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«Oh, basta.» La maga era esasperata. «Sono giorni che sento le tue farneticazioni.» Gettò a Ducon un foglio ripiegato. Il sigillo era rotto, ma lui lo riconobbe. Aprì il foglio. Faey, con voce secca come le ruote dei carri nelle strade sopra le loro teste, gli riferì il contenuto prima che lui leggesse. «Quella donna ha preso Mag.»

Ducon sentì un’improvvisa fitta di dolore nel punto in cui Camas lo aveva colpito. «Quando l’ho lasciata era al sicuro», mormorò, addolorato. «Almeno, così credevo.»

«Lei non è capace di restarsene seduta ad aspettare. La Perla Nera vorrà sapere se la mia bambola di cera conta qualcosa per me, prima di distruggerla. E se io potrò considerare l’idea di offrirle qualcosa in cambio della sua salvezza.»

«Cosa farai?»

«Quello che devo», si limitò a rispondere lei. «Per ora le farò un’offerta. Gliela porterai tu, insieme a Camas Erl.»

«No», protestò lui, incredulo. «Non devi restituirle il Nobile Erl.»

«Date le circostanze, penso che sia meglio non offendere la reggente.» Faey si rivolse al cortigiano, ammorbidendo i suoi modi. «Scusa se sono stata un po’ brusca. Oggi sono nervosa. Spero che prima di andartene accetterai un paio di scarpe. D’accordo?»

«Te ne sarò grato», annuì cautamente lui. «Non riesco a ricordare come abbia potuto perdere una scarpa. Quanto a questo, non ho molto chiaro cosa io abbia detto e fatto negli ultimi…» Esitò, tastandosi la barba. «Giorni?»

«Gradisci anche una tazza di tè?»

«Sarà un piacere. Ancor più, se potrò parlare con te per qualche momento, circa i tuoi ricordi più antichi. So che la reggente ti sarà grata per qualunque cosa tu possa dirmi.»

«Ti dirò tutto ciò che vuoi sapere», rispose la maga.

«Io non ho nessuna intenzione», intervenne Ducon, in tono sofferente, «di riportare il Nobile Erl sotto lo stesso tetto di Kyel.» Fece un passo verso la maga, stringendo i pugni. «Ha aiutato Domina Pearl ad assassinare suo padre. Tu hai detto che devo essere io a occuparmi di lui. Lo ucciderò con le mie mani, prima di riportarlo a…»

Faey lo fissò con uno sguardo duro come la madreperla, privo di ogni espressione umana. I suoi occhi erano incolori, raggrinziti, due bianche luci che gli bruciavano i pensieri nella testa e la capacità di parlare.

«Io farò quello che devo fare per Mag», disse. La sua voce raggelava il cuore. «E tu farai quello che ti viene detto.»

La maga tornò a spogliarsi del peso dei secoli, prese a braccetto Camas Erl e s’incamminò lungo il fiume, adeguandosi all’andatura incerta del vecchio cortigiano. In quanto a Ducon, le cui gambe lo tradivano, per ubbidire al suo incantesimo, non poté far altro che tenerle dietro.

25

La caccia selvaggia

Lydea era stata esposta ai pericoli della sua ignoranza per la maggior parte di quella mattina, in biblioteca, sotto la sorveglianza di guardie che sembravano disposte a mozzarle la testa per una parola sbagliata, e ringraziava il cielo per la voce pacata della maestra Spina. Sedeva il più possibile vicino a Kyel, ma non osava toccarlo; non aveva idea di cosa vedesse la Perla Nera attraverso quegli occhi duri fissi su di loro. Il bambino sembrava sentire la sua tensione. Non le aveva ancora domandato dove fosse Ducon, o perché lei si limitasse a leggergli libri di storia e non gli insegnasse parole in altre lingue. La giovane sfidò le guardie immobili e silenziose tra gli scaffali passando a Semplici Regole di Aritmetica. Si stava sforzando, con i modi misurati della maestra Spina, di rendere comprensibili quei concetti a Kyel, quando Domina Pearl entrò dalla porta come un furioso vortice di vento.

La sua comparsa così improvvisa sconcertò la maestra Spina, che aspirò quell’aria polverosa e tossì piano, alzandosi. La Perla Nera aveva l’aria di aver trascorso la notte in bianco, e di non essersi ancora vestita del tutto, cosa strana per lei, anche se non rimase in biblioteca abbastanza a lungo perché Lydea potesse osservarla meglio. In una mano aveva un disegno su un foglio, accartocciato, e porse l’altra a Kyel con fare perentorio.

