Quando gli schiavi tornarono, Emilian era seduto ed era in grado di parlare… anche se credo che essi non riuscirono a capire gran che di quello che diceva. Gli somministrarono alcune erbe, ed uno di loro rimase con lui mentre le masticava, poi se ne andò in silenzio.
Rotolai fuori da sotto il letto, e, tenendomi al suo bordo, riuscii a sollevarmi in piedi. Tutto era di nuovo quieto, ma sapevo che molti dei feriti dovevano avermi visto prima che cadessi. Emilian non stava dormendo, come io supponevo, ma appariva intontito.
— Thecla — mormorò. — Ho sentito Thecla. Avevano detto che era morta. Quali voci giungono qui dalla terra dei morti?
— Nessuna, adesso. Sei stato malato, ma presto ti sentirai bene.
Sollevai l’Artiglio sopra la testa e tentai di focalizzare il mio pensiero su Melito e su Foila, oltre che su Emilian… su tutti i malati del lazzaretto. Esso lampeggiò, poi si fece scuro.
IX
LA STORIA DI MELITO
IL GALLO, L’ANGELO E L’AQUILA
— Non molto tempo fa e non molto lontano dal luogo dove sono nato, c’era una bella fattoria che era particolarmente famosa per il pollame: stormi di anatre bianche come neve, oche grosse quasi come cigni e tanto grasse che riuscivano a stento a camminare, e galline dai colori vivi quanto quelli di un pappagallo. Il contadino che aveva costruito quel posto aveva molte strane idee in merito alla conduzione di una fattoria, ma era riuscito molto meglio con quelle strane idee di quanto avessero fatto i suoi vicini con i loro ragionevoli criteri, tanto che ben pochi avevano il coraggio di dirgli che razza di sciocco egli fosse.
«Una delle sue strane idee riguardava l’allevamento delle galline. Tutti sanno che i pulcini che si rivelano per galletti devono essere trasformati in capponi. È necessario un solo gallo nel cortile, perché due combatterebbero.
«Ma quel fattore si risparmiava tutta la fatica. “Lasciate che crescano” diceva, “e lasciate che combattano, e lascia che ti dica una cosa, vicino. Il gallo migliore e più forte vincerà, e sarà quello che genererà molti più pulcini per aumentare il numero delle mie galline. Inoltre, i suoi pulcini saranno i più resistenti, ed i più adatti a respingere ogni malattia… quando i vostri polli saranno tutti morti, potrete venire da me, ed io vi venderò al mio prezzo qualche esemplare da riproduzione. Quanto ai galli sconfitti, la mia famiglia li può mangiare. Non c’è cappone tanto tenero quanto un galletto morto combattendo, così come la carne migliore viene da un toro morto nell’arena e la migliore cacciagione da un cervo che i cani hanno inseguito per tutto il giorno. Inoltre, mangiare capponi diminuisce la virilità di un uomo.
«Questo strano fattore era anche convinto che fosse suo dovere selezionare per la tavola i peggiori esemplari del pollaio, quando ne voleva uno per cena. “È una cosa empia — diceva, — per chiunque prendere i migliori. Dovrebbero essere lasciati a prosperare sotto l’occhio del Pancreatore, che ha creato galli e chiocce così come ha creato uomini e donne.” Forse a causa di queste convinzioni, il suo pollame era talmente scelto che talvolta sembrava non ci fossero esemplari scadenti in mezzo adesso.
«Da tutto ciò che ho detto, risulterà chiaro che il gallo di quel pollaio era bellissimo. Era giovane, forte e coraggioso. La sua coda era bella come quella di molti esemplari di fagiano, e senza dubbio anche la sua cresta sarebbe stata bella, se non fosse rimasta lacerata irrimediabilmente nelle migliaia di combattimenti con cui si era guadagnato il posto. Le penne del petto erano di un lucente scarlatto… come le tonache delle Pellegrine… ma le oche dicevano che esse erano state bianche prima di essere tinte dal suo stesso sangue. Le ali erano tanto forti che il galletto poteva volare più in alto di qualsiasi anitra bianca, gli speroni tanto lunghi quanto il dito medio di un uomo, il becco tagliente quanto la mia spada.
