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Non contento di ciò, il giovane sollevò la grata, imbrattandosi le mani di cenere. Mag trattenne il respiro, perché la giara in cui svolazzava la falena dorata era giusto dietro la testa della Perla Nera. Ma la donna, sempre strillando come un’aquila, non diede a Ducon la possibilità di scaraventargliela addosso. Paralizzato dall’incantesimo feroce del suo sguardo, il giovane s’immobilizzò a metà del gesto e rimase lì, tremando sotto il peso della grata.

Lei gonfiò il petto per urlare ancora, o forse per sputargli in faccia la sua saliva corrosiva. Ma in quel momento, all’improvviso, la giara dietro la sua nuca si spaccò. Tutti si voltarono a guardare, salvo Ducon che sembrava, più che affatturato, intento a cercare la forza di gettare ancora qualcosa contro la donna. La falena volò via, e dopo aver spiraleggiato qua e là per la stanza trovò rifugio tra i capelli di Mag.

Lei sentì un senso di calore dietro gli occhi e in gola, per nessuna ragione salvo il fatto che la falena era libera ed era venuta da lei. La stanza però stava vibrando in modo strano, e il pavimento sussultava sotto i loro piedi. Oggetti d’ambra scintillarono e clicchettarono; le ossa ammucchiate in un angolo si mossero. Domina Pearl inciampò e si aggrappò all’albero di ferro, frugando selvaggiamente con lo sguardo tra i pezzi dei suoi specchi. I muri si scossero ancora, come se nelle viscere del palazzo o giù nelle fondamenta qualcosa di poderoso e inimmaginabile stesse muovendo i suoi primi enormi passi.

La grata sfuggì dalle mani di Ducon e con un angolo massiccio spaccò un mattone del pavimento. Le giare sugli scaffali sbattevano una contro l’altra, e il loro bizzarro contenuto oscillava. Uno scaffale gemette, quando i chiodi si piegarono nel legno; poi a un tratto si spaccò in due, facendo volare schegge di vetro e liquidi puzzolenti sulla schiena della Perla Nera. Lei sibilò un’imprecazione, guardando una fessura che si allungava sul soffitto.

«Lei ha detto che avrebbe fatto qualcosa», mormorò Camas Erl.

Domina Pearl lo fulminò con lo sguardo. La pelle del viso era tirata, come terracotta sul punto di sgretolarsi. La stanza intorno a loro si torceva e sussultava, dando a Mag l’impressione che i mattoni fossero denti vogliosi di masticarsi a vicenda. Seduta alle spalle della Perla Nera, la ragazza vide che Ducon e il vecchio cortigiano avevano alzato lo sguardo al piano di sopra, attraverso le crepe del soffitto, per vedere cosa stava succedendo.

«Che cos’è?» balbettò Camas Erl, allargando le braccia come per tenere lontani i confini della storia che gli si chiudevano attorno. «È lei? O è l’inizio?»

Domina Pearl scacciò con un gesto disgustato quelle farneticazioni, e nel movimento brusco perse un sopracciglio. «Perché, non lo sai? Non l’hai forse studiato per anni?»

«Sarà la fine?» ansimò lui, con espressione rapita sul volto pallido. I muri si scossero ancora, come se un gigante stesse cercando di aprire la stanza come una scatola. Una voce, più di vento che umana, o come il sibilo di un ciclopico rettile, echeggiò intorno a loro. Le sue parole sembravano quelle di un’antica lingua, solo per metà umana e del tutto incomprensibile.

Domina Pearl si chinò tra le schegge di vetro e d’ambra, e raccolse un frammento di specchio. Mentre lo girava inutilmente da una parte e dall’altra per vedere chi fosse a parlare, il suo orecchio raggrinzito si staccò e cadde. Con un grido si chinò a cercarlo, frugando tra le macerie. Camas Erl, i cui occhi gialli continuavano a correre da un muro all’altro, si scostò di un passo da lei.

La voce riempì di nuovo la stanza con la furiosa energia di una burrasca, ostile e minacciosa, pronunciando parole enigmatiche.

La Perla Nera sputò anche un dente o due, e se li mise in tasca. «Chi è quella donna?» domandò a Camas, con voce rauca. «Da che zona di Ombria viene?»

«Voi dovreste conoscerla», rispose lui, agitatissimo. «È sempre stata qui.»

