— Gli aiuti arriveranno prima di allora — replicò Guasacht, e, quando notò che non gli credevo, sputò al suolo. — Vorrei non aver mai guardato la traccia di quella dannata cosa. Vorrei non averne mai sentito parlare.
— Restituiscila agli Asciani. — Fu la mia volta di scrollare le spalle. — Così riusciremo facilmente ad aprirci un varco.
— Si tratta di soldi, te lo dico io! È troppo pesante perché possa trattarsi d’altro. È l’oro per pagare i nostri soldati.
— Il rivestimento deve pesare parecchio.
— Non così tanto. Ho già visto quelle carrozze prima d’ora, e contengono l’oro proveniente da Nessus o dalla Casa Assoluta. Ma quelle cose all’interno… chi ha mai visto creature simili?
— Io le ho viste.
Guasacht mi fissò.
— Quando ho oltrepassato la Porta della Pietà, nelle Mura di Nessus. Sono uomini-bestia, creati con le stesse arti che hanno reso i nostri destrieri più veloci degli antichi motori. — Tentai di ricordare cos’altro Jonas mi avesse detto su di loro, e terminai, piuttosto debolmente, dicendo: — L’Autarca li utilizza per compiti troppo faticosi per gli uomini, o per i quali gli uomini non danno affidamento.
— Suppongo che questo possa essere abbastanza esatto. Essi non possono certo rubare il denaro. Dove andrebbero? Ascolta, ti ho tenuto d’occhio.
— Lo so — replicai, — me ne sono accorto.
— Ti ho tenuto d’occhio, ho detto. Particolarmente da quando hai costretto quel tuo pezzato a dare addosso all’uomo che lo aveva addestrato. Quassù in Orithya, vediamo un mucchio di uomini forti e molto coraggiosi… soprattutto quando camminiamo sui loro corpi. Vediamo anche parecchi uomini furbi, e diciannove su venti sono troppo furbi per poter essere di qualsiasi utilità a chiunque, compresi se stessi. Ciò che ha valore sono gli uomini, e, qualche volta, le donne, che posseggono un certo tipo di potere, il potere che spinge le altre persone a desiderare di fare ciò che essi dicono. Non intendo vantarmi, ma io ho questo potere, ed anche tu lo possiedi.
— Prima d’ora non è stato eccessivamente apparente nella mia vita.
— Qualche volta, ci vuole la guerra per farlo affiorare. Questo è uno dei benefici della guerra, e, dal momento che essa non ne ha molti, dobbiamo apprezzare quelli che ha. Severian, voglio che tu ti avvicini alla carrozza per trattare con quegli uomini-bestia. Dici di sapere qualcosa su di loro. Inducili a venire fuori e ad aiutarci a combattere. Siamo entrambi dalla stessa parte, dopo tutto.
— E — risposi, annuendo, — se mi riesce d’indurii ad aprire la porta, potremmo dividere il denaro fra noi. Alcuni di noi, per lo meno, potranno fuggire.
— Cosa ti ho detto poco fa circa l’essere furbi? — Guasacht scosse il capo con disgusto. — Se tu fossi veramente furbo, non lo avresti ignorato. No, dì loro che anche se sono soltanto tre o quattro, ogni combattente conta. Inoltre, esiste una minima probabilità che la loro vista spaventi questi dannati predoni. Dammi il tuo contus, ed io terrò la postazione fino al tuo ritorno.
— Chi è questa gente, tra parentesi? — chiesi, porgendogli la lunga arma.
— Questi? Seguaci dei soldati, vivandieri e prostitute, diseriori… uomini e donne. Di tanto in tanto, l’Autarca o uno dei suoi ufficiali li fa radunare e li mette al lavoro, ma scivolano presto via di nuovo. Scivolare via è la loro specialità. Dovrebbero essere spazzati via.
— Ho la tua autorità per trattare con i prigionieri nella carrozza? Mi sosterrai dopo?
— Quelli non sono prigionieri… ecco, sì, suppongo lo siano. Tu riferisci loro quel che ti ho detto e concludi il miglior accordo possibile. Ti sosterrò.
