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— Saluti in nome del Gruppo del Diciassette — disse l’Asciano.

— Nel nome del Gruppo del Diciassette — ripetei. L’Asciano parve sorpreso ma annuì. — Siamo circondati — proseguii, — da sudditi sleali all’Autarca che sono pertanto nemici sia dell’Autarca che del Gruppo del Diciassette. Il nostro comandante, Guasacht, ha studiato un piano che ci lascerà tutti vivi e liberi.

— I servitori del Gruppo del Diciassette non devono essere sacrificati senza scopo.

— Precisamente. Ecco il piano. Attaccheremo alcuni dei nostri destrieri alla carrozza d’acciaio… quanti saranno necessari per liberarla. Anche tu e la tua gente dovrete lavorare per liberarla. Quando sarà uscita dal fango, vi restituiremo le armi e vi aiuteremo ad aprirvi combattendo la strada attraverso questo cordone di uomini. I tuoi soldati ed i nostri andranno a nord, e tu potrai tenere la carrozza ed il denaro che c’è dentro per farli vedere ai tuoi superiori, proprio come speravi quando l’hai catturata.

— La luce del Corretto Pensiero penetra perfino l’oscurità.

— No, noi non siamo passati dalla parte del Gruppo del Diciassette. Voi ci dovrete dare in cambio il vostro aiuto. In primo luogo, aiutarci a far uscire quella carrozza dal fango. In secondo luogo, aiutarci ad aprirci un varco combattendo. In terzo luogo, fornirci una scorta che ci faccia passare attraverso il vostro esercito e tornare alle nostre linee.

L’Ufficiale Asciano lanciò un’occhiata in tralice in direzione della lucente carrozza.

— Nessun fallimento è tale in permanenza. Ma l’inevitabile successo può richiedere nuovi piani ed una forza maggiore.

— Allora tu approvi il mio nuovo piano? — Non mi ero accorto che stavo sudando, ma ora il sudore mi scorreva pungente negli occhi. Mi asciugai la fronte con il bordo del mantello, proprio come usava fare il Maestro Gurloes.

— Lo studio del Corretto Pensiero — annuì l’ufficiale Asciano, — rivela alla fine il sentiero del successo.

Quando tornai alla carrozza, lo stesso uomo-bestia con cui avevo parlato in precedenza si mostrò al finestrino, ma questa volta non era più così ostile.

— Gli Asciani hanno acconsentito ad aiutarci ancora una volta a tentare di liberare quest’aggeggio — spiegai. — Lo dovremo scaricare.

— Questo è impossibile.

— Se non lo facciamo, l’oro andrà perduto con il calare del sole. Non vi sto chiedendo di rinunciare ad esso… solo di portarlo fuori e di fargli la guardia. Avrete le vostre armi, e se qualche umano armato si dovesse avvicinare a voi, lo potrete uccidere. Io rimarrò con voi, disarmato. Potrete uccidere anche me.

Mi ci vollero molte altre chiacchiere, ma alla fine lo fecero. Ordinai ai tre feriti di guardia agli Asciani di posare i loro conti e di attaccare otto dei nostri destrieri alla carrozza, quindi feci mettere, in posizione gli Asciani, perché tirassero i finimenti e sollevassero le ruote. Allora, la porta nel fianco della carrozza di ferro si spalancò e gli uomini-bestia portarono fuori piccole cassette di metallo, e due soli di loro lavorarono, mentre il terzo, quello con cui avevo parlato, rimaneva di guardia. Erano anche più alti di quanto mi fossi aspettato, e disponevano di fucili, più le pistole infilate nelle cinture… le prime pistole che avessi visto da quando gli Hieroduli le avevano usate per deviare le cariche di Baldanders, nei giardini della Casa Assoluta.

Quando tutte le cassette furono fuori, con i tre uomini-bestia disposti di guardia con le armi pronte, gridai. I soldati feriti frustarono tutti i destrieri aggiogati alla carrozza, gli Asciani sollevarono fino a che gli occhi furono sul punto di schizzare fuori dalle facce tese… e proprio quando cominciavamo tutti a pensare che non ce l’avremmo fatta, la carrozza d’acciaio si liberò dal fango e procedette di una mezza catena prima che i soldati feriti riuscissero a farla arrestare. Guasacht per poco non ci fece uccidere tutti, venendo di corsa dal perimetro di guardia ed agitando il mio contus sopra la testa, ma gli uomini-bestia ebbero abbastanza buon senso da vedere che era semplicemente eccitato e non pericoloso.