Ducon tornò inaspettatamente alla vita. Le sue mani, ancora strette alla grata caduta, si abbassarono. Si guardò attorno tra le rovine della stanza e vide Mag, seminascosta da uno scaffale crollato. Poi una porta sbatté da qualche parte, oltre i muri, e lui s’irrigidì di nuovo. Tutti loro stavano cercando di vedere oltre il visibile.

La voce risuonò ancora, scrosciante come un’onda sulla scogliera. «Ridammi mia figlia!»

Il pollice raggrinzito della Perla Nera cadde, mentre si voltava con un grido furibondo. «Prenditela!»

Detto questo, svanì. Camas Erl, urlando qualcosa d’incoerente, per un poco oscillò tra storia e magia, poi la seguì in quella via di fuga che conosceva.

La falena volò fuori dai capelli di Mag, atterrò sul pavimento e si trasformò in Faey.

La maga aveva un volto improvvisato alla meglio, con la pelle iridescente e un occhio più piccolo dell’altro. Si scostò una ciocca di capelli color delle ali della falena, e toccò l’anello di ferro al polso di Mag. La catena si aprì; il braccio intorpidito ricadde. Debole come cera sciolta, la ragazza non poté muoversi da dove stava. La falena della giara continuava, nella sua mente, a trasformarsi in Faey, che era salita dal mondo di sotto per salvarla. Lacrime brucianti come il fuoco la accecarono, bagnandole il viso, e fuoco divennero le parole che cercavano di salirle in gola, finché non seppe più se il suo corpo fosse cera, o carne, o fiamma.

Sentì la voce di Ducon, rauca per la rabbia e la sofferenza. «Dove sono andati? Voglio vederla morta. Mi aiuterai?»

Faey sedette sul pavimento e mise un braccio intorno alle spalle di Mag. «Domina Pearl è già morta, dovunque vada», disse a Ducon. «Tu l’hai uccisa. Il suo corpo non può ricrescere senza il letto, e non avrà il tempo di farsene un altro prima di averne bisogno. Credo che lei sia un cadavere fatto resuscitare da una muffa, o da un fungo, qualcosa cresciuto in un terreno malato.»

«Le sue guardie hanno riferito che Lydea e Kyel sono morti, o scomparsi.» Il volto del giovane era contratto per la preoccupazione. «Per favore, tu puoi dirmi dove sono?»

«Da quanto ho visto io, sono usciti da una porta. Quella che tu hai disegnato molte volte, con l’arcobaleno sul montante. È là che devi cercarli. Cosa c’è oltre quella soglia? Tu lo sai meglio di me.»

Lui la guardò, incerto, tormentato da quello stesso interrogativo, ma non seppe rispondere. Un breve ansito gli scosse il petto, e poi scomparve come Camas Erl, oltre l’invisibile uscita della stanza della Perla Nera.

Mag si chiese se fosse andato fuori oppure dentro. «Dovremmo seguirlo», disse, a disagio. «Aiutarlo. Lei non è ancora morta, e le sue guardie sono dappertutto.»

«Posso tenerlo d’occhio anche da qui», la rassicurò Faey. «Io non ho bisogno di tutti quegli specchi per vedere.»

Mag si asciugò gli occhi con una manica. «Io ero venuta qui per cercare la mia vera madre in un carboncino da disegno. Ma non credo che vedere il suo viso mi avrebbe emozionato come vedere il tuo. Qualunque viso tu abbia deciso di metterti.»

Faey modificò le dimensioni dei suoi occhi e annuì, pensosamente. «In vita mia ho fatto tanti sbagli quante volte ho cambiato volto. Oggi abbiamo imparato qualcosa, tu e io. Quando ero convinta di sapere tutto ciò di cui avevo bisogno, tu mi hai insegnato a guardare oltre la magia, dentro il mio cuore.»

«Puoi insegnarmi a vedere senza gli occhi?»

«Hai già visto Ducon in quel modo», le ricordò lei. Ma si chinò a raccogliere un pezzo di specchio. «Ecco, usa questo. Funziona ancora. Pensa al tuo viso.»

Mag richiamò alla mente il volto di Ducon e guardò lo specchio. La cosa nelle fondamenta fece un altro immenso passo, che scosse l’intero grande edificio fino al tetto. Mag sussultò. Lo specchio tremò tra le sue mani, e l’immagine che vi si era formata ondeggiò come nell’acqua smossa. I muri sembrarono girarsi con l’interno all’esterno.