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— Ricordo un tempo lontanissimo in cui avevo freddo e fame. Ero steso sulla schiena, circondato da pareti marroni, e sentivo il suono delle mie stesse grida. Sì, dovevo essere un neonato, non abbastanza grade da trascinarmi, credo. Sei molto intelligente: cosa sto pensando adesso?

— Che io non sono altro che un’inconscia manifestazione del tuo potere, come lo era l’Artiglio. È vero, naturalmente. Io ero deforme, e sono morto prima di nascere, e sono stato conservato qui, da allora, immerso in un brandy bianco. Rompi il vetro.

— Ti vorrei prima interrogare.

— Fratello, alla tua porta c’è un vecchio che ha una lettera per te.

Ascoltai. Era strano, dopo aver udito soltanto le sue parole nella mia mente, sentire nuovamente i rumori reali… il richiamo dei sonnacchiosi merli fra le torri ed il bussare alla porta.

Il messaggero era il vecchio Rudesin, colui che mi aveva guidato alla stanza nascosta nel quadro, nella Casa Assoluta. Gli dissi di entrare (con sorpresa, credo, delle sentinelle) perché gli volevo parlare e sapevo che con lui non avevo bisogno di ammantarmi della mia dignità.

— Non sono mai stato qui in tutta la mia vita — esordì. — In che cosa ti posso aiutare, Autarca?

— Siamo già serviti, semplicemente dal fatto di vederti. Sai chi noi siamo, vero? Ci hai riconosciuti, quindi ci hai incontrati in precedenza.

— Se non conoscessi il tuo volto, Autarca, lo avrei già conosciuto una dozzina di volte, a questo punto. Mi è stato descritto spesso. Qui nessuno parla d’altro, sembra. Di come tu sei stato allevato proprio qui, di come ti hanno visto, una volta o l’altra, dell’aspetto che avevi e di quello che hai detto. Non c’è un cuoco che non ti abbia preparato un dolce. Tutti i soldati raccontano storie su di te. È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho incontrato una donna che non sosteneva di averti baciato e di averti ricucito uno strappo ai pantaloni. Avevi un cane…

— Questo è vero — convenni. — Lo avevamo.

— Ed un gatto ed un uccello ed un coti che rubava mele. E tu ti arrampicavi su ogni muro di questo posto e poi saltavi giù o ti calavi con una corda, oppure ti nascondevi e facevi finta di aver saltato. Tu sei ogni ragazzo che sia mai stato qui, ed ho sentito attribuire a te storie che riguardano persone che erano già vecchie quando io ero solo un ragazzo, e ti hanno anche attribuito cose che io stesso ho fatto settant’anni fa.

— Abbiamo già appreso che il volto dell’Autarca è celato dietro la maschera che il popolo intreccia per lui. Indubbiamente, è una buona cosa: non puoi diventare troppo orgoglioso, quando ti rendi conto di quanto sei diverso in realtà dall’entità di fronte a cui la gente s’inchina. Ma noi vogliamo sapere di te. Il vecchio Autarca ci ha raccontato che tu eri la sua sentinella nella Casa Assoluta, ed ora sappiamo che sei un servitore di Padre Inire.

— Lo sono — confermò il vecchio. — Ho quest’onore, ed è una lettera ciò che ti porto. — Protese una piccola busta alquanto stropicciata.

— E noi siamo il padrone di Padre Inire.

— Lo so, Autarca — rispose con un inchino campagnolo.

— Allora noi ti ordiniamo di sederti e di riposarti: abbiamo alcune domande da porti, e non vogliamo tenere in piedi un uomo della tua età. Quando eravamo quel ragazzo di cui hai detto che tutti stanno parlando, o, almeno, quando eravamo poco più vecchi, tu ci hai indirizzati alla biblioteca del Maestro Ultan. Perché lo hai fatto?

— Non perché sapessi qualcosa che gli altri non conoscevano, e neppure perché me lo aveva ordinato il mio signore, se è questo quello che stai pensando. Non vuoi leggere la sua lettera?

— Fra un momento. Dopo aver avuto un’onesta risposta, in poche parole.

Il vecchio chinò il capo e si tirò la barba. Potevo vedere la pelle secca del suo volto sollevarsi in piccoli coni dalle pareti cave man mano che cercava di seguirne i diversi fili.

— Autarca, tu credi che allora io abbia intuito qualcosa. Forse alcuni lo fecero, forse il mio signore, non lo so. — I suoi occhi reumatici rotolarono sotto le sopracciglia per fissarmi, poi si riabbassarono. — Tu eri cosi giovane, sembravi un ragazzo molto dabbene, perciò ho voluto che vedessi.

