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«Non ci sono abituato.» Ducon prese tra le dita il pizzo di un polsino dell’abito di lei. Erano stati i colori a colpirlo: i nastri viola, il rosso dei capelli, i merletti e i gioielli dei pupazzi, l’azzurro del copriletto di seta. D’impulso, aggiunse: «Forse verrò a farti visita, oggi pomeriggio».

Quel pensiero la fece sorridere. «Nella taverna di mio padre? Non è il posto più adatto a te.»

«Io sono stato…»

«Lo so, mio signore: in ogni taverna di Ombria, fuorché nella Rosa e Spina. Mi chiedo come tu abbia potuto dimenticarla.» Poi, senza motivo apparente, un brivido di paura la scosse. Udì se stessa dire: «Non possiamo lasciare il principe. Non tutti e due insieme».

Lui ebbe una luce strana negli occhi, non di sorpresa ma un riflesso della sua stessa paura, cosa che la stupì un poco. Lasciò il polsino di pizzo, annuì, e il suo sguardo corse alla porta del principe. «Forse hai ragione. Lui sa dove stai andando?»

«Lo sa, mio signore. Ma sarò di ritorno prima che si accorga della mia assenza.»

«Sii prudente», le raccomandò lui. «Di’ a tuo padre che verrò a disegnare nella sua taverna, un giorno o l’altro.»

Ma Lydea sapeva che quello era un pio desiderio. Lui era già una leggenda in certe zone della città, e le leggende, dopo esser diventate tali, raramente tornavano a ripetersi nella realtà. Lui sembrò leggerle nei pensieri. I suoi occhi chiari indugiarono un poco nei suoi, con un vago sorriso.

«Non è un pio desiderio», mormorò.

È una promessa, le dissero gli occhi. Lei sbatté le palpebre, poi scacciò l’idea assurda che era emersa come una creatura marina alla superficie della sua mente, ed essa tornò a immergersi, così in profondità che l’aveva già dimenticata ancor prima di entrare nel suo alloggio.

Prima in alto, si ritrovò a pensare, poi in basso, e infine nel mezzo.

Dalla finestra aveva una buona vista dei pergolati, nei giardini, ma non del mare. Tuttavia non era mai stata in quella parte dell’edificio, fuorché una volta, col reggente, che l’aveva condotta lì per oscure ragioni… forse voleva soltanto mostrarle come vivevano quelli che non alzavano mai lo sguardo nei corridoi, che non parlavano mai ad alta voce.

«Questo palazzo», le aveva detto, «è una piccola città, dove il passato cammina accanto al presente come una scarpa accanto all’altra. Se le guardi allo specchio, la destra diventa la sinistra, il presente diventa il passato…»

Scarpe… la sua mente si fermò su quel pensiero, mentre finiva di vestirsi e indossava un mantello col cappuccio. Le giornate si erano accorciate; la direzione del vento era cambiata. Stava percorrendo un corridoio ben illuminato e sorvegliato, quando una piccola porta mimetizzata nel muro si aprì con un clic, e lei si immobilizzò, alzando le mani alla bocca per soffocare un grido di spavento.

Dall’apertura uscì Mag. La giovane donna restò senza fiato alla vista di Lydea, che si affrettò ad abbassare le mani, chiedendosi perché il cuore le batteva così forte.

«Scusami», disse la tutrice, con aria colpevole. «Davo un’occhiata in giro.»

«Non so perché mi sono spaventata tanto.»

«Ti capisco. Oh, lascia che ti aiuti.» Mag si chinò a raccogliere l’elegante scrigno in legno di rosa che Lydea aveva lasciato cadere.

«È per mio padre», spiegò lei. «Tiene i suoi soldi in un vecchio stivale.»

«L’hai visto spesso?»

«Soltanto una volta. Si starà chiedendo che fine abbia fatto. È che sono stata giù di morale, per un po’ di tempo.»

Mag annuì gravemente. Era molto giovane per essere la tutrice del principe, ma il reggente aveva scelto lei. Aveva preso il posto di Camas Erl, che era partito per studiare la flora e la fauna nelle isole più lontane dei mari del sud. L’uomo era partito dicendo che sarebbe stato assente per un periodo indefinito. Lydea trovava stupefacenti le conoscenze di Mag, e aveva preso l’abitudine di partecipare alle lezioni insieme al principe. Entrambe gli insegnavano qualcosa, talvolta con l’aiuto dei pupazzi.

Passata quella strana emozione oscura, Lydea si mostrò incuriosita. «Cosa c’è là dentro?»

«Un altro palazzo. Stanze che nessuno usa, corridoi polverosi, porte segrete dappertutto.» La ragazza stava osservando Lydea come se prendesse nota di ogni cambiamento nella sua espressione. Mag vedeva tutto, a quanto pareva, e ricordava tutto… All’improvviso aggiunse: «Ho visto tuo padre, due giorni fa».

«Sei stata in quella zona della città? Da sola?»

«Anche tu ci vai da sola.»

«Ma io sono cresciuta là.»

Mag annuì. Anche lei aveva movimentate esperienze di vita, tra postriboli e alchimisti ed esponenti della malavita di Ombria. Questo era il motivo, supponeva Lydea, per cui Ducon l’aveva assunta.

«Anch’io», disse Mag. «Sapevo che la Rosa e Spina è la taverna di tuo padre. C’era una vera folla di clienti. Immagino che il suo stivale sia pieno.»

«Che stavi facendo da quelle parti?» volle sapere Lydea, incuriosita, chiedendosi se per caso la seria e riflessiva Mag, dai capelli simili a paglia dorata, avesse un amante. Era abituata all’espressione vaga che assumevano gli occhi della ragazza quando le si facevano domande personali, ma talvolta nelle sue risposte le sfuggivano dettagli che Lydea poi metteva insieme.

«Avevo fatto visita a un’amica», rispose Mag. «Mi sta insegnando qualcosa del suo lavoro. Io sono come una sua apprendista, potremmo dire.»

«Che lavoro fa?»

«Oh, varie cose. È una specie di storica. Fa anche la guaritrice, e roba simile. La gente la consulta per avere aiuto.»

«Una farmacista.»

«In un certo senso.»

«E dove abita?»

Mag diventò alquanto vaga, poco ciarliera. «Sulla riva», rispose, e Lydea pensò che intendesse il lungomare. Poi l’altra aggiunse, come impaziente di cambiare argomento: «Io credo che un buon insegnante debba sempre cercare d’imparare qualcosa. Non sei d’accordo?»

Chi non lo sarebbe? pensò Lydea, mentre si avviava al cancello occidentale del palazzo, dove la aspettava una carrozza. Mag era piena di segreti come quell’antico edificio. Mentre la carrozza passava lungo il bordo del campo di girasoli, lei si trovò a ripensare a una vecchia favola che le sembrava di aver raccontato a Kyel un paio di volte, quando Royce era vivo. Di cosa si trattava? Una città nell’ombra… qualcosa circa un ventaglio…

Anche questo le uscì dalla mente quando intorno a lei scivolarono via le strade ben note, dove le insegne delle taverne si susseguivano come carte da gioco. Poi il veicolo si fermò davanti alla Rosa e Spina, e dalla porta aperta lei scorse il volto sorridente di suo padre.

FINE