Una strada attraversava il basso terreno alla nostra sinistra, e su di essa, lungo entrambi i lati, avanzava una forza molto più numerosa della nostra colonna e del complesso dei cavalieri selvaggi e dei loro compagni: c’erano battaglioni di peltasti con lance fiammeggianti e grandi scudi trasparenti; hobilieri montati su cavalcature caracollanti, con archi e faretre di frecce sospesi alla schiena; cherkajis dall’armamento leggero le cui formazioni erano mari di bandiere e piume.
Non potevo sapere nulla del coraggio di quegli strani soldati che erano di colpo divenuti miei camerati, ma presunsi inconsciamente che non fosse maggiore del mio, ed essi sembravano realmente rappresentare una scarsa difesa contro i puntini che si muovevano sul lato opposto. Il fuoco cui eravamo sottoposti si fece più intenso, mentre, per quanto potevo vedere, i nostri nemici non subivano fuoco di sorta.
Solo poche settimane prima (anche se ora mi sembrava fosse passato almeno un anno) sarei rimasto terrorizzato al pensiero che qualcuno mi sparasse con un’arma come quella che Vodalus aveva usato in quella notte nebbiosa nella nostra necropoli, con la cui narrazione ho iniziato questa cronaca.
I colpi che cadevano tutt’intorno a noi facevano ora sembrare quel raggio isolato altrettanto infantile come i proiettili scagliati dall’arciere del capo del villaggio.
Non avevo idea del tipo di congegno usato per produrre quei lampi, oppure se essi fossero fatti di pura energia o fossero generati da qualche tipo di missile; comunque, quando atterravano intorno a noi, la loro natura era quella di un’esplosione prolungata in qualcosa di simile ad un’asta. Inoltre, anche se non era possibile vederli arrivare, quei colpi fischiavano nell’avvicinarsi, e, in base a quella nota fischiante, che non durava più di un battito di ciglia, imparai ben presto a calcolare quanto sarebbero caduti vicino e quanto sarebbe stata violenta la susseguente, estesa detonazione. Se non vi era alcuna variazione di tono, cosicché esso sembrava la nota che un coripaheus è in grado di emettere col suo strumento, il colpo sarebbe caduto ad una certa distanza. Ma se il tono saliva rapidamente, come se una nota dapprima suonata per uomini fosse divenuta una nota per gole femminili, allora l’impatto sarebbe avvenuto nelle vicinanze. E, sebbene solo i più penetranti di quei sibili monotonici fossero pericolosi, ciascuno di essi che si levava in un acuto, reclamava la vita di almeno uno di noi, e spesso di parecchi.
Sembrava pazzia avanzare al trotto come stavamo facendo. Avremmo dovuto sparpagliarci oppure smontare e cercare rifugio fra gli alberi, e se uno di noi lo avesse fatto, credo che gli altri lo avrebbero imitato. Ad ogni colpo che cadeva, arrivavo quasi sul punto di essere io quell’uno, ma, ogni volta, come se la mia mente fosse stata incatenata in un qualche stretto cerchio, il ricordo della paura che avevo in precedenza mostrato di provare mi teneva al mio posto. Che gli altri fuggissero, ed io sarei fuggito con loro, ma non sarei stato io il primo a farlo.
Inevitabilmente, un colpo si abbatté in direzione parallela alla nostra colonna. Sei soldati esplosero come se avessero contenuto nei loro corpi piccole bombe, e la testa del primo scoppiò in un getto scarlatto, il secondo venne colpito al collo ed alle spalle, il terzo al petto, il quarto ed il quinto al ventre e l’ultimo all’inguine (o forse sulla sella e sul dorso del destriero), prima che il raggio raggiungesse il suolo sollevando un getto di polvere e pietre. Anche gli uomini e gli animali che si trovavano dal lato opposto di quelli così distrutti rimasero uccisi, abbattuti dalla forza dell’esplosione e bombardati dagli arti e dai pezzi di armatura dei compagni.
Tenere il pezzato al passo o al massimo al trotto era la cosa peggiore; se non potevo fuggire, allora volevo farmi avanti, dare inizio al combattimento, per morire, se ero effettivamente destinato a questo. Quel colpo mi offrì l’opportunità di dare sfogo ai miei sentimenti. Facendo cenno a Daria di seguirmi, spinsi il pezzato al galoppo oltre il piccolo gruppo di sopravvissuti che si erano trovati fra noi e l’ultimo dei soldati uccisi, ed andai ad occupare la posizione precedentemente tenuta dalle vittime. Mesrop si trovava già là e mi sorrise.
