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Poi mi destai.

Mentre dormivo, qualcuno mi aveva avvolto in teli coperti di neve (più tardi, appresi che essa veniva trasportata giù dalle cime montane da conducenti di bestie da soma dal passo sicuro). Tremando, desiderai far ritorno al mio sogno, anche se ero già parzialmente conscio dell’immensa distanza che ormai mi separava da esso. Avevo in bocca l’amaro sapore di una medicina, mentre il telo disteso sotto di me mi sembrava duro come il pavimento, e Pellegrine vestite di scarlatto si muovevano avanti e indietro con le lampade in mano, occupandosi degli uomini e delle donne che gemevano nell’oscurità.

V

IL LAZZARETTO

Non credo di aver effettivamente dormito ancora, quella notte, anche se forse sonnecchiai un poco. Quando arrivò l’alba, la neve si era sciolta, e due Pellegrine tolsero i teli, lasciandomi un asciugamano perché mi asciugassi, portandomi quindi coperte asciutte. Volevo dare loro l’Artiglio in quell’occasione… i miei oggetti erano sotto il giaciglio… ma il momento mi parve poco opportuno, quindi mi sdraiai e, sebbene fosse ormai giorno, dormii.

Mi svegliai di nuovo verso mezzogiorno. Il lazzaretto era tranquillo come al solito; da qualche parte, in lontananza, due uomini stavano parlando, ed un altro gridò, ma quelle voci servivano soltanto ad enfatizzare il silenzio circostante. Mi sollevai a sedere e mi guardai intorno, nella speranza di vedere il soldato. Alla mia destra giaceva un uomo i cui capelli rasati m’indussero dapprima a pensare che si trattasse di uno degli schiavi delle Pellegrine. Lo chiamai, ma, quando volse la testa per guardarmi, compresi di essermi sbagliato.

I suoi occhi erano più vacui di quelli di qualsiasi essere umano avessi mai visto, e sembravano fissare spiriti per me invisibili.

— Gloria al Gruppo del Diciassette — disse.

— Buon giorno. Sai qualcosa sul modo in cui funziona questo posto?

Un’ombra parve attraversargli il volto, ed io percepii che la mia domanda lo aveva in qualche modo insospettito.

— Tutti i compiti vengono svolti bene o male fintanto che essi si adeguano al Corretto Pensiero.

— Un altro uomo è stato accolto qui insieme a me. Mi piacerebbe parlargli. È più o meno un mio amico.

— Coloro che fanno la volontà della popolazione sono amici, anche se non abbiamo mai parlato loro. Coloro che non fanno la volontà della popolazione sono nemici, anche se da bambini siamo andati a scuola con loro.

— Non caverai nulla da lui — mi avvisò l’uomo alla mia sinistra. — È un prigioniero.

Mi volsi a guardarlo: il suo volto, per quanto consunto fino a sembrare quasi un teschio, conservava ancora tracce di umorismo, ed i rigidi capelli neri sembravano non essere stati pettinati da mesi.

— Parla in quel modo tutto il tempo, e mai in nessun’altra maniera. Ehi, tu! Verrai battuto!

— Per gli Eserciti della Popolazione — replicò l’altro, — la sconfitta è la molla che porta alla vittoria, e la vittoria la scala per giungere ad altre vittorie.

— Comunque, dice cose più sensate della maggior parte di loro — commentò l’uomo alla mia sinistra.

— Hai detto che è un prigioniero. Che cosa ha fatto?

— Fatto? Come, ma non è morto.

— Temo di non capire. Era stato scelto per qualche tipo di missione suicida?

Il paziente che occupava il letto “al di là dell’uomo alla mia sinistra si levò a sedere… una giovane donna dal volto sottile ma grazioso.

— Lo sono tutti — replicò. — Per lo meno, non possono tornare a casa fino a che la guerra non sarà vinta, ed in effetti sanno che non vinceranno mai.