Lo fissai per un momento, tentando di decidere se diceva sul serio. Come tanti uomini di mezz’età, egli portava sul volto le tracce del vecchio che sarebbe diventato, amaro ed osceno, che già borbottava fra sé le obiezioni e le proteste che sarebbero state sue nel combattimento finale.
— Hai la mia parola. Procedi.
— D’accordo. — Mi alzai. La carrozza corazzata ricordava quelle che venivano utilizzate per trasportare nella nostra torre nella Cittadella i clienti più importanti. Le sue finestre erano strette e sbarrate, le ruote poteriori alte quanto un uomo. I lisci fianchi d’acciaio facevano pensare a quelle arti da tempo perdute che avevo menzionato a Guasacht, e sapevo che gli uomini-bestia rinchiusi all’interno avevano armi migliori delle nostre. Protesi le mani per far vedere che ero disarmato, e camminai con la massima fermezza possibile verso di loro fino a che una faccia apparve all’inferriata di una finestra.
Quando si sente parlare di simili creature, s’immagina qualcosa di stabile, a metà fra l’uomo e la bestia, ma quando li si vede effettivamente… come io vedevo ora quell’uomo-bestia, e come avevo visto gli uomini-scimmia nella miniera vicino a Saltus… essi non sono affatto così. Il migliore paragone possibile è quello con una betulla argentea agitata dal vento. Un momento, essa sembra un albero comune, e quello successivo, quando sono visibili i lati inferiori delle foglie, una creatura soprannaturale. Così è anche con gli uomini-bestia. All’inizio, ebbi l’impressione che un mastino mi stesse sbirciando fra le sbarre, ma poi mi parve trattarsi piuttosto di un uomo, nobilmente brutto, con il volto rossiccio e gli occhi color ambra. Sollevai la mano verso la griglia perché la fiutasse, ricordandomi di Triskele.
— Cosa vuoi? — La voce era aspra, ma non spiacevole.
— Voglio salvare le vostre vita — replicai. Era la cosa più sbagliata da dire, e lo compresi nel momento in cui le parole mi uscirono di bocca.
— Noi vogliamo salvare il nostro onore.
— L’onore è più importante della vita — convenni.
— Se puoi dirci come salvare il nostro onore, parla e noi ascolteremo. Ma non consegneremo mai ciò che ci è stato affidato.
— Lo avete già consegnato.
Il vento cessò, ed il mastino ricomparve immediatamente, i denti lampeggianti e gli occhi ardenti.
— Non è stato per proteggere l’oro degli Asciani che siete stati messi su questa carrozza, ma per difenderlo da coloro che appartengono alla nostra stessa Repubblica e che lo ruberebbero se solo potessero. Gli Asciani sono battuti, guardali. Noi siamo gli umani leali all’Autarca. Coloro contro i quali siete stati messi di guardia ci sopraffarranno presto.
— Essi dovranno uccidere me ed i miei compagni prima di arrivare all’oro. Dunque, era proprio oro.
— Lo faranno — risposi. — Venite fuori ed aiutateci a combattere fino a che esiste ancora una possibilità di vincere.
Esitò, e non fui più del tutto certo di aver completamente sbagliato prima, quando avevo innanzitutto parlato di salvare la sua vita.
— No — rispose, — non possiamo. Quello che tu dici può essere ragionevole, ma noi non lo sappiamo. La nostra legge non è quella della ragione, ma quella dell’onore e dell’obbedienza. Rimarremo.
— Ma sai che noi non siamo vostri nemici?
— Chiunque cerchi ciò che proteggiamo è nostro nemico.
— Lo stiamo proteggendo anche noi. Se questi disertori e sbandati arriveranno a portata di tiro delle vostre armi, sparerete loro contro?
— Certo, naturalmente.
Mi avvicinai allo scoraggiato gruppo di Asciani e chiesi di parlare con il loro comandante. L’uomo che si alzò era appena più alto di statura degli altri, e il tipo d’intelligenza che appariva sul suo volto era quello che talvolta si nota nei pazzi dotati di furbizia. Gli dissi che Guasacht mi aveva mandato a trattare in vece sua perché avevo spesso parlato con prigionieri Asciani e sapevo come fare. Quelle parole furono udite, come era mia intenzione, anche dai tre feriti di guardia, che potevano vedere Guasacht tenere la mia postazione lungo il perimetro.