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— Io sono Severian di Nessus, un vagabondo. Vorrei poterti donare un migliaio di crisi che ti aiutino a portare avanti il vostro buon lavoro, ma posso solo ringraziarti per le gentilezze che ho ricevuto qui.

— Quando ho parlato di una cavalcatura, Severian di Nessus, non stavo offrendo di vendertene una e neppure di dartene una nella speranza di acquistarmi così la tua gratitudine. Se non abbiamo la tua gratitudine adesso, non l’avremo mai.

— L’avete, come ho detto. E come ho anche detto, non indugerò qui, adagiandomi nella presunzione di tale vostra gentilezza.

— Non credo che lo faresti. — Mannea abbassò lo sguardo su di me. — Questa mattina, una postulante mi ha riferito come uno dei malati fosse andato con lei nella cappella due notti fa, e lo ha descritto. Questa sera, quando sei rimasto dopo che tutti se n’erano andati, ho capito che si trattava di te. Ho un compito da svolgere, vedi, e nessuno a cui affidarlo. In momenti più tranquilli, manderei un gruppo dei nostri schiavi, ma sono addestrati a prendersi cura dei malati ed abbiamo bisogno di ognuno di loro e forse di altri in più. Eppure è detto “Egli manda al mendicante un bastone ed al cacciatore una lancia.”

— Non desidero insultarti, Castellana, ma credo che se tu ti fidi di me perché sono andato nella cappella, non poggi la tua fede su una buona ragione. Per quel che ne sai, avrei anche potuto rubare gemme dall’altare.

— Vuoi dire che spesso ladri e mentitori vengono a pregare. Per benedizione del Conciliatore essi lo fanno. Credimi, Severian, vagabondo di Nessus, nessun altro lo fa… nell’Ordine o fuori di esso. Ma tu non hai danneggiato nulla. Noi non abbiamo neppure la metà del potere che la gente ignorante ci attribuisce… nondimeno, coloro che ci ritengono prive di poteri sono ancora più ignoranti. Vuoi svolgere un compito per me? Ti darò un salvacondotto cosicché non sarai fermato come disertore.

— Se il suo svolgimento è nelle mie capacità, Castellana.

Mi pose una mano sulla spalla. Era la prima volta che mi toccava, ed avvertii un leggero shock, come se fossi stato inaspettatamente sfiorato dall’ala di un uccello.

— A circa venti leghe da qui — mi spiegò, — c’è l’eremitaggio di un certo saggio e santo anacoreta. Fino ad ora, egli è stato al sicuro, ma durante tutta quest’estate l’Autarca è stato ricacciato indietro e presto la furia della guerra si riverserà su quel luogo. Qualcuno deve andare da lui e persuaderlo a venire da noi… o, se non si lascerà persuadere, costringerlo a venire. Ritengo che il Conciliatore ti abbia indicato come messaggero. Lo puoi fare?

— Non sono un diplomatico — risposi, — ma quanto all’altro aspetto della cosa, posso onestamente dire di aver ricevuto un lungo addestramento.

XV

L’ULTIMA CASA

Mannea mi aveva dato una rozza mappa che indicava l’ubicazione del ritiro dell’anacoreta, sottolineando il fatto che, se non avessi seguito alla lettera il percorso in essa segnato, quasi certamente non sarei riuscito a localizzarla.

Non potrei dire in quale direzione si trovasse quella casa rispetto al lazzaretto. Le distanze illustrate sulla mappa erano indicate in proporzione alla loro difficoltà e le svolte erano tracciate in modo da adeguarsi alle dimensioni del foglio di carta. Cominciai camminando verso est, ma scoprii ben presto che la strada che stavo seguendo aveva piegato a nord e poi a ovest, attraverso una gola stretta e percorsa da un ribollente ruscello, ed infine a sud.

Nel primo tratto del mio viaggio, vidi molti soldati… una volta una doppia colonna che occupava entrambi i lati della strada, mentre alcuni muli passavano nel centro portando indietro i feriti. Due volte fui fermato, ma in entrambi i casi il mio lasciapassare mi permise di proseguire. Esso era scritto su una pergamena color crema, la più bella che avessi mai visto ed era munito del sigillo di nartece dell’Ordine, stampato in oro. Diceva:

A Coloro Cui Interessa —

La lettera che leggi identificherà un nostro servitore Severian di Nessus, un giovane uomo dai capelli e dagli occhi neri, dal volto pallido, snello, di statura molto superiore alla media. In quanto onori la memoria che custodiamo e puoi tu stesso desiderare in futuro il nostro soccorso e trovarti nella necessità di un onorevole ricovero, ti preghiamo di non ostacolare questo Severian che svolge un incarico che noi gli abbiamo affidato, ma piuttosto di fornirgli tutto l’aiuto che gli possa servire e che tu sia in grado di fornire.

