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— Ma non sei più un littore?

— Sono venuto al nord per entrare nell’esercito — replicai, scuotendo il capo.

— Ah — fece, e, per un momento, distolse lo sguardo.

— Certo ci sono anche altri che fanno la stessa cosa.

— Qualcuno, sì. Per la maggior parte si arruolano nel sud, oppure sono costretti ad arruolarsi. Alcuni vengono al nord, come te, perché vogliono entrare in qualche particolare unità in cui hanno un amico o un parente. La vita del soldato… — esitò, ed attesi che continuasse. — È molto simile a quella di uno schiavo, credo. Io non sono mai stato un soldato, ma ho parlato con molti di loro.

— È dunque tanto miserevole la tua vita? Avrei creduto che le Pellegrine fossero padrone gentili. Ti battono forse?

Sorrise, e si volse in modo che gli potessi vedere la schiena.

— Sei stato un littore. Cosa ne pensi delle mie cicatrici?

Riuscivo a stento a distinguerle nella luce tenue, e feci scorrere un dito su di esse.

— Solo che sono molto vecchie e sono state fatte con la frusta — replicai.

— Le ho ricevute quando avevo vent’anni, ed ora ne ho quasi cinquanta. Le ha fatte un uomo dai vestiti neri come i tuoi. Sei stato littore per molto?

— No, non per molto.

— Allora, ne sai poco di quell’attività?

— Quanto basta per praticarla.

— E questo è tutto? L’uomo che mi ha frustato ha affermato di appartenere alla corporazione dei torturatori. Pensavo che forse potevi averne sentito parlare.

— Infatti.

— Esistono davvero? Alcune persone mi hanno assicurato che si sono estinti molto tempo fa, ma l’uomo che mi ha frustato sosteneva il contrario.

— Essi esistono ancora, per quel che ne so — replicai. — Ti ricordi per caso il nome del torturatore che ti ha frustato?

— Si chiamava Artigiano Palaemon… ah, tu lo conosci!

— Sì, è stato il mio insegnante per qualche tempo. Adesso è un vecchio.

— Allora è ancora vivo? Lo vedrai ancora?

— Non credo.

— Mi piacerebbe vederlo io stesso, e forse un giorno ci riuscirò. Dopo tutto, è l’Increato che ordina tutte le cose. Voi giovani, vivete vite selvagge… so che io lo facevo, alla tua età. Sai già che Egli modella tutte le cose che facciamo?

— Forse.

— Credimi, è così. Io ho visto molto più cose di te. Dal momento che è così, può darsi che non riuscirò mai ad incontrare l’Artigiano Palaemon, e che tu sia stato guidato qui per essere mio messaggero.

Proprio in quel momento, quando mi aspettavo che mi riferisse il suo messaggio, quale che fosse, egli cadde nel silenzio. I pazienti che avevano ascoltato con tanta attenzione la storia dell’Asciano, stavano ora parlando fra loro, ma uno dei piatti che il vecchio schiavo aveva raccolto si assestò nel mucchio con un leggero suono, ed io lo udii.

— Cosa sai delle leggi della schiavitù? — mi chiese infine. — Voglio dire, dei modi in cui un uomo o una donna possono diventare schiavi secondo la legge.

— Molto poco. Un mio amico — replicai, e stavo pensando all’uomo verde, — veniva chiamato schiavo, ma era soltanto uno sfortunato straniero che era stato catturato da gente priva di scrupoli. Sapevo che non era una cosa legale.

— Aveva la pelle scura? — mi chiese lo schiavo, annuendo.

— Si potrebbe dire di sì.

— Ho sentito raccontare che nei tempi antichi la schiavitù era determinata dal colore della pelle: quanto più la pelle di un uomo era scura, tanto più egli veniva reso schiavo. Ma è una cosa difficile da credersi, lo so. Peraltro, avevamo nell’Ordine una castellana che sapeva molte cose di storia ed è stata lei a dirmelo. Era una donna sincera.

— Senza dubbio, la cosa ha avuto origine perché gli schiavi dovevano spesso lavorare sotto il sole — osservai. — Molti degli usi del passato ci sembrano ora soltanto semplici capricci.

— Credimi, giovanotto — replicò lo schiavo, in apparenza un po’ irritato da quel commento, — ho vissuto nei vecchi giorni e sto vivendo ora, e so molto più di te cosa sia meglio.

— Così usava dire il Maestro Palaemon.

