A quelle parole mi misi a ridere, e l’antica amarezza che aveva contribuito a trascinarmi da Vodalus riapparve d’un tratto.
— Unita? Chiedere? So che ti sei isolato, Mastro, per concentrare la tua mente su cose più elevate, ma non avrei mai pensato che qualche uomo potesse sapere così poco della terra in cui vive. Carrieristi e mercenari desiderosi di avventure sono quelli che combattono questa guerra. Cento leghe a sud di qui essa è meno di una voce, all’esterno della Casa Assoluta.
— Allora — replicò Mastro Ash, sporgendo le labbra, — la tua Repubblica è più forte di quanto avrei creduto. Non mi meraviglio che i vostri nemici siano alla disperazione.
— Se questa è forza, che il Misericordioso ci preservi dalla debolezza. Mastro Ash, il fronte può crollare in qualsiasi momento. Sarebbe più saggio che tu venissi con me in un luogo più sicuro.
— Se — proseguì, dando l’impressione di non avermi sentito, — Erebus ed Abaia e gli altri scendono essi stessi in campo, ci sarà una nuova lotta. Se e quando. Interessante. Ma tu sei stanco. Vieni con me: ti farò vedere il tuo letto e le cose elevate che, come tu hai detto, sono venuto a studiare qui.
Salimmo due rampe di scale ed entrammo in una stanza che doveva essere quella la cui finestra avevo scorto illuminata la sera precedente. Era un’ampia camera con molte finestre, ed occupava tutto il piano. C’erano alcune macchine, ma erano più piccole e meno numerose di quelle che avevo visto nel castello di Baldanders, e c’erano anche tavoli, carte e molti libri, e, vicino al centro, uno stretto letto.
— Sonnecchio qui — spiegò Mastro Ash, — quando il mio lavoro non mi permette di ritirarmi. Non è grande per un uomo della tua struttura, ma spero che lo troverai comodo.
La notte precedente avevo dormito sulla pietra, ed il letto mi appariva davvero molto invitante.
Dopo avermi mostrato dove mi potevo lavare e dov’era il bagno, se ne andò. L’ultima occhiata che riuscii a dargli prima che egli oscurasse la luce mi permise di cogliere lo stesso perfetto sorriso che avevo già notato in precedenza.
Un momento più tardi, quando i miei occhi si furono abituati all’oscurità, smisi di meravigliarmi per quel sorriso, perché all’esterno di tutte le numerose finestre brillava un perlaceo ed uniforme bagliore.
— Siamo al di sopra delle nuvole — dissi a me stesso (esibendo anch’io un mezzo sorriso) — o piuttosto, qualche nuvola bassa ha avvolto la cima di quest’altura, senza che io me ne accorgessi a causa del buio, ma notata in qualche modo da lui. Adesso vedo le cime di quelle nubi, sostanza elevata, indubbiamente, come ho visto la superficie delle nubi dagli occhi di Typhon.
E mi distesi per dormire.
XVII
RAGNAROK — L’INVERNO FINALE
Mi parve strano destarmi senza un’arma accanto, anche se, per qualche ragione, quella era la prima mattina che provavo una simile sensazione. Dopo la distruzione di Terminus Est, avevo dormito mentre era in corso il saccheggio del castello di Baldanders senza provare alcun timore, e più tardi avevo viaggiato verso nord sempre senza paura. Appena la notte precedente, avevo dormito sulla nuda roccia della cima dell’altura senza avere un’arma e… forse solo perché ero così stanco… non avevo avuto timore. Adesso penso che durante tutti quei giorni, ed addirittura durante tutto il tempo trascorso da quando avevo lasciato Thrax, io mi ero dedicato al compito di lasciarmi la corporazione alle spalle ed ero giunto a credere di essere ciò per cui mi prendevano tutti coloro che incontravo… una specie di aspirante avventuriero del tipo che avevo menzionato a Mastro Ash la notte precedente. Come torturatore, non avevo considerato la mia spada tanto un’arma quando uno strumento ed un emblema della mia carica. Adesso, in retrospettiva, essa era divenuta per me un’arma, ed ora ne ero privo.
Pensai a questo mentre me ne stavo sdraiato sulla schiena sul comodo materasso di Mastro Ash, le mani intrecciate dietro il capo. Avrei dovuto procurarmi un’altra spada se fossi rimasto in quelle zone lacerate dalla guerra, e sarebbe stato saggio procurarmene una anche se fossi ritornato al sud. Il problema era se tornare o meno al sud. Se fossi rimasto dov’ero, correvo il rischio di essere trascinato in un conflitto in cui avrei potuto rimanere ucciso. Ma tornare al sud sarebbe stato per me ancor più pericoloso: Abdiesus, l’arconte di Thrax aveva indubbiamente bandito una ricompensa per la mia cattura, e la corporazione avrebbe certo provocato il mio assassinio se fosse venuta a sapere che mi trovavo nelle vicinanze di Nessus.