Guasacht si agitò ancora di più quando vide gli uomini-bestia riportare l’oro all’interno della carrozza, e quando sentì quello che avevo promesso agli Asciani. Gli ricordai che mi aveva lasciato libero di trattare in suo nome.

— Quando io agisco — farfugliò, — è con l’idea di vincere.

Confessai di non avere tutta la sua esperienza militare, ma gli spiegai che avevo scoperto come in alcune situazioni vincere consistesse semplicemente nel disimpegnare se stessi dal nemico.

— Nonostante tutto, speravo che tu riuscissi ad escogitare qualcosa di meglio.

Continuando a sollevarsi mentre noi rimanevamo inconsapevoli del loro movimento, i picchi montani ad ovest stavano già tentando di artigliare la parte inferiore del sole. Glielo feci notare ed improvvisamente Guasacht sorrise.

— Dopo tutto, questi sono gli stessi Asciani cui abbiamo già preso una volta la preda.

Convocò l’ufficiale Asciano e gli disse che i nostri soldati a cavallo avrebbero guidato l’attacco, mentre i suoi uomini avrebbero potuto seguire a piedi la carrozza d’acciaio. L’Asciano si dichiarò d’accordo, ma, quando i suoi soldati ebbero ripreso le armi, insistette per collocarne una mezza dozzina sul tetto della carrozza e per condurre egli stesso l’attacco con i rimanenti. Guasacht acconsentì con una mala grazia che mi parve del tutto simulata. Facemmo montare un soldato armato in sella a ciascuno degli otto destrieri della nuova pariglia, e scorsi Guasacht parlare con estrema serietà con il loro capo.

Avevo promesso all’Asciano che avremmo spezzato il cordone dei disertori verso nord, ma il terreno in quella direzione si dimostrò inadatto alla carrozza d’acciaio, ed alla fine si decise per un tracciato che andava verso nord ovest. La fanteria Asciana avanzò ad un passo appena più lento di un’andatura di corsa, sparando mentre si muoveva, seguita dalla carrozza. I corti e persistenti raggi dei conti dei soldati trapassarono la massa di straccioni che tentava di serrarsi intorno a noi, e gli archibugi degli Asciani sul tetto del veicolo riversarono fra loro sprazzi di energia violetta. Gli uomini-bestia facevano fuoco con i fucili attraverso le finestre sbarrate, uccidendo ad ogni colpo una mezza dozzina di avversari.

Il rimanente delle nostre truppe, ed io con gli altri, seguimmo la carrozza, avendo mantenuto la nostra postazione lungo il perimetro fino a che non se n’era andata. Per risparmiare cariche preziose, molti di noi infilarono i loro conti negli anelli delle selle, estrassero le spade e cavalcarono attraverso i resti sbandati che gli Asciani e la carrozza si erano lasciati alle spalle.

Poi il nemico fu superato ed il terreno si fece più sgombro. Immediatamente, i soldati le cui cavalcature trainavano la carrozza, conficcarono gli speroni nei fianchi dei destrieri, e Guasacht, Erblon e parecchi altri che cavalcavano subito dietro di essa spazzarono via gli Asciani dal suo tetto in una nube di fiamme carminie e di fumo acre. Quelli a piedi si sparpagliarono e poi si volsero per fare fuoco.

Fu un combattimento cui sentivo di non poter prendere parte. Tirai le redini e così vidi… prima, credo, di chiunque altro, il primo degli anpiels che scendevano, come l’angelo della fiaba di Melito, dalle nubi illuminate dal sole. Erano belli da guardare, con i nudi corpi snelli che sembravano appartenere a giovani donne; ma le ali color dell’arcobaleno erano più ampie di quelle di qualsiasi teratornide, e ciascun anpiel faceva fuoco con una pistola per mano.

Più tardi, quella notte, dopo esser tornati al campo ed esserci presi cura dei feriti, chiesi a Guasacht se avrebbe ripetuto ciò che aveva fatto.