— E allora?
— Mi sembra che il tuo possa essere un caso simile.
— Non ti capisco — obiettai.
— Tu parli come se fossi appena giunto qui dal sud, e suppongo che, se hai abbandonato la tua legione, questo sia il modo più sicuro di parlare. Comunque, tutti possono vedere che non è vero… la gente non si procura i tagli che avevi tu, a meno che non combatta. Sei stato colpito da schegge di roccia. Questo è quello che ti è accaduto, e la Pellegrina che ci ha parlato la prima notte che siamo arrivati lo ha visto subito. Così, io credo che tu ti trovi al nord da più tempo di quanto voglia ammettere, forse da più tempo di quanto tu stesso creda. Se hai ucciso un mucchio di gente, può essere bello per te credere di avere un mezzo per riportarla in vita.
— E questo ragionamento dove ti lascia? — replicai, tentando di sorridere.
— Dove sono adesso. Non sto cercando di dire che non ti devo nulla. Avevo la febbre, e tu mi hai trovato. Forse ero in delirio, ma credo più probabile che fossi privo di sensi, il che ti ha indotto a pensare che fossi morto. Se tu non mi avessi portato qui, probabilmente sarei morto davvero.
Fece per alzarsi, ma lo fermai, posandogli una mano sul braccio.
— Ci sono alcune cose che ti dovrei spiegare, prima che te ne vada, riguardo a te stesso.
— Hai detto che non sapevi chi ero.
— Non ho detto questo, non esattamente. Ho detto di averti trovato in una foresta, due giorni fa. Nel senso che intendi tu, non so chi sei, ma credo di poterlo sapere in un altro senso. Credo che tu sia due persone, ed io penso di conoscere una di esse.
— Nessuno può essere due persone.
— Io lo sono. Sono già due persone insieme. Forse più persone sono due esseri contemporaneamente di quante noi sappiamo. La prima cosa che ti voglio dire, però, è molto più semplice. Ora ascolta. — Gli diedi dettagliate indicazioni perché potesse ritrovare la foresta, e, quando fui certo che avesse capito, aggiunsi: — Probabilmente, il tuo zaino è ancora là, con le cinghie tagliate, quindi, se trovi il punto, non ti potrai sbagliare. C’era una lettera nel tuo zaino. L’ho presa e ne ho letta una parte: non portava il nome della persona a cui era indirizzata, ma, se l’avevi finita e stavi solo aspettando l’occasione per spedirla, deve esserci almeno una parte del tuo nome alla fine. L’ho posata per terra, è volata via per un tratto e si è fermata contro un albero. È possibile che tu riesca ancora a trovarla.
— Non avresti dovuto leggerla. — Il volto gli si era indurito, — e non avresti dovuto gettarla via.
— Credevo che tu fossi morto, ricordi? Comunque, in quel momento stavano accadendo molte cose, soprattutto nella mia testa. Forse avevo già un po’ di febbre… non lo so. Adesso c’è l’altra parte: tu non mi crederai, ma può essere importante che tu mi ascolti ugualmente. Mi ascolterai fino in fondo?
Il soldato annui.
— Bene. Hai sentito parlare degli specchi di Padre Inire? Sai come funzionano?
— Ho sentito parlare dello Specchio di Padre Inire, ma non saprei precisare dove. Si suppone che si possa entrare in esso come in una porta ed uscire su una stella, ma non credo che sia vero.
— Gli specchi sono reali, li ho visti. Fino ad ora avevo sempre pensato ad essi più o meno come fai tu… come se fossero una nave, ma molto più veloce; adesso non ne sono più così sicuro. Comunque, un mio amico è entrato fra quegli specchi ed è svanito. Io lo stavo guardando: non è un trucco e neppure una superstizione. Egli è andato dove ti portano quegli specchi, qualsiasi luogo sia. È andato perché era innamorato di una certa donna, e perché non era un uomo intero. Mi comprendi?
— Aveva avuto un incidente?
— Un incidente aveva avuto lui, ma non importa. Mi ha detto che sarebbe tornato. Ha detto: «Tornerò a prenderla quando sarò stato riparato, quando sarò di nuovo sano ed intero». Io non sapevo con esattezza cosa pensare quando ha pronunciato quelle parole, ma ora credo che sia tornato. Sono stato io a farti rivivere, ed io desideravo che egli tornasse… forse questo ha avuto qualcosa a che fare con quanto è accaduto.