«Venite, mio signore. Basta così, maestra Spina. Potete ritirarvi.»

Il pollice di quella mano sembrava raggrinzito e scuro, o sporco. La ragazza lo osservò con stupore, poi s’inchinò in fretta. Kyel prese quella mano senza cambiare espressione e mentre veniva condotto via si voltò a guardare Lydea a occhi spalancati, incerto. Domina Pearl gli sibilò qualcosa; lui abbassò gli occhi al suolo. Le guardie li seguirono fuori.

Meravigliata, Lydea rimise i libri al loro posto sugli scaffali, fuorché quello di aritmetica, che portò con sé in camera. I corridoi erano silenziosi a quell’ora, poco prima del mezzodì, a parte il passaggio delle cameriere cariche di biancheria elegante e colorata, che andavano avanti e indietro tra il mondo superiore dei cortigiani e quello inferiore dei lavori servili. Solo allora le tornò in mente Mag che la stava aspettando nel suo alloggio, e si chiese se la ragazza se ne fosse andata, inquieta com’era.

Neppure l’espressione controllata della maestra Spina poté reggere alla vista delle guardie dal volto granitico appostate nella piccola stanza, che sfoderarono le spade non appena la porta fu aperta. Il libro di aritmetica cadde al suolo. La maestra Spina abbandonò ogni compostezza, sbatté la porta in faccia ai due uomini e fuggì.

Mentre girava l’angolo sentì la porta riaprirsi con un tonfo. Davanti a lei c’erano le scale, ma non osò salire. Era certa che la sua immagine, captata da quegli occhi messi sotto incantesimo, doveva essere passata da mente a mente in tutto il palazzo. Alle sue spalle ci fu il gridolino soffocato di una serva che si gettava da parte per evitare le spade. Gli stivali delle guardie echeggiavano pesanti al suo inseguimento, e la ragazza corse via nell’intreccio di corridoi girando a ogni svolta. Ben presto si accorse, sempre più spaventata, che non riusciva a distanziarle; era come se lei lasciasse una scia d’impronte luminose dietro di sé.

Poi davanti a lei qualcuno si mosse. Vide una testa bianca apparire sopra il bordo di un’urna grottescamente fuori misura, che ostruiva quasi del tutto il passaggio in un’anticamera.

«Ducon», ansimò, senza fiato. Lui si voltò a guardarla, poi scomparve. Il rapido scalpiccio degli inseguitori ormai vicini le strappò un gemito disperato e inorridito. Con una contorsione balzò di lato, aggirando la grande urna, e solo allora vide la porticina che il giovane aveva lasciato aperta dietro di essa.

Si tuffò in quel piccolo vano, chiudendo subito il battente. La debole luce di una candela poco distante le mostrò che si trovava in un corridoio stretto e vuoto; Ducon non si vedeva da nessuna parte. Forse, pensò stordita, l’uomo che ho visto non era Ducon, bensì il fantomatico individuo a lui tanto simile. Dopo essersi tolta le scarpe, riprese a fuggire in silenzio fino alla svolta più vicina, poi su per una rampa di scale, addentrandosi senza stare a pensarci nelle profondità dei passaggi segreti del palazzo.

In cima alle scale fece una pausa per riprendere fiato, col cuore che le batteva forte nel petto. Dall’altra parte del muro udì delle voci, in distanza, e alcune grida. Non poteva sperare che le guardie non conoscessero quei cunicoli nascosti, e che non sarebbero entrate a cercarla. Non appena ne ebbe la forza, riprese ad allontanarsi, ansimando come un mantice, tristemente consapevole che stavolta Mag non sarebbe apparsa dal niente per proteggerla durante la sua fuga alla cieca.

La Perla Nera doveva aver annusato la presenza di Mag in qualche modo stregonesco, e lasciato le sue guardie nella stanza per catturare eventuali complici.

Lydea salì un’altra rampa di scale, questa ornata da quadri chiusi in ricche cornici, ma così anneriti che non avrebbe saputo dire se rappresentavano volti umani o paesaggi. Il corrimano era intarsiato di foglie dorate, e sostenuto da una ringhiera in legno nero. In cima alle scale, i candelieri appesi al muro erano in porcellana dipinta. A un tratto un pensiero stupito l’assalì: lì dentro c’erano candele accese dappertutto. Era possibile che qualcuno la stava precedendo e aveva acceso le candele per agevolarle un percorso?