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— Intendevo dire che anch’io sfuggo il ghiaccio. Andiamo? — Si alzò in piedi. — Vorrai un po’ di cibo prima d’iniziare il viaggio per tornare da Mannea.

— Torneremo entrambi.

Si volse a guardarmi prima di avviarsi giù per le scale.

— Ti ho detto che non posso venire con te. Hai sperimentato di persona come sia ben nascosta questa casa. Per tutti coloro che non seguono il giusto sentiero, anche il piano più basso di essa si trova nel futuro.

Gli serrai entrambe le braccia dietro le spalle in una doppia morsa e mi servii della mano libera per cercargli addosso eventuali armi. Non ce n’erano, e, per quanto fosse forte, non lo era quanto avevo temuto.

— Hai intenzione di portarmi da Mannea. Ho ragione?

— Sì, Mastro, ed avremo molti fastidi in meno se verrai spontaneamente. Dimmi dove posso trovare un po’ di corda. Non voglio usare la cintura della tua tunica.

— Non ce n’è.

Gli legai le mani con la sua cintura, come avevo progettato fin dall’inizio.

— Quando saremo ad una certa distanza da qui — spiegai, — ti libererò se mi darai la tua parola di comportarti bene.

— Ti ho accolto nella mia casa. Che male ti ho fatto?

— Parecchio, ma non importa. Tu mi piaci, Mastro, ed io ti rispetto. Spero che non me ne vorrai per quanto ti sto facendo più di quanto io te ne voglia per quel che tu hai fatto a me. Ma le Pellegrine mi hanno mandato a prenderti, e io ritengo di essere un certo tipo d’uomo, se capisci cosa intendo. Adesso non scendere le scale troppo in fretta. Se dovessi cadere, non ti potresti tenere.

Lo guidai nella stanza in cui mi aveva fatto entrare quand’ero arrivato e presi un po’ di pane duro e un pacco di frutta secca.

— Io non penso più a me stesso come ad una sola persona — continuai, — ma sono stato allevato come… — mi salì alle labbra la parola torturatore, ma mi resi conto (allora, credo, per la prima volta) che quello non era affatto un termine adatto per definire l’attività della corporazione, ed usai invece la denominazione ufficiale — … come un Ricercatore della Verità e della Penitenza. Noi facciamo quel che abbiamo promesso che avremmo fatto.

— Ho doveri da adempiere, al livello superiore, quello dove hai dormito.

— Temo che non potranno essere adempiuti.

Rimase silenzioso mentre uscivamo sulla rocciosa cima dell’altura, quindi esclamò:

— Io verrò con te, se potrò. Ho spesso desiderato di uscire da quella porta e non fermarmi più.

Gli dissi che se avesse giurato sul suo onore lo avrei slegato subito.

— Potresti pensare che ti ho ingannato — replicò, scuotendo il capo.

Non compresi a cosa intendesse riferirsi.

— Forse, da qualche parte c’è la donna che ho chiamato Vine. Ma il tuo mondo è il tuo mondo, ed io posso esistere in esso solo se la probabilità della mia presenza è elevata.

— Io sono esistito nella tua casa, non è così? — obiettai.

— Sì, ma questo perché la tua probabilità era completa. Tu sei parte del passato da cui siamo venuti la mia casa ed io. Il problema è se io sono il futuro verso cui tu andrai.

Rammentai l’uomo verde di Saltus che era stato sufficientemente solido.

— Svanirai dunque come una bolla di sapone? — chiesi. — O come fumo?

— Non lo so — rispose. — Non so cosa mi accadrà. O dove andrò quando accadrà. Potrei cessare di esistere in qualsiasi tempo: è per questo che non me ne sono mai andato di mia volontà.

Lo presi per un braccio, suppongo perché pensavo che in quel modo lo avrei potuto tenere con me, e ci avviammo. Seguii la strada che Mannea mi aveva tracciato, e l’Ultima Casa si levò dietro di noi solida come qualunque altra. La mia mente era affollata da tutte le cose che mi aveva detto e mostrato, cosicché per qualche tempo, forse per venti o trenta passi, non mi volsi a guardarlo. La sua ultima osservazione a proposito dell’arazzo mi aveva fatto venire in mente Valeria, perché la stanza dove avevamo mangiato i pasticcini era rivestita di arazzi, e quel che Mastro Ash aveva detto a proposito dell’intreccio di fili mi aveva ricordato il labirinto di tunnels da me percorso prima di arrivare da lei. Feci per parlargliene, ma lui era svanito e la mia mano stringeva l’aria. Per un momento, mi parve di vedere l’Ultima Casa fluttuare come una nave su un oceano di ghiaccio, poi essa si fuse con la scura cima della collina su cui si era levata; il ghiaccio non era adesso altro che ciò per cui lo avevo preso, un banco di nubi.

