«A quelle parole, il galletto allargò le ali e s’inchinò tanto profondamente che la sua cresta a brandelli sfiorò la polvere. “Sarò onorato fino alla fine dei miei giorni di esser stato ritenuto degno di una simile sfida” affermò, “che nessun altro uccello ha mai ricevuto prima. È con il più profondo rincrescimento che devo risponderti che non la posso accettare, e questo per tre ragioni, la prima delle quali è che, per quanto tu abbia piume nelle ali, non è contro di esse che io dovrei combattere, bensì contro la tua testa ed il tuo petto. Pertanto, tu non sei una creatura piumata ai fini di un combattimento.
«L’angelo chiuse gli occhi e si toccò il corpo con le mani, e, quando le ritrasse, i suoi capelli erano divenuti piume più lucenti di quelle del più bel canarino, ed il lino della sua tunica si era trasformato in un ammasso di piume più candide di quelle della più splendente colomba.
“La seconda obiezione” continuò il galletto, per nulla intimidito, “è che, dal momento che tu disponi, come è chiaro, del potere di mutare forma, potresti scegliere, nel corso del nostro combattimento, di tramutarti in una creatura che non sia piumata, come per esempio un grosso serpente. Pertanto, se dovessi combattere con te, non avrei alcuna garanzia di un gioco leale da parte tua.
«A quelle parole, l’angelo si aprì il petto, e, mostrando tutte le qualità in esso contenute al pollame raccolto nel cortile, prelevò la capacità di cambiare forma e la consegnò alla più grassa delle oche perché la conservasse durante il combattimento. L’oca utilizzò subito quella capacità, trasformandosi in un’oca grigia, di quelle che migrano da un polo all’altro. Ma non volò via, e custodì diligentemente la capacità dell’angelo.
«“La terza obiezione” continuò, disperato, il galletto, “è che tu sei chiaramente ufficiale al servizio del Pancreatore e che stai facendo il tuo dovere nel difendere la causa della giustizia. Se dovessi combattere contro di te, come tu mi chiedi, commetterei un grave crimine contro l’unico signore che un coraggioso galletto sia mai disposto ad avere.
«“Molto bene” replicò l’angelo. “Questa è una forte obiezione legale, e credo che tu pensi di esserti liberato grazie ad essa. La verità, è che ti sei aperto la strada verso la tua stessa morte. Avevo solo intenzione di piegarti un po’ le ali all’indietro e di tirarti qualche penna della coda.” Poi l’angelo sollevò il capo ed emise uno strano grido selvaggio. Immediatamente, un’aquila scese dal cielo e si lasciò cadere nel centro del cortile come un lampo.
«Essi combatterono tutt’intorno al cortile, ed accanto allo stagno delle anitre, ed attraverso il pascolo e poi di nuovo indietro, perché l’aquila era molto forte, ma il galletto era rapido e coraggioso. C’era un vecchio carretto con una ruota rotta appoggiata contro un muro del granaio, ed il galletto scelse di tenere sotto di esso, dove l’aquila non lo poteva raggiungere dall’alto e dove l’ombra gli dava un po’ di refrigerio, la sua resistenza finale. Stava però sanguinando così tanto che, prima che l’aquila, che era quasi altrettanto insanguinata quanto lui, lo potesse raggiungere là sotto, barcollò, cadde, tentò di sollevarsi e ricadde ancora.
«“Ora” disse l’angelo, rivolgendosi a tutti gli uccelli riuniti, “avete visto che giustizia è fatta. Non siate orgogliosi! Non vi vantate, perché certo vi verrà chiesto conto delle vostre vanterie. Pensavate che il vostro campione fosse invincibile, ed eccolo là che giace, vittima non di quest’aquila ma del suo orgoglio, battuto e distrutto.
«Allora il galletto, che tutti credevano morto, sollevò il capo. “Tu sei indubbiamente molto saggio, Angelo” ribatté, “ma non sai nulla della natura dei galletti. Un galletto non è battuto fino a che non gira la coda e non mostra la penna bianca che si trova sotto tutte le altre penne della coda. La mia forza, che mi ero costruito volando e correndo ed in molte battaglie, mi è venuta meno. Ma lo spirito, che ho ricevuto dalle mani del tuo signore, il Pancreatore, non mi ha abbandonato. Aquila, io non ti chiedo alcuna pietà. Vieni ed uccidimi ora, ma, per quanto ti è caro il tuo onore, non dire mai di avermi battuto.