— Che vedessi cosa?

— Io sono un vecchio. Ero un vecchio allora e sono un vecchio anche ora. Tu sei cresciuto da allora, lo vedo nel tuo volto. Io sono ben poco più vecchio, perché il tempo non è nulla per me. Se si contasse tutto il tempo che ho impiegato andando su e giù per la mia scala, esso sarebbe più lungo. Io volevo che vedessi che ci sono state molte cose prima di te, che ci sono stati migliaia e migliaia di uomini che hanno vissuto e sono morti prima ancora che tu venissi anche solo concepito, alcuni migliori di te. Voglio dire, Autarca, come eri allora. Potresti pensare che chiunque nasca qui nella Cittadella cresca sapendo tutto questo, ma ho scoperto che non è così. Essendo qui in giro tutto il tempo, essi non lo vedono, ma l’andare giù da Maestro Ultan aiuta i più intelligenti a comprendere.

— Tu sei l’avvocato dei morti.

— Lo sono — annuì il vecchio. — La gente parla dell’essere giusti con questo o con quell’altro, ma nessuno parla di essere giusti con loro. Prendiamo tutto quello che avevano, il che va bene. E sputiamo, di frequente, sulle loro opinioni, il che, suppongo, va anche bene. Ma dovremmo ricordare, di tanto in tanto, quanto di quel che abbiamo viene da loro. Immagino che, finché sono ancora qui, dovrei spendere una parola per loro. Ed ora, se non ti dispiace, Autarca, mi limiterei a deporre la lettera qui su questo buffo tavolo…

— Rudesind…

— Sì, Autarca?

— Stai andando a pulire i tuoi quadri?

— Questo è uno dei motivi per cui sono impaziente di andare — replicò, annuendo ancora. — Sono rimasto alla Casa Assoluta fino a quando il mio signore… — si arrestò e deglutì, come gli uomini sono soliti fare quando sentono di aver forse parlato troppo — … se n’è andato a nord. Ho un Fechin da pulire e sono in ritardo.

— Rudesind, noi conosciamo già le risposte alle domande che tu credi noi siamo sul punto di farti. Sappiamo che il tuo signore è ciò che il popolo chiama un cacogeno e che, per chissà quale ragione, è uno dei pochi che hanno deciso di unire completamente il loro destino a quello dell’umanità, rimanendo su Urth come un essere umano. La Cumana è un altro di questi esseri, anche se tu forse lo ignoravi. Sappiamo perfino che il tuo signore era con noi nelle giungle del nord, dove ha cercato, fino a che non è stato troppo tardi, di salvare il mio predecessore. Vogliamo soltanto dirti che, se un altro giovane con un incarico da svolgere passerà ancora vicino alla tua scala, tu lo dovrai mandare dal Maestro Ultan. Questo è un ordine.

Quando se ne fu andato, strappai l’involucro della lettera. Il foglio all’interno non era grande, ma era coperto da righe sottili, come se uno sciame di ragnetti fosse stato schiacciato sulla sua superficie.

Il suo servitore Inire saluta lo sposo di Urth, il Maestro di Nessus e della Casa Assoluta, il Capo della Sua Razza, l’Oro del suo Popolo, il Messaggero dell’Aurora, di Helios, di Hyperion, di Surya e di Savitar, e nostro Autarca.

Mi sto affrettando e ti raggiungerò fra due giorni.

È passato più di un giorno prima che apprendessi cosa era accaduto. Molte delle mie informazioni sono giunte tramite quella donna, Agia, la quale, almeno stando al suo racconto, è stata lo strumento della tua liberazione. Mi ha anche raccontato qualcosa dei tuoi passati rapporti con lei, perché io posseggo, come tu sai, mezzi adeguati per ottenere le informazioni necessarie.

Avrai appreso da lei che l’Esultante Vodalus è morto per sua mano. La sua amante, la Castellana Thea, ha dapprima tentato di ottenere il controllo di quei mirmidoni che lo circondavano al momento della morte; ma, dato che non è assolutamente adatta a guidarli, ed ancor meno a tenere sotto controllo gli uomini nel sud, ho fatto in modo di mettere questa donna, Agia, al suo posto. Considerata la tua passata clemenza nei suoi confronti, sono certo di incontrare la tua approvazione. È certamente desiderabile mantenere operante un movimento che si è dimostrato tanto utile in passato, e, fintanto che gli specchi di Hethor rimarranno interi, ella fornirà a quel movimento un apprezzabile comandante.