Per l’Ordine delle Monache Viaggianti del Conciliatore, chiamate le Pellegrine, io sono

La Castellana Mannea Istruttrice e Direttrice

Una volta che fui entrato nello stretto canyon, tuttavia, tutti gli eserciti del mondo parvero svanire. Non vidi altri soldati, e l’acqua corrente soffocò il rumore delle distanti e tonanti colubrine dell’Autarca, ammesso che potessero essere udite in quel luogo.

La casa dell’anacoreta mi era stata descritta, e la descrizione era stata accompagnata da un disegno tracciato sulla mappa. Per di più, mi era stato detto che avrei impiegato due giorni a raggiungerla. Fui pertanto molto sorpreso quando, al tramonto, sollevai lo sguardo e la vidi appollaiata su un colle che incombeva dinnanzi a me.

Non c’era possibilità di errore. Il disegno di Mannea riproduceva perfettamente quell’alto, inclinato tetto a due falde con la sua aria di leggerezza e di forza. Una lampada brillava già ad una piccola finestra.

Sulle montagne, mi ero arrampicato su molte alture; alcune erano state molto più alte di quella ed altre… almeno all’aspetto… molto più ripide. Io mi ero preparato a dormire fra le rocce, ma, non appena vidi la casa dell’anacoreta, decisi che avrei trascorso lì la notte.

Il primo terzo della salita risultò facile. Scalai la superficie di roccia come un gatto, ed ero a più di metà dell’intera salita prima che la luce prendesse a svanire.

Ho sempre avuto una buona vista di notte, e, dicendomi che presto sarebbe sorta la luna, proseguii. In questo mi sbagliavo: la luna vecchia era morta mentre mi trovavo al lazzaretto e quella nuova non sarebbe sorta che fra pochi giorni. Le stelle fornivano comunque una certa luce, anche se erano ripetutamente coperte da fasce di nubi vaganti; ma si trattava di una luce ingannevole che sembrava peggiore del buio, salvo quando veniva a mancare. Mi sorpresi a ricordare come Agia avesse atteso con i suoi assassini che emergessi dalla grotta sotterranea che costituiva il regno degli uomini scimmia, e la pelle della schiena mi si arricciò, come anticipazione delle ardenti quadrelle di balestra.

Ben presto, una peggiore difficoltà mi si parò dinnanzi: avevo perso il senso dell’equilibrio. Non intendo dire che ero completamente alla mercé delle vertigini: sapevo ancora in modo generico che giù era la direzione dei miei piedi e che su era quella delle stelle, ma non riuscivo ad essere più preciso di così, e, di conseguenza, potevo valutare solo malamente quanto mi potevo sporgere alla ricerca di ogni nuovo appiglio.

Proprio nel momento in cui quella sensazione era peggiorata, le nubi passeggere serrarono le file e fui lasciato nella più totale oscurità. Qualche volta mi parve che la faccia dell’altura avesse assunto una pendenza minore, in modo che potevo quasi levarmi eretto e camminare su di essa. Qualche altra volta ebbi la sensazione di barcollare all’esterno… di dovermi aggrappare alla roccia, altrimenti sarei caduto. Spesso, ebbi la certezza di non essermi arrampicato affatto ma di essermi spostato per lunghe distanze a destra o a sinistra, ed una volta mi ritrovai quasi a testa in giù.

Alla fine, raggiunsi un costone e decisi di rimanere là fino a che fosse ritornata la luce. Mi avvolsi nel mantello, mi distesi e spostai il corpo in modo da avere la schiena saldamente appoggiata alla roccia alle mie spalle, ma non incontrai alcuna resistenza. Mi spostai ancora una volta, ma nulla. Cominciai a temere che il mio senso della direzione mi avesse abbandonato come aveva fatto quello dell’equilibrio e di essermi in qualche modo rigirato in modo da muovermi verso il fondovalle. Dopo aver tastato la roccia su entrambi i lati, mi distesi sulla schiena ed allargai le braccia.