«Quel bel galletto aveva mille mogli, ma la sua favorita era una chioccia bella quanto lui, figlia di una nobile razza, e regina riconosciuta di tutte le galline in un raggio di diverse leghe tutt’intorno. Con quanto orgoglio essi passeggiavano fra l’angolo del granaio e l’acqua dello stagno delle anatre! Non si poteva sperare di assistere a nulla di più bello, no, neppure se si fosse potuto vedere l’Autarca accompagnare la sua favorita al Pozzo delle Orchidee… tanto più che l’Autarca è un cappone, a quanto ho sentito dire.
«Tutto andava per il meglio per quella coppia felice, fino a che, una notte, il galletto venne destato da un terribile schiamazzo. Un grosso gufo aveva fatto irruzione nel pollaio dove razzolavano le galline e si stava facendo strada fra di loro alla ricerca della cena più adatta. Naturalmente, il gufo afferrò la gallina preferita del galletto, e, tenendola fra gli artigli, allargò le ampie ali silenziose per volare via. I gufi possono vedere meravigliosamente bene al buio, quindi esso dovette scorgere il galletto che gli volava addosso come una furia piumata. Chi ha mai visto un’espressione di stupore sulla faccia di un gufo? Eppure, certo vi fu una simile espressione sul volto di quel gufo, quella notte nel pollaio. Gli speroni del galletto si mossero più veloci dei piedi rotondi di una ballerina, ed il becco colpì in direzione di quei grossi occhi rotondi come il becco di un picchio colpisce il tronco di un albero. Il gufo lasciò cadere la gallina, volò via dal granaio e non si fece mai più rivedere.
«Senza dubbio, il galletto aveva diritto di essere orgoglioso, ma lo divenne in maniera eccessiva. Avendo sconfitto un gufo, al buio, arrivò alla convinzione di essere in grado di sconfiggere qualsiasi uccello, dovunque. Cominciò quindi a parlare di salvare le prede dai falchi e di imporsi ai teratornidi, i più grossi e terribili uccelli. Se si fosse circondato di saggi consiglieri, particolarmente il lama ed il maiale, coloro che la maggior parte dei prìncipi sceglie per essere aiutata nella conduzione degli affari, sono certo che le sue stravaganze sarebbero state ben presto bloccate, sia pure in maniera cortese. Ma, ahimé, egli non lo fece. Ascoltava solo le chiocce, che erano tutte infatuate di lui, e le oche e le anatre, le quali ritenevano che, dividendone lo stesso granaio, erano anche partecipi di qualsiasi gloria il galletto si fosse conquistato. Alla fine, giunse il giorno, come sempre accade a coloro che mostrano un orgoglio eccessivo, che egli si spinse troppo lontano.
«Era l’alba, da sempre il momento più pericoloso per coloro che non agiscono bene. Il galletto volò su, su, ancora più su, fino a che parve sul punto di trapassare le nubi, ed alla fine, all’apogeo del suo volo, si appollaiò sul mostravento, sulla trave più alta del granaio… il punto più alto di tutta la fattoria. Nel momento in cui il sole scacciava le ombre con sferzate carminio ed oro, egli gridò ripetutamente di essere il signore di tutti gli esseri piumati. Sette volte lo gridò, ed avrebbe anche potuto cavarsela, perché il sette è un numero fortunato. Ma il galletto non si accontentò, e, gridata la sua vanteria un’ottava volta, saltò a terra.
«Non era però ancora atterrato fra le sue galline, quando in alto nell’aria iniziò a verificarsi un fenomeno meraviglioso, direttamente al di sopra del granaio. Cento raggi di sole parvero aggrovigliarsi come un gomitolo con cui abbia giocato un gattino, e rotolare poi insieme come una donna farebbe con la pasta di pane sul piano per impastare. Quindi, quella massa di luce gloriosa emise braccia e gambe, una testa, ed infine un paio di ali, e discese sul granaio. Era un angelo, con ali rosse, azzurre, verdi ed oro, e, sebbene esso non apparisse molto più grande del galletto, quest’ultimo comprese, non appena lo ebbe guardato negli occhi, che internamente l’angelo era molto più grande di lui.
«“Ora” disse l’angelo, “ascolta parole di giustizia. Tu proclami che nessun essere piumato può reggere al tuo confronto. Eccomi qui, chiaramente un essere piumato. Mi sono lasciato alle spalle tutte le possenti armi degli eserciti della luce, e noi combatteremo, tu ed io”.