Выбрать главу

«È Mag», rispose Ducon. «Ci sta guardando.» Si spostò sull’altro lato della porta, dove l’arcobaleno ornava il montante intatto, e raccontò a suo padre la storia di una bambola di cera, mentre la sua mano disegnava le altre due facce che aveva nel cuore, e il mondo che lui aveva conosciuto trovava la sua conclusione.

28

Poi per sempre

Il principe di Ombria e la sua governante sedevano sul letto, e osservavano i pupazzi sparsi sulla vasta distesa della coperta di seta. Il principe, reduce da un sostanzioso pasto pomeridiano, aveva le palpebre pesanti e un’aria insonnolita, ma scacciò uno sbadiglio e le sue mani si mossero alacremente tra i pupazzi, cercando e scartando, finché trovarono la Luna, con gli occhi di cristallo e mani a forma di stella.

«Io sarò la Luna», disse Kyel. «Tu devi esprimere un desiderio quando mi guardi.»

Lydea fece scivolare le dita nella testa della Volpe di pelliccia rossa, dal sorriso astuto. «Il mio desiderio è che tu faccia il tuo sonnellino.»

«No», replicò il principe. «Devi esprimere un vero desiderio. E io lo realizzerò, perché io sono la Luna.»

«Allora dovrò esprimere un desiderio da Volpe. Ebbene, io voglio che tutti i pollai abbiano la porta aperta, e inoltre chiedo la capacità d’arrampicarmi sugli alberi.»

La Luna si abbassò dietro la collina azzurra del ginocchio di Kyel. «Perché?»

«Per sfuggire ai cani del contadino che mi correranno dietro.»

«Allora dovresti chiedere la capacità d’arrampicarti fin sulla Luna», la corresse il principe.

«È un buon desiderio, ma sulla Luna non ci sono galline. E poi come tornerei a Ombria?»

La Luna sorse ancora, e alzò una mano. «Su una stella.»

La governante sorrise. La Volpe accarezzò i capelli del principe, mentre lui metteva via la Luna e la sostituiva con la Maga che aveva un occhio d’ametista e uno di smeraldo, e indossava un mantello nero arricchito con lunghi nastri di colore cangiante.

«Io sono la Maga che vive nel sottosuolo», dichiarò il principe. «C’è davvero una maga che abita laggiù?»

«Così…» Lydea s’interruppe, e lasciò che a rispondergli fosse la Volpe. «Così dicono, mio signore.»

«Dove sta? Ha una casa?»

Lei esitò ancora, pensando a una favola che rammentava a stento. «Credo di sì. Forse ha un’intera città, sotto Ombria. Alcuni dicono che abbia un’ancestrale nemica, la quale appare nei periodi duri della nostra storia. È allora, ma soltanto allora, che la maga sale dal mondo sotterraneo, per combattere il male e riportare la speranza a Ombria.»

«La mia tutrice conosce tutta la città. Forse sa dove abita la maga.»

«Non ne sarei sorpresa. La tua tutrice sa molte cose.»

La Maga abbassò il suo lungo naso sulla seta. Kyel prese un altro pupazzo e lo guardò in silenzio per un momento. La Regina dei Pirati, dalle unghie curve come scimitarre e con una cupola di capelli neri dentro cui teneva le sue armi, gli restituì lo sguardo con i crudeli occhi d’onice. Kyel mise giù anche lei, in silenzio, accigliandosi un poco. Si distese sui cuscini. Lydea allontanò i pupazzi da lui e cominciò ad alzarsi.

«No», mormorò il principe, insonnolito. «Resta ancora. Raccontami una favola.»

«Ma poi dovrai dormire.» Lydea sedette accanto a lui, e distrattamente raccolse la Pecora Nera, dagli occhi d’argento, la cui lunga bocca era curva in un sorriso.

«Raccontami la favola del medaglione.»

«C’era una volta, mio signore, nel migliore e nel peggiore di tutti i mondi possibili, una principessa che s’innamorò di un giovane, il quale amava disegnare.»

«Come Ducon.»