— Le battaglie esterne sono già vinte, quando le battaglie interiori vengono condotte con Corretto Pensiero.

— Allora è un Asciano — affermai. — È questo che intendi. Non ne avevo mai visto uno prima d’ora.

— La maggior parte di loro muoiono — mi spiegò l’uomo dai capelli neri. — È quanto ti ho detto.

— Non sapevo che parlassero la nostra lingua.

— Non la parlano. Alcuni ufficiali che sono venuti qui ad incontrarsi con lui hanno detto che doveva essere un interprete. Probabilmente, interrogava i nostri soldati quando venivano catturati, solo che ha fatto qualcosa che non andava ed è stato risbattuto fra i ranghi.

— Non credo sia davvero pazzo — precisò la giovane donna, — anche se la maggior parte di loro lo sono. Come ti chiami?

— Mi spiace, mi sarei dovuto presentare. Sono Severian. — Stavo per aggiungere che ero un littore, ma nessuno dei due avrebbe voluto chiacchierare con me se lo avessi detto.

— Io mi chiamo Foila, e questo è Melito. Facevo parte degli Huzzar Azzurri, mentre lui era un oplite.

— Non dovresti dire sciocchezze — brontolò Melito. — Io sono un oplite e tu sei un’huzzar.

Pensai che l’uomo appariva molto più vicino alla morte della ragazza.

— Spero solo che verremo tutti congedati quando staremo abbastanza bene da lasciare questo posto — replicò Foila.

— Ed allora cosa faremo? Mungeremo le mucche di qualcun altro e custodiremo i maiali altrui? — Melito si volse verso di me. — Non lasciarti ingannare dalle sue chiacchiere. Siamo volontari, tutti e due. Stavo per essere promosso, quando sono rimasto ferito, e, quando sarò promosso, sarò in grado di mantenere una moglie.

— Non ti ho permesso di sposarti! — protestò Foila.

— Prendila, così la pianterà di parlarne! — gridò qualcuno, a parecchi letti di distanza.

A quel punto, il paziente che occupava il letto al di là di quello di Foila, si sollevò a sedere. Era grosso, con capelli e carnagione chiara, e parlava con la lenta decisione caratteristica degli abitanti delle gelide isole del sud.

— Sposerà me. Io mi chiamo Hallvard.

— Uniti — annunciò il prigioniero Asciano, prendendomi di sorpresa, — uomini e donne sono più forti; ma una donna coraggiosa desidera figli, e non mariti.

— Combattono anche quando sono incinte — spiegò Foila. — Le ho viste morte sui campi di battaglia.

— Le radici dell’albero sono la popolazione. Le foglie cadono, ma l’albero rimane.

Chiesi a Melito ed a Foila se l’Asciano componeva liberamente le sue osservazioni o se stesse citando una qualche fonte letteraria a me sconosciuta.

— Vuoi dire se sta improvvisando? — chiese Foila. — No, non lo fanno mai. Tutto quello che dicono deve provenire da un testo approvato. Alcuni di loro non parlano affatto, ed altri hanno migliaia… credo addirittura decine o centinaia di migliaia… di frasi fatte ed imparate a memoria.

— È impossibile — replicai.

Melito scrollò le spalle e riuscì a sollevarsi su un gomito.

— Noi della cavalleria leggera — annuì Foila, — andiamo molto spesso in esplorazione, e, qualche volta, veniamo specificatamente mandati in missione per catturare prigionieri. Non si apprende nulla a parlare con la maggior parte di loro, ma il Comando Generale è lo stesso in grado di capire molte cose dal loro equipaggiamento e dalle loro condizioni fisiche. Nel continente settentrionale, da dove essi provengono, solo i bambini più piccoli parlano come facciamo noi.

Pensai al modo in cui il Maestro Gurloes dirigeva la nostra corporazione.

— Ma come possono fare per dire qualcosa del tipo “Prendi tre apprendisti e scarica quel carro”?