Ma l’anziano cortigiano non era ancora giunto alla fine del tempo, e finalmente Ducon lo vide, sopra un rozzo ponte di pietra che s’inarcava sul corso d’acqua. A capo chino per la concentrazione, con le braccia conserte, Camas stava ascoltando un individuo corpulento vestito di seta e di pellicce, con una testa di volpe bianca che gli pendeva da una spalla e stivali ornati di code di ermellino. Camas appariva pelle e ossa, e ciocche di capelli spettinati gli ricadevano davanti al viso. I suoi abiti erano bagnati e sporchi di fango, come se fosse caduto nell’acqua, e aveva perso una scarpa. Tuttavia discorreva animatamente con lo spettro, come se questi fosse entrato nella biblioteca del palazzo per aiutarlo nelle sue ricerche.
L’improvvisa comparsa di Ducon a un’estremità del ponte non fece nessuna impressione a Camas Erl. Il cortigiano gli gettò appena un’occhiata distratta, e continuò a chiacchierare col suo interlocutore, avviandosi verso la riva opposta. «… e tutto questo accadde durante il regno di Sisal Greve, il quale, come voi mi avete riferito, contrariamente a ogni nostra documentazione scritta, non avrebbe mai…»
Ciò che Sisal Greve non avrebbe mai fatto rimase non detto, perché Ducon girò davanti al suo ex tutore e gli sferrò un pugno alla mandibola. Camas sbandò contro la balaustra del ponte e cadde a sedere. La sua attenzione era adesso tutta sul nuovo venuto.
Lo spettro, vedendosi ignorato, svanì. Nessun’altra figura immateriale prese il suo posto, dal momento che il cortigiano era ormai costretto a guardare soltanto Ducon. Il giovane si massaggiò le nocche delle dita, poi afferrò Camas per il malridotto colletto della blusa e lo tirò in piedi.
«Ducon», ansimò l’altro, sbigottito. «Che stai facendo, qui?»
«Domina Pearl mi ha incaricato di riportarvi indietro.»
«Ma sono nel pieno di una ricerca storica. Ducon, se tu sapessi cos’ho scoperto non ci crederesti mai…» L’uomo s’interruppe, confuso, forse perché (suppose Ducon) non sapeva bene che bugia inventare. Il giovane non mollò la presa, e sempre strattonandolo per il colletto lo spinse davanti a sé sulla riva del fiume, verso la casa della maga.
Camas Erl girò a mezzo la testa. «Così non riesco a respirare!» si lamentò.
«Voi non mi avete sentito.»
«Ti ho sentito. Hai detto che Domina Pearl ti ha mandato qui.»
«Mi ha mostrato la sua stanza segreta, quella dove fa i veleni e le fatture, e mette a letto il suo corpo in disfacimento perché la notte ricresca. Ho dovuto aiutarla a girare certi enormi specchi, con i quali vi ha cercato. Mi ha detto che di solito siete voi a fare quel lavoro. Ora però io so…» La sua mano lasciò il colletto e si strinse con forza brutale alla gola del suo ex tutore. Camas Erl piegò le gambe, annaspando in cerca d’aria. «Tutti questi anni», ringhiò il giovane, a denti stretti. «Mi avete mentito!»
«Io non ti ho mentito… Sei tu che non mi hai mai domandato…»
«L’avete aiutata a uccidere mio zio?» Ducon vide l’altro restare senza fiato per qualche istante. «Avete fatto questo?»
«Tu devi considerare le conseguenze», rantolò il cortigiano. «I vantaggi sono incalcolabili.»
Per quanto fosse malridotto, Camas aveva più energia di quello che Ducon si sarebbe atteso. All’improvviso l’uomo si gettò contro di lui e lo colpì al petto con una spallata, cercando di farlo cadere nel fiume. Un fantasma apparve lì accanto, e aspettò con calma di vedere cosa sarebbe successo. Ducon vacillò sotto lo spintone, ma girò su se stesso e riuscì ad afferrare il cortigiano, ancorandosi a lui. Fu Camas a cadere in ginocchio sulla riva.