«Molto simile a tuo cugino, sì. E ogni giorno, per un anno intero, la principessa gli donò una rosa. Andava a coglierla all’alba nel giardino di suo padre, e poi la portava nel punto più alto del castello, un punto così alto che tutti l’avevano dimenticato, fuorché i piccioni che facevano il nido sotto il tetto sfondato. Lassù, lei aveva trovato una porta segreta tra il migliore e il peggiore dei mondi. Ogni giorno i due innamorati s’incontravano sulla soglia di quella porta. Lei gli dava la rosa, e lui le offriva un disegno della città in cui viveva. Ma sebbene si amassero molto, non potevano sposarsi, perché appartenevano a mondi diversi: lei era una principessa, e lui un artista che vendeva i suoi quadri nelle taverne per guadagnarsi da vivere.

«Trascorse così un anno, e un giorno la principessa insieme alla rosa gli portò anche una bambina. Ma quello che doveva essere il momento più bello della sua vita fu anche il più triste, perché lui le portò sulla carta il suo sangue, invece di un disegno. Qualcuno lo aveva visto insieme alla principessa, e lo aveva punito. Così, innamorata e disperata, lei attraversò la soglia per stare con lui mentre esalava gli ultimi…»

«Gli ultimi cosa?»

«Respiri. Nel suo dolore lei aprì il medaglione che portava al collo, e vi mise dentro un petalo della rosa, tre gocce del sangue di lui e un pezzo del suo carboncino da disegno. Ma dopo la morte del giovane, lei scoprì che non poteva tornare nel suo mondo con la bambina, perché questa apparteneva per metà al peggiore e metà al migliore dei mondi, e nessuno dei due voleva accettarla. Così la principessa, dopo aver pianto per molti giorni e molte notti, lasciò la neonata da una donna saggia e potente, che con le sue grandi conoscenze avrebbe saputo come allevare una figlia di entrambi i mondi. L’unica cosa che aveva da lasciare alla piccola era il medaglione, che conteneva tutti i ricordi del suo amore…»

Lydea sentì il respiro di Kyel farsi regolare, e tacque. Lo coprì con le coltri e si alzò dal letto con delicatezza. In quel momento si accorse che sulla porta c’era il reggente.

Non sapeva da quanto tempo lui fosse lì ad ascoltare. Gli rivolse un inchino, e vide ammorbidirsi l’espressione un po’ aggrondata del suo volto. Lui diede un ultimo sguardo al bambino addormentato e la seguì fuori. Le cameriere del principe scivolarono nella camera dietro di loro, ad aspettare il suo risveglio.

Ducon aveva ritrovato un po’ del suo umorismo, dopo che per settimane le difficoltà della sua carica gliel’avevano fatto smarrire. L’artista senza legami e responsabilità era stato costretto a imparare a governare una città, dopo la morte di suo zio. Sembrava invecchiato, preoccupato, e vestiva con maggiore sobrietà. Era come se dopo il funerale del principe, la città di Ombria gli fosse apparsa sotto un nuovo aspetto. I vecchi moli dove prima sedeva pigramente a disegnare, adesso gli sembravano opere portuali bisognose di riparazioni; le strade dei sobborghi piene di vita e di pericoli, erano diventati luoghi in cui portare l’ordine; i ragazzi di strada dovevano essere rastrellati come cani randagi, nutriti e istruiti. Aveva dichiarato guerra alle navi pirate che un tempo spadroneggiavano nel porto. Ogni giorno gli arrivava una lista di lamentele, proteste, ingiustizie, richieste di cambiamenti. Lydea si aspettava che prima o poi sparisse dal palazzo com’era stata sua abitudine, lasciando tutti a chiedersi dove fosse finito.

Fino ad allora non l’aveva fatto. La ragazza se lo trovava accanto alle ore più diverse, come se lui la usasse per sfuggire in qualche modo a tutti quei pensieri. Forse, si disse, perché sotto la contegnosa governante vedeva ancora in lei la cameriera di taverna con cui scambiare due chiacchiere. Lei era la cosa più vicina che potesse trovare alla sua vita di un tempo.

«Che eleganza», commentò, indicando i pizzi della sua uniforme.

«Il principe era stanco, così ha detto, di vedersi attorno gente vestita di nero.»

«Anch’io», sospirò lui. «Ho l’impressione di essere stato a lutto per anni.»

Un’improvvisa tristezza velò lo sguardo di Lydea, come spesso le accadeva; un bruciore che le chiudeva la gola. Deglutì, e disse soltanto: «È perché lavori troppo, mio signore».