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Dopo, il resto fu facile. Lasciai cadere la ragazza, afferrai la cavezza e torsi il collo al destriero facendogli mancare di sotto le zampe anteriori con un calcio, come ci viene insegnato di fare con i clienti riottosi. Si abbatté con un acuto strillo animalesco, ed io fui in sella prima che riuscisse a rimettersi in piedi, e di là gli sferzai i fianchi con le redini, facendolo balzare fra la folla; quindi lo costrinsi a girare e caricai ancora.

Per tutta la mia vita avevo sentito parlare dell’eccitamento dato da quel tipo di combattimento, anche se non lo avevo mai sperimentato, ed ora stavo scoprendo che era più che vero. I soldati e le loro donne gridavano e correvano, e qualcuno aveva estratto una spada, ma avrebbero potuto minacciare un tuono con maggiore efficacia… cavalcai sopra una mezza dozzina di loro in una sola passata. I capelli rossi della ragazza sventolavano come una bandiera mentre fuggiva, ma nessun paio di gambe umane avrebbe potuto distanziare quelle dello stallone. Le passai accanto in un lampo, la afferrai per quella fiammeggiante bandiera, e la trassi in sella dinnanzi a me.

Una pista contorta portava ad uno scuro dirupo, e questo ad un altro. I daini si sparpagliarono dinnanzi a noi; in tre balzi raggiungemmo un cervo dal manto vellutato e lo allontanammo con una spallata dal sentiero. Quando ero Littore di Thrax, avevo sentito dire che spesso gli eclettici inseguivano la selvaggina e balzavano dalle loro cavalcature per trafiggerla. Adesso credo a quelle storie… avrei potuto tagliare la gola a quel cervo con un coltello da macellaio.

Ce lo lasciammo alle spalle e superammo una nuova collina, saettando giù in una silenziosa valle alberata. Quando il pezzato ebbe esaurito le energie, gli permisi di scegliersi la strada fra gli alberi, i più grossi che avessi visto da quando avevo lasciato Saltus; e quando si arrestò per pascolare fra la tenera erba sparsa che cresceva fra le radici, lo fermai, gettai le redini a terra come avevo visto fare a Guasacht, quindi smontai ed aiutai la ragazza dai capelli rossi a scendere.

— Grazie — mi disse, e poi aggiunse: — Ce l’hai fatta. Non credevo ci saresti riuscito.

— Altrimenti non avresti accettato la cosa? Avevo supposto che ti avessero costretta.

— Non ti avrei colpito con la frusta. Ora ti vorrai ripagare, vero? Colle redini, suppongo.

— Cosa te lo fa credere? — Ero stanco e sedetti. Fiori gialli, ciascuno non più grosso di una goccia d’acqua, crescevano fra l’erba. Ne raccolsi alcuni e trovai che profumavano di calambac.

— Sembri il tipo, e poi mi hai presa a testa in giù, e gli uomini che lo fanno hanno sempre voglia di colpire il sedere.

— Non lo sapevo, ma è interessante.

— Ne conosco un mucchio… di quel tipo. — Si sedette accanto a me, rapida e graziosa, e mi mise una mano sul ginocchio. — Ascolta, era l’iniziazione, tutto qui. Facciamo a turno, e toccava a me e si aspettavano che ti colpissi. Ora è finito.

— Capisco.

— Allora non mi farai alcun male? Meraviglioso! Possiamo stare bene qui, davvero. Tutto quello che vuoi e quanto ne vuoi, e non torneremo indietro fino a che sarà ora di mangiare.

— Non ho detto che non ti avrei fatto del male.

Il suo volto, che si era alterato per esibire sorrisi forzati, si fece sgomento, e la ragazza abbassò gli occhi al suolo. Le suggerii di scappare via.

— Questo ti farebbe soltanto divertire di più, e mi faresti ancora più male prima che avessimo finito. — La sua mano risalì la mia coscia mentre lei parlava. — Sei carino, lo sai? Così alto, e con quegli occhi luminosi. — Si chinò in avanti, premendo il volto nel mio grembo poi si raddrizzò immediatamente. — Potrebbe essere bello. Lo potrebbe davvero.

— Oppure ti potresti uccidere. Hai un coltello?