Ci fu una pausa: il soldato abbassò lo sguardo sul terreno calpestato su cui erano posati i giacigli, poi tornò a guardarmi.
— È possibile che quando un uomo perde un amico e ne trova un altro, abbia l’impressione di avere di nuovo con sé il vecchio amico.
— Jonas… questo era il suo nome… aveva un modo particolare di parlare. Ogni volta che doveva dire qualcosa di spiacevole, lo addolciva, facendone uno scherzo, attribuendo quel che doveva dire a qualche situazione comica. La prima notte che siamo stati qui, ti ho chiesto quale fosse il tuo nome, e tu hai risposto: «L’ho perso da qualche parte lungo la strada. Questo è quel che disse il giaguaro che si era offerto di far da guida alla capra.» Te lo ricordi?
— Dico un mucchio di sciocchezze — replicò, scuotendo il capo.
— Mi ha colpito come una cosa strana, perché era il tipo di frase che Jonas avrebbe pronunciato, solo che lui non l’avrebbe detto a meno che avesse voluto dare ad intendere, con quelle parole, più di quanto sembravi voler intendere tu. Penso che lui avrebbe detto: «Quella era la storia del canestro che era stato riempito d’acqua.» O qualcosa di simile.
Attesi che rispondesse, ma non lo fece.
— Naturalmente, il giaguaro mangiò la capra lungo la strada, inghiottendone e spezzandone le ossa.
— Hai mai pensato che questa potrebbe essere la caratteristica di una qualche città? Può darsi che il tuo amico venisse dallo stesso luogo da cui vengo io.
— Si trattava di un tempo, credo, non di un luogo — replicai. — Molto tempo fa, qualcuno ha dovuto disarmare la paura. … la paura che uomini di carne e sangue provavano guardando facce di vetro ed acciaio. Jonas, so che tu mi stai ascoltando. Io non ti biasimo. Quell’uomo era morto e tu sei ancora vivo, lo capisco. Ma, Jonas, Jolenta non c’è più… l’ho vista morire, ho tentato di richiamarla in vita con l’Artiglio, ma ho fallito. Forse lei era troppo artificiale, non lo so. Dovrai trovare qualcun’altra.
Il soldato si alzò. Il suo volto non era più irato, ma svuotato, come quello di un sonnambulo: si volse e se ne andò senza aggiungere altro.
Per forse un intero turno di guardia rimasi steso sul mio giaciglio, pensando a molte cose. Hallvard, Melito e Foila parlavano fra loro, ma non ascoltai quello che stavano dicendo. Quando una delle Pellegrine ci portò il pasto di mezzogiorno, Melito attirò la mia attenzione picchiando sul piatto con la forchetta ed annunciò:
— Severian, abbiamo un favore da chiederti.
Ero ansioso di ricacciarmi alle spalle le mie speculazioni, e risposi che li avrei aiutati come potevo.
Foila, che aveva uno di quei radiosi sorrisi che la Natura concede talvolta alle donne, mi sorrise.
— Si tratta di questo. Questi due hanno litigato per causa mia tutta la mattina. Se stessero bene, potrebbero risolvere la cosa lottando, ma ci vorrà molto tempo prima che lo possano fare, ed io non credo di poter resistere per tanto. Oggi pensavo a mio padre ed a mia madre, ed a come essi usassero sedere davanti al fuoco durante le lunghe notti invernali. Se Hallvard ed io ci sposeremo, oppure io e Melito, un giorno o l’altro lo faremo anche noi; quindi ho deciso di sposare colui che saprà raccontare la storia più bella. Non mi guardare come se fossi matta: è l’unica cosa ragionevole che abbia fatto in tutta la mia vita. Tutti e due mi vogliono, entrambi sono molto attraenti, nessuno dei due ha dei beni, e, se non risolviamo questa contesa, si uccideranno a vicenda o sarò io ad ucciderli entrambi. Tu sei un uomo istruito… lo si capisce da come parli. Tu ascolterai e giudicherai. Comincerà Hallvard, e le storie dovranno essere originali e non tratte da libri.