Come speravo, quelle parole lo riportarono all’argomento principale della nostra conversazione.

— Ci sono solo tre modi in cui un uomo può diventare schiavo — proseguì, — mentre per una donna è diverso, con il matrimonio e tutto il resto.

«Se un uomo viene condotto nella repubblica già in stato di schiavitù, rimane schiavo, ed il padrone che lo ha portato qui lo può vendere, se lo desidera. Questo è un caso. I prigionieri di guerra… come quell’Asciano… sono gli schiavi dell’Autarca, il Padrone dei Padroni e lo Schiavo degli Schiavi. L’Autarca li può vendere, se lo desidera. Spesso lo fa, e, siccome questi Asciani non servono a molto salvo che nei lavori più noiosi, li trovi spesso a remare sui fiumi settentrionali. Questo è il secondo caso. Il terzo è quello di un uomo che venda se stesso al servizio di qualcuno, perché un uomo libero è il padrone del suo corpo… è già lo schiavo di se stesso.

— Gli schiavi — osservai, — vengono raramente battuti dai torturatori. Che bisogno c’è, quando possono essere battuti dai loro padroni?

— Non ero uno schiavo a quell’epoca. Questo è parte di ciò che volevo chiedere all’Artigiano Palaemon. Io ero solo un giovane che era stato colto a rubare. L’Artigiano Palaemon venne da me, la mattina in cui avrei dovuto essere frustato, ed io pensai che era una cosa gentile da parte sua, anche se è stato allora che mi ha detto di appartenere alla corporazione dei torturatori.

— Prepariamo sempre il cliente, se possiamo.

— Mi consigliò di tentare di non gridare… non fa troppo male, mi disse, se si urla nel momento in cui la frusta scende. Mi promise che non ci sarebbero stati più colpi di quanti aveva detto il giudice, per cui li potevo contare, se volevo, in modo da sapere quando stava per finire. Aggiunse anche che non avrebbe colpito più forte di quanto fosse necessario per tagliare la pelle e che non avrebbe rotto nessun osso.

Annuii.

— Gli chiesi allora se mi poteva fare un favore, e mi rispose che lo avrebbe fatto, se avesse potuto. Desideravo che dopo tornasse ancora da me per parlarmi, ed egli promise che avrebbe cercato di accontentarmi, quando mi fossi ripreso un po’. Poi entrò un caloyero per leggere una preghiera. Mi legarono ad un palo, con le mani sopra la testa ed il testo della condanna inchiodato sopra le mani. Probabilmente, lo hai fatto tu stesso molte volte.

— Abbastanza spesso. — convenni.

— Dubito che il modo che usarono con me fosse diverso. Ho ancora le cicatrici, ma si sono attenuate, come hai detto tu, ed ho visto molti uomini con cicatrici peggiori. I carcerieri mi trascinarono di nuovo nella mia cella, com’è l’usanza, ma credo che avrei potuto camminare. Non faceva altrettanto male quanto perdere un braccio o una gamba, e qui ho aiutato i chirurghi a tagliarne parecchi.

— Eri magro in quei giorni? — chiesi.

— Molto magro. Credo che avrei potuto contare le costole.

— Allora questo è andato molto a tuo vantaggio. La frusta taglia profondamente il grasso sulla schiena di un uomo e lo fa sanguinare come un maiale. La gente dice che i commercianti non vengono puniti abbastanza quando imbrogliano sul peso e così via, ma quelli che parlano non sanno quanto essi soffrano al momento della punizione.

— Il giorno successivo — annuì Winnoc, — mi sentivo quasi forte come al solito, e l’Artigiano Palaemon venne, come mi aveva promesso. Gli spiegai la mia situazione… come vivevo e tutto il resto… e gli chiesi qualcosa di lui. Forse ti sembrerà strano che parlassi in quel modo con un uomo che mi aveva frustato?

— No, ho sentito parecchie volte cose simili.

— Egli mi raccontò di aver fatto qualcosa contro la sua corporazione. Non mi rivelò di cosa si trattava, ma mi disse che a causa di questo era stato esiliato per qualche tempo. Aggiunse che aveva cercato di sentirsi meglio pensando a come viveva l’altra gente, ma che era solo riuscito a sentirsi triste per gli altri e ben presto anche per se stesso. Mi consigliò, se volevo essere felice e non passare più attraverso esperienze del genere, di trovare una qualche confraternita di cui far parte.