Per un istante, la sua bocca formò un cerchio perfetto.

— Sei pazzo, vero? Avrei dovuto saperlo. — Balzò in piedi.

L’afferrai per una caviglia e la mandai a cadere distesa nell’erba. La sua tunica era consunta dall’uso e venne via con uno strattone.

— Avevi detto che non saresti fuggita.

Mi guardò da sopra la spalla con occhi dilatati, ed aggiunsi:

— Tu non hai alcun potere su di me, né tu né loro. Io non temo la sofferenza o la morte. C’è una sola donna vivente che io desideri e nessun uomo tranne me stesso.

XX

DI PATTUGLIA

Occupavamo un perimetro il cui diametro non superava i duecento passi. Per lo più, i nostri nemici erano armati soltanto di coltelli e di asce. Quelle asce e gli abiti laceri mi ricordavano i volontari contro i quali avevo aiutato Vodalus nella nostra necropoli… ma erano già centinaia e ne stavano arrivando altri.

Il bacele aveva sellato i cavalli e lasciato il campo prima dell’alba. Le ombre erano ancora lunghe sul fronte in movimento, quando un esploratore aveva mostrato a Guasacht i profondi solchi di una carrozza che stava viaggiando verso nord. Per tre turni di guardia, l’avevamo seguita.

I razziatori Asciani che l’avevano catturata combattevano bene, piegando a sud per sorprenderci, e poi ad ovest e quindi nuovamente a nord come un serpente che si contorcesse; ma si lasciavano sempre dietro una scia di morti, presi fra il nostro fuoco e quello delle guardie all’interno del veicolo, che sparavano loro attraverso le feritoie. Fu soltanto verso la fine, quando gli Asciani non furono più in grado di fuggire, che ci rendemmo conto della presenza di altri cacciatori.

Verso mezzogiorno, la valletta era circondata. La lucente carrozza d’acciaio, con i suoi prigionieri morti e moribondi, si era infangata fino ai mozzi delle ruote, ed i prigionieri Asciani se ne stavano accoccolati dinnanzi ad essa, sorvegliati dai nostri feriti. Il comandante Asciano parlava la nostra lingua, e, un turno di guardia prima, Guasacht gli aveva ordinato di liberare la carrozza dal fango ed aveva fatto abbattere parecchi Asciani quando non ci erano riusciti. Ne rimanevano poco più di una trentina, seminudi, inerti e con gli occhi vacui. Le loro armi erano ammucchiate ad una certa distanza, vicino ai nostri cavalli impastoiati.

Adesso Guasacht stava facendo un giro di controllo e lo vidi soffermarsi presso un pezzo di tronco che proteggeva il soldato che mi stava accanto. Uno dei nemici, una donna, fece capolino da dietro un ammasso cespuglioso su per il pendio. Il mio contus la colpì con una scarica di fiamme e la donna sobbalzò per riflesso, poi si raggomitolò come fanno i ragni quando vengono gettati nel fuoco. Aveva un volto pallido sotto la fascia rossa che le cingeva la fronte, e compresi che era stata costretta a guardare… che qualcuno fra coloro che si celavano dietro quei cespugli l’aveva avuta in antipatia, o almeno l’aveva considerata sacrificabile, e l’aveva forzata a guardare fuori. Feci ancora fuoco, colpendo la verzura con il raggio e generando una folata di fumo acre che soffiò verso di me come se fosse stato il suo spirito.

— Non sprecare quelle cariche — mi ammonì Guasacht. Più per abitudine, credo, che per timore, si era gettato a terra accanto a me.

Chiesi se le cariche si sarebbero esaurite prima di notte se avessi sparato sei volte per turno di guardia, ed egli scrollò le spalle, poi scosse il capo.

— Questa è la velocità con cui ho fatto fuoco, stando a quanto posso giudicare dal sole. E quando scenderà la notte…

Lo guardai, ed egli poté solo scrollare di nuovo le spalle.

— Quando scenderà la notte — proseguii, — non riusciremo a vederli fino a che non saranno a pochi passi di distanza. Spareremo più o meno a casaccio, e ne uccideremo qualche altra ventina, poi estrarremo le spade e ci metteremo schiena contro schiena, e loro ci uccideranno.