Dopo aver indugiato per qualche tempo sulla decisione da prendere, come fa chi è solo parzialmente sveglio, mi ricordai di Winnoc e di quel che mi aveva detto a proposito degli schiavi delle Pellegrine. Poiché è per noi una vergogna se i clienti muoiono dopo essere stati sottoposti alla tortura, nella corporazione ci vengono insegnate parecchie nozioni di medicina, ed io pensai di saperne già almeno quanto quegli schiavi. Quando avevo curato quella ragazza, nello jacal, mi ero sentito improvvisamente sollevato, e la Castellana Mannea aveva già una buona opinione di me, e ne avrebbe avuta una migliore quando fossi tornato con Mastro Ash.
Qualche momento prima, ero turbato per la mancanza di un’arma, ma adesso sentivo di possederne una… perché la risoluzione ed un piano sono meglio di una spada, in quanto un uomo affila su di esse la tempra del suo carattere. Gettai da un lato le coperte, notando, credo per la prima volta, quanto fossero soffici. La grande stanza era fredda, ma inondata della luce del sole: era quasi come se ci fossero quattro soli ai suoi lati, come se tutti i muri fossero rivolti ad est. Ancora nudo, mi avvicinai alla finestra più vicina e vidi quell’ondulato campo bianco che avevo solo vagamente notato la sera precedente. Non era una massa di nuvole, bensì una distesa di ghiaccio.
La finestra non si volle aprire, o, se era possibile aprirla, non mi riuscì di risolvere il mistero del suo meccanismo; misi comunque la faccia contro il vetro e sbirciai in basso più che potevo. L’Ultima Casa sorgeva, come avevo già notato in precedenza, su un’alta collina rocciosa, ma ora solo la cima di quella collina rimaneva libera dal ghiaccio. Passai da una finestra all’altra, ma la vista era sempre la stessa. Tornato vicino al letto in cui avevo dormito, m’infilai i pantaloni e gli stivali e mi allacciai il mantello intorno alle spalle, a stento consapevole di quel che facevo. Mastro Ash comparve quando avevo appena finito di vestirmi.
— Spero di non disturbare — esordì, — ma ti ho sentito camminare quassù.
Scossi il capo.
— Non ti volevo disturbare.
D’impulso, mi ero portato le mani alla faccia, perché adesso una sciocca parte di me stesso si era all’improvviso ricordata della barba lunga.
— Intendevo radermi prima di mettermi il mantello — spiegai. — Era una cosa stupida da parte mia: non mi sono rasato da quando ho lasciato il lazzaretto.
Era come se la mia mente stesse faticosamente avanzando sul ghiaccio, lasciando che la lingua e le labbra la seguissero meglio che potevano.
— Là c’è l’acqua calda ed il sapone.
— Bene — risposi, e poi aggiunsi: — Se scendessi al piano di sotto…
— Sarebbe lo stesso? — Era ricomparso quel sorriso. — Il ghiaccio? No. Tu sei il primo che lo ha intuito. Posso chiederti come hai fatto?
— Molto tempo fa… no, in effetti sono passati solo pochi mesi, anche se adesso mi sembra sia trascorso molto tempo, sono andato al Giardino Botanico di Nessus. C’era un luogo chiamato il Lago degli Uccelli, dove sembra che i corpi dei morti rimangano intatti per sempre. Mi è stato detto che dipendeva da una qualche caratteristica dell’acqua, ma io mi ero chiesto anche allora come potesse esserci tanto potere nell’acqua. C’era anche un altro posto, chiamato il Giardino della Giungla, dove le foglie erano più verdi di quanto avessi mai visto… non un verde brillante, ma cupo, come se le piante non riuscissero mai ad utilizzare tutta l’energia riversata su di esse dal sole. La gente di quel giardino non sembrava appartenere al nostro tempo, anche se non avrei saputo dire se apparteneva al passato o al futuro o ad una terza cosa che non era ne l’uno né l’altro. Avevano una piccola casa, che era molto più piccola di questa ma che, chissà come, le somigliava. Ho pensato molto al Giardino Botanico da quando l’ho lasciato, e qualche volta mi sono chiesto se il suo segreto fosse che il tempo non cambiava mai nel Lago degli Uccelli, e che si avanzava o indietreggiava nel tempo quando si seguiva il sentiero del Giardino della Giungla. Sto forse parlando troppo?