XVIII

LA RICHIESTA DI FOILA

Per altri cento passi o più, Mastro Ash non scomparve del tutto. Percepii la sua presenza, e qualche volta perfino lo intravidi che mi camminava accanto, mezzo passo più indietro, quando non tentavo di guardare direttamente verso di lui. Come facessi a vederlo, come facesse lui ad essere presente ed al contempo assente, non lo so. I nostri occhi ricevono una pioggia di fotoni senza massa o carica dalle particelle sciamanti come un bilione di soli… così mi aveva insegnato il Maestro Palaemon, che era quasi cieco. A causa del ricadere di quei fotoni, noi crediamo di vedere un uomo, e talvolta l’uomo che crediamo di vedere può essere illusorio come Mastro Ash o anche di più.

Sentivo con me anche la sua saggezza: era stata una saggezza malinconica ma reale. Mi sorpresi a desiderare che egli fosse stato in grado di accompagnarmi, anche se mi resi conto che questo avrebbe significato che la venuta del ghiaccio era sicura.

— Io sono solo, Mastro Ash — dissi, non osando voltarmi indietro, — quanto, non lo avevo compreso fino ad ora. Anche tu eri solo, credo. Chi era la donna che tu hai chiamato Vine?

Forse immaginai soltanto la sua voce che rispondeva: — La prima donna.

— Meschiane? Sì, la conosco, ed è molto bella. La mia Meschiane era Dorcas, ed anch’io sento la sua mancanza, e quella di tutti gli altri. Quando Thecla divenne parte di me, pensai che non mi sarei mai più sentito solo di nuovo, ma ora essa è talmente parte di me che siamo come una persona sola, e posso sentire la mancanza degli altri. Di Dorcas, di Pia, la ragazza dell’isola, del piccolo Severian, di Drotte e di Roche. Se Eata fosse qui, lo abbraccerei.

«Soprattutto, mi piacerebbe rivedere Valeria. Jolenta era la donna più bella che abbia mai visto, ma nel volto di Valeria c’era qualcosa che mi ha lacerato il cuore. Ero soltanto un ragazzo, credo, anche se allora non mi sembrava così. Strisciai fuori dal buio e mi trovai in un luogo chiamato l’Atrio del Tempo. Alcune Torri… le Torri della famiglia di Valeria… si levavano su tutti i lati di essa, e nel centro c’era un obelisco coperto di meridiane, e, anche se ricordo di aver visto la sua ombra sulla neve, non poteva ricevere la luce del sole per più di due o tre turni di guardia al giorno, perché le torri lo tenevano in ombra la maggior parte della giornata. La tua comprensione è maggiore della mia, Mastro Ash… mi puoi dire perché l’hanno costruito in quel modo?

Il vento che giocava fra le fronde s’impadronì del mio mantello, sollevandomelo dalle spalle. Lo assicurai di nuovo e tirai su il cappuccio.

— Stavo seguendo un cane — ripresi. — Lo chiamavo Triskele, e dicevo, anche a me stesso, che mi apparteneva, anche se non avevo il diritto di tenere un cane. Era un giorno d’inverno quando lo avevo trovato. Stavamo facendo il bucato… lavavamo le lenzuola dei clienti… e lo scarico si era intasato di stracci e garze. Io avevo cercato di evitare quel lavoro, ma Drotte mi ordinò di andare fuori e di sbloccarlo. Il vento era terribilmente freddo, a causa dell’arrivo del tuo ghiaccio, suppongo, anche se allora non lo sapevo… Gli inverni si stavano facendo peggiori ogni anno. E, naturalmente, quando avessi aperto il canale di scolo, ne sarebbe uscita un’ondata di acqua sporca che mi avrebbe bagnato le mani.