— Buona idea. È probabile che qui non cadrà un altro colpo per un po’.
Evitai di disingannarlo.
Per qualche tempo, comunque, parve che egli avesse ragione. Dopo averci colpiti, i cannonieri nemici spostarono il fuoco sui selvaggi alla nostra destra. La strascicante fanteria strillò e farfugliò quando i colpi si abbatterono sulle sue file, ma i cavalieri reagirono, almeno così parve, invocando una qualche magia che li proteggesse. Spesso i loro canti erano talmente chiari da permettermi di distinguerne le parole, anche se si trattava di un linguaggio sconosciuto. Ad un tratto uno di loro si levò addirittura in piedi sulla sella come se partecipasse ad un’esibizione ippica, e sollevò una mano verso il sole, protendendo l’altra verso gli Asciani. Ogni cavaliere sembrava avere un suo incantesimo personale, ed era facile vedere, man mano che il loro numero si riduceva sotto il bombardamento, come quelle menti primitive arrivassero a credere negli incantesimi, perché i superstiti non potevano fare a meno di pensare di essere stati salvati dalla loro taumaturgia, mentre gli altri non potevano lamentarsi per il modo in cui la loro aveva fallito.
Anche se stavamo avanzando prevalentemente al trotto, non fummo i primi ad ingaggiare la lotta con il nemico. Sul terreno più basso, i cherkajis erano sciamati nella vallata, abbattendosi come un’onda di fuoco contro un quadrato formato da fanteria nemica.
Avevo vagamente supposto che il nemico avrebbe avuto a disposizione armi di gran lunga superiori a quelle possedute da noi contarii… forse pistole e fucili come quelli usati dagli uomini-bestia… e che un centinaio di combattenti così armati avrebbe facilmente distrutto una qualsiasi forza di cavalleria, ma non accadde nulla di simile. Parecchie file del quadrato cedettero, ed io ero abbastanza vicino da poter sentire le grida di guerra dei cavalieri, distanti eppure chiare, e da distinguere i singoli fanti in fuga. Alcuni gettavano via immensi scudi, ancora più grandi di quelli trasparenti dei peltasti, anche se questi brillavano in modo metallico. Le loro armi d’offesa sembravano essere lance dalla testa piatta e non più lunghe di tre cubiti, in grado di emettere getti di fiamma, ma a corto raggio.
Un secondo quadrato di fanteria emerse dietro il primo, seguito da un altro e da un altro ancora, più in giù nella vallata.
Proprio quando cominciavo a sentirmi certo che saremmo andati in aiuto dei cherkajis, ricevemmo l’ordine di arrestarci. Guardando a destra, notai che i selvaggi lo avevano fatto, fermandosi ad una certa distanza da noi, e che erano adesso intenti a raggruppare le pelose creature che li accompagnavano sul lato della loro fila più lontano da noi.
— Dobbiamo formare un blocco! — gridò Guasacht. — Prendetevela calma, ragazzi!
Osservai Daria, che incontrò il mio sguardo con uno altrettanto stupito. Mesrop agitò un lungo braccio in direzione dell’estremità orientale della vallata.
— Stiamo sorvegliando il fianco. Se non arriva nessuno, oggi dovremmo avere una giornata abbastanza buona.
— Eccetto per quelli che sono già morti — replicai. Il bombardamento, che era da un po’ in diminuzione, sembrava ora essere cessato del tutto. Il silenzio generato dalla sua assenza ci circondava, ed era quasi più terrificante di quanto lo erano stati i colpi sibilanti.
— Suppongo di sì. — La sua scrollata disse eloquentemente che avevamo perso solo poche dozzine di uomini su un contingente di centinaia.
I cherkajis erano indietreggiati, ritirandosi dietro uno schermo di hobilers che diressero uno sciame di frecce contro la prima fila della scacchiera degli Asciani. La maggior parte dei dardi parve venire deviata dagli scudi, ma alcuni dovettero conficcarsi in essi, appiccando il fuoco al metallo che prese a bruciare di una fiamma altrettanto viva quanto quella delle frecce, generando nubi di fumo bianco.