Dietro di lui, con un braccio piegato intorno al suo collo, Ducon sbottò, seccato: «Non fate resistenza. Ditemi solo una cosa: perché tutto questo è così importante per voi da spingervi a uccidere un principe di Ombria e mettere in pericolo la vita del suo giovane erede? Se Ombria è la vostra passione, i Greve ne sono i governanti. Allora, perché?»
Lo spettro scomparve. Con le mani strette all’avambraccio di Ducon, l’uomo ansimò: «Ormai sono così vicino… così vicino a capire…»
«A capire cosa?»
«Tu devi lasciarmi qui. Io ho parlato con spettri che sono sopravvissuti all’ultima trasformazione di Ombria…»
«Voi avete parlato con le illusioni della maga», disse Ducon, con voce piatta.
«No… essi mi appaiono di loro volontà. Ascoltami. Tempi pericolosi, una città alla disperazione, la casa regnante nel caos e in pericolo… tutto questo indica il cambiamento, e lo provoca. Più Domina Pearl spinge i cittadini nella miseria e nel disordine, più la loro speranza e il desiderio di un futuro diverso diventano forti. Capisci? Quando il desiderio sarà sopraffacente, il cambiamento sarà inevitabile. È già successo prima e succederà ancora, e noi stiamo per raggiungere quel punto…» Tacque, semisoffocato, quando il braccio di Ducon lo strinse ancora.
«Per colpa vostra.» Lui era in preda a una rabbia fredda come una lama di ghiaccio. «Voi e la Perla Nera state distruggendo Ombria per una fantasia… una favola da bambini.»
«No…» Aggrappato al braccio del giovane, Camas lottò per un’altra boccata d’aria. «Ascoltami…»
«Ascoltate voi. Non vi riporterò da Domina Pearl. Favola o verità, non lo saprete mai; non sarete qui a vederlo, e se questo cambiamento ci sarà, a causarlo sarà la vostra assenza, piuttosto che le vostre assurde fantasie storiche.»
«Cosa…»
«Voi farete un lungo viaggio per mare, verso le isole tropicali dove le navi di Domina Pearl si fermano a raccogliere quelle strane piante e i rettili velenosi. Non tornerete mai più in questa città.»
«Domina te lo impedirà…» gorgogliò l’altro.
«Non quando le avrò spiegato che stavate cospirando con la maga contro di lei. Vi metterà su una nave con le sue stesse mani.»
«No!» Il bisogno di respirare diede al cortigiano la forza di reagire. Annaspando con una mano afferrò Ducon per la blusa. «Io devo vedere… io devo essere qui…» Con l’altra trovò un sasso e lo agitò dietro di sé. Ducon fu svelto a chinare la testa per evitarlo, ma la sua presa si allentò. Camas si voltò, con gli occhi brucianti di visioni disperate. «Nessuno…» disse, avventando ancora la pietra che aveva in pugno. La sua mano, appesantita, colpì Ducon in piena faccia. La luce delle lampade lontane esplose in un nugolo di scintille, e il giovane si sentì cadere dentro di esse, mentre la voce del suo ex tutore urlava ancora: «Nessuno mi fermerà!»
«Nessuno andrà da nessuna parte», sbottò Faey.
Ducon alzò la testa. Le scintille che roteavano nei suoi occhi lasciarono lentamente il posto al terreno umido e alla punta delle scarpe di seta azzurra della maga. Si girò di fianco e sputò una boccata di sangue. Il vecchio cortigiano, vedendo in quella bellezza dai lunghi capelli rossi un altro spettro, rimase a fissarla come trasognato, poi sbatté le palpebre, quando la sentì dire a un nobiluomo in velluto nero e catene d’argento, con voce irritata: «Vattene via. Tutti voi, tornate nel calderone».
Il volto di Camas s’imporporò. Lui aprì e chiuse la bocca un paio di volte senza emettere suono. «Tu hai osato…» riuscì infine a dire. «Non puoi esser stata tu a farli, tutti quanti…»
«Tu sei un povero sciocco, uomo», rispose lei, impietosita. Afferrò Ducon con una mano ingioiellata e lo tirò in piedi come se fosse una piuma. Poi squadrò il cortigiano con occhi metallici. «Non li ho fatti. Li ho richiamati dai miei ricordi.»
«Tu li hai conosciuti tutti?» domandò l’altro, con voce rauca.