— Nessuno insegnerà quel tipo di giustizia che insegnate voi. Hai affermato che la nostra pietà si estende da sole a sole, e noi speriamo che sia così. Nella nostra pietà, concederemo anche ai più malvagi una rapida morte, non perché li compatiamo, ma perché è intollerabile che uomini buoni debbano trascorrere la loro vita dispensando sofferenza.
La sua testa si sollevò e le lenti lampeggiarono: per la prima ed unica volta in tutti quegli anni, riuscii ad intravedere in lui il giovane che era stato.
— Deve essere fatto da uomini buoni. Sei stato mal consigliato, Autarca! Quel che è intollerabile è che possa essere fatto da uomini cattivi!
Sorrisi. Il suo volto, come lo vedevo allora, mi aveva ricordato qualcosa che avevo allontanato dalla mia mente alcuni mesi prima, e cioè il fatto che la corporazione era la mia famiglia e l’unica casa che avrei mai posseduto. Non avrei mai trovato un amico al mondo se non ne avessi trovati qui.
— In confidenza, Maestro — risposi, — noi abbiamo deciso che non debba essere fatto per nulla.
Non mi rispose, e compresi dalla sua espressione che non mi aveva neppure sentito; stava ascoltando invece il suono della mia voce, ed un’espressione di dubbio e di gioia gli attraversò la vecchia faccia consunta come un alternarsi di ombre e luci.
— Sì — confermai, — sono Severian. — E, mentre egli lottava per riacquistare il controllo di sé, mi avvicinai alla porta e recuperai la mia giberna, che avevo ordinato ad uno degli ufficiali della mia guardia di portare. Avevo riposto in essa quello che era stato il mio mantello color fuliggine della corporazione, ora sbiadito ad un nero rugginoso. Disteso il mantello sulla scrivania del Maestro Palaemon, vi rovesciai sopra il contenuto della giberna. — Questo è tutto ciò che ho riportato indietro.
Sorrise, come era solito fare nell’aula quando mi coglieva a commettere qualche infrazione di minore importanza.
— Questo ed il trono? Me ne parlerai?
E lo feci. Ci volle molto tempo, e più di una volta i miei protettori bussarono alla porta per accertarsi che fossi sano e salvo, ed alla fine feci portare il pranzo. Quando il fagiano fu ridotto ad un mucchio di ossa, i pasticcini scomparsi ed il vino bevuto, stavamo ancora parlando. Fu allora che concepii l’idea che ha finalmente dato i suoi frutti in questo resoconto finale della mia vita. Dapprima, avevo avuto intenzione d’iniziare il racconto dal giorno in cui avevo lasciato la torre per concluderlo con il giorno del mio ritorno, ma compresi ben presto che, se una simile struttura avrebbe fornito quella simmetria tanto cara agli artisti, sarebbe però stato impossibile per chiunque comprendere le mie avventure senza sapere qualcosa della mia adolescenza. Allo stesso modo, alcuni elementi della mia storia rimarrebbero incompleti se io non ne prolungassi il resoconto (come intendevo fare) ad alcuni giorni dopo il mio ritorno. Forse, per qualcuno, sono riuscito a creare il Libro D’Oro. In effetti, può darsi che tutti i miei vagabondaggi non siano stati altro che un’invenzione dei librai per procurarsi clienti; ma forse, anche questo è sperare troppo.
XXXIV
LA CHIAVE DELL’UNIVERSO
Quando ebbe sentito tutto, il Maestro Palaemon si accostò al mucchietto dei miei averi e sollevò l’impugnatura e l’elsa che erano tutto ciò che rimaneva di Terminus Est.
— Era una buona spada — osservò. — Per poco non ti ho regalato la tua stessa morte, ma era una buona spada.
— Noi eravamo sempre orgogliosi di portarla, e mai abbiamo trovato motivo di lagnarcene.
Egli sospirò, ed il respiro parve arrestarglisi in gola.
— È scomparsa. È la lama a fare una spada, non gli accessori.
