stanze abbandonate le cui porte si aprivano sull’ombra. Un mistero che aveva pervaso il suo carboncino da disegno e si era trasferito sulla carta. Quell’oggetto fatto di cenere e sputo era una cosa viva, un occhio cieco che vedeva invisibili meraviglie e le rifletteva sulla carta. Erano meraviglie che Ducon aveva intuito, sfiorato, ma che poteva spiegare soltanto disegnando tutto sotto forma di luci e ombre. Come se pensasse che, mettendole su carta, avrebbe strappato il velo di tenebra che le copriva e illuminato il mistero dietro di esso.