«Quando udì le parole del galletto, l’aquila fissò l’angelo, e l’angelo fissò l’aquila. “Il Pancreatore è infinitamente lontano da noi” osservò l’angelo, “e pertanto infinitamente lontano da me, anche se io posso volare tanto più in alto di voi. Io cerco d’indovinare i suoi desideri… nessuno può fare altro.
«Si aprì nuovamente il petto e vi ripose la capacità che aveva ceduto per qualche tempo; quindi egli e l’aquila volarono via, e, per un po’, l’oca migratoria li seguì. Questa è la fine della storia.
Melito era rimasto sdraiato sulla schiena mentre parlava, lo sguardo fisso ai teli stesi in alto, ed io avevo la sensazione che fosse troppo debole anche per sollevarsi su un gomito. Il resto dei feriti aveva ascoltato in silenzio altrettanto attento quanto quello che aveva accompagnato la storia di Hallvard.
— Questo è un bel racconto — dissi infine. — Mi riuscirà molto difficile giudicare fra voi due, e, se la cosa va bene ad entrambi ed anche a te, Foila, vorrei concedermi un po’ di tempo per meditare su entrambe.
Foila, che era seduta con le ginocchia raccolte contro il mento, rispose:
— Non giudicare affatto. La contesa non è ancora finita. Tutti la fissarono.
— Mi spiegherò domani — aggiunse. — Soltanto, non giudicare, Severian. Ma, cosa ne pensi di questa storia?
— Ti dirò io cosa ne penso — ringhiò Hallvard. — Penso che Melito sia astuto nel modo in cui sosteneva lo fossi io. Non sta altrettanto bene quanto me, non è altrettanto forte, ed in questo modo si è attirato la simpatia di Foila. Hai agito con astuzia, galletto.
La voce di Melito parve anche più debole di quando stava raccontando la battaglia fra i due uccelli.
— È la peggior storia che conosca.
— La peggiore? — chiesi. Eravamo tutti sorpresi.
— Sì, la peggiore. È uno sciocco aneddoto che narriamo ai bambinetti delle nostre parti, che non conoscono altro che la polvere, gli animali da cortile ed il cielo sopra di loro, e certo ogni parola deve averne evidenziato il carattere.
— Non vuoi vincere, Melito? — domandò Hallvard.
— Certo che lo voglio. Tu non ami Foila quanto l’amo io. Morirei per averla, ma preferirei morire piuttosto che deluderla. Se la storia che ho appena narrato riuscirà a vincere, allora non la deluderò mai, per lo meno non con le mie storie. Ne conosco a migliaia che sono migliori di questa.
Hallvard si alzò e venne a sedersi sulla mia branda come aveva fatto il giorno precedente, ed io spinsi giù le gambe per sedere accanto a lui.
— Quel che dice Melito è molto intelligente — mi confidò Hallvard. — Tutto quello che lui dice è molto intelligente. Eppure, tu ci devi giudicare dai racconti che abbiamo narrato e non da quelli che diciamo di conoscere ma che non abbiamo raccontato. Anch’io conosco molte altre storie. Le nostre notti invernali sono le più lunghe di tutta la Repubblica.
Replicai che, stando alla volontà di Foila, che per prima aveva pensato a quella contesa e che aveva posto se stessa come premio, io non dovevo ancora giudicare affatto.
— Tutti coloro che parlano il Corretto Pensiero parlano bene — interloquì l’Asciano. — Come si nota la superiorità di alcuni studenti su altri? Essa si vede nel linguaggio. Gli studenti intelligenti pronunciano il Corretto Pensiero con intelligenza. L’ascoltatore comprende dall’intonazione delle loro voci che essi capiscono. Per mezzo di questo superiore modo di parlare degli studenti intelligenti, il Corretto Pensiero è trasmesso, come fuoco, da uno all’altro.