«La corporazione conserverà questi oggetti da qualche parte, insieme al mantello ed alla giberna, perché ti hanno appartenuto. Quando tu ed io saremo ormai morti da secoli, vecchi come me li indicheranno ai nostri apprendisti. È un peccato che non abbiamo anche la lama. L’ho usata per molti anni prima che tu entrassi nella corporazione, e non ho mai pensato che sarebbe andata distrutta combattendo contro una qualche diabolica arma. — Depose il pomo d’acciaio e mi fissò, accigliato. — Cosa ti disturba? Ho visto uomini sobbalzare di meno quando venivano loro strappati gli occhi.
— Ci sono molti tipi di arme diaboliche, come tu le chiami, che l’acciaio non è in grado di affrontare. Ne abbiamo viste alcune quando eravamo ad Orinthya. E ci sono decine di migliaia di soldati che stanno respingendo quelle armi con lance di fuoco, giavellotti, e spade forgiate molto peggio di Terminus Est. Fino ad ora sono riusciti nel loro intento perché le armi ad energia degli Asciani non sono molto numerose, e sono poco numerose perché gli Asciani non hanno le fonti di energia necessarie per produrle. Cosa accadrà se ad Urth verrà concesso un Nuovo Sole? Non riusciranno magari gli Asciani ad utilizzare la sua energia meglio di noi?
— Forse potrebbe accadere — riconobbe il Maestro Palaemon.
— Noi abbiamo riflettuto insieme agli autarchi che sono esistiti prima di noi… i nostri fratelli in una nuova corporazione. Il Maestro Malrubius ci ha detto che solo un nostro predecessore immediato ha osato sottoporsi alla prova nei tempi moderni. Quando contattiamo le menti degli altri, scopriamo spesso che essi hanno rifiutato la prova perché sentivano che i nostri nemici, i quali hanno conservato una maggiore conoscenza delle scienze antiche, avrebbero così acquisito un enorme vantaggio. Non è possibile che avessero ragione?
Maestro Palaemon rifletté a lungo prima di rispondere.
— Non lo so. Tu mi ritieni saggio perché un tempo sono stato tuo insegnante, ma io non mi sono trovato al nord, come te. Tu hai visto gli eserciti degli Asciani, mentre io non ho mai incontrato uno solo di loro. Mi aduli, chiedendo la mia opinione. Comunque… stando a quanto hai riferito, sono un popolo rigido, impietrito nelle sue usanze. Suppongo che ben pochi riescano a pensare.
— Questo è vero in ogni parte, Maestro — replicai con una scrollata di spalle. — Ma quel che tu dici è, se possibile, ancora più vero. E ciò che tu chiami rigidità è una cosa terribile… una torpida impassibilità che supera ogni immaginazione. Individualmente, essi sembrano uomini e donne, ma insieme sono come una macchina di legno e pietra.
Il Maestro Palaemon si alzò e si avvicinò al portello, guardando verso le torri affollate.
— Noi siamo troppo rigidi, qui — osservò. — Troppo rigidi nella nostra corporazione, troppo rigidi nella Cittadella. È molto significativo il fatto che tu, che sei stato allevato qui, li hai visti sotto questa luce: devono essere davvero inflessibili. Io credo che possa dipendere dal fatto che, nonostante la loro scienza, la cui portata può essere minore di quanto tu immagini, la gente della Repubblica sarà maggiormente in grado di volgere le nuove circostanze a suo vantaggio.
— Noi non siamo flessibili o inflessibili — replicai, — fatta eccezione per una memoria insolitamente buona, noi siamo un uomo normale.
— No, no! — Il Maestro Palaemon sferrò un colpo sul tavolo e le lenti lampeggiarono nuovamente. — Tu sei un uomo straordinario in un’epoca ordinaria. Quando eri un piccolo apprendista, ti ho battuto, una volta o due… te ne ricorderai, credo. Ma, anche quando ti battevo, sapevo che saresti diventato un personaggio straordinario, il più grande maestro che la nostra corporazione abbia mai avuto. E tu sarai un maestro: anche se distruggerai la nostra corporazione, noi ti eleggeremo!