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Angus vide una ragazza che portava segreti innocenti come indumenti protettivi; e così avrebbe sempre pensato di lei, anche quando i segreti vennero messi in disparte.

Perdonatemi se tiro cosi per le lunghe. Prometto di informarvi di tutto, perché avete il diritto di sapere tutto. Ma per me, che racconto la storia, l’essenziale è ciò che vide Madam Estelle: che Solitaire non era uno spettro ma una donna innamorata. Può capitare a chiunque… peccato che di solito non abbiamo un preavviso. E Madam Estelle vide che nello stesso tempo era successo anche ad Angus… una delle coincidenze più rare a questo mondo, e in quasi tutti i mondi che conosco.

— Di che parte dell’ovest sei, Demetrios?

— Missouri. A quei tempi lo chiamavano Midwest. Hai viaggiato molto in quella direzione?

— Non molto. Un paio d’anni fa sono arrivato fin sulle coste del Mare d’Acqua Dolce… è così che lo chiamano i trappers; ero con un gruppo di loro, per la stagione. Il nostro campo base era un piccolo villaggio chiamato Shatawka, ci abitavano quasi solo gli indigeni. Chiamavano il mare lago Erie, e dicevano che si poteva bere. Io ci ho provato, bisogna sempre provare tutto… Gesù! Mai fidarti di un indigeno. Però nell’entroterra i ruscelli e le fonti sono buoni da bere. È una brutta zona, per via dei terremoti. Mica scosse forti, ma piccole, tutti i giorni, come se Dio o qualcun altro non la smettesse mai di borbottare. Dicono che un giorno farà venire un terremoto in grande stile. I castori non hanno paura dell’uomo… Ce ne sono tanti, là e più a nord. Prendevamo anche le volpi argentate e le martore… naturalmente quei maledetti ratti rossi continuano a vuotarti le trappole. È facile trovare la selvaggina. Mentre c’eravamo noi, ci fu una gran paura per via di un puma… derubava un villaggio più a nord, ma noi non l’abbiamo mai visto. Non l’ho mai visto, e qualche volta mi domando se non se lo fosse inventato la gente…

Una voce disinvolta, gutturale, una faccia tozza, dall’aria innocente, sulla trentina, nella luce delle candele… Demetrios provò un senso di calore umano nei suoi confronti. Insicuro e teso, come se si fosse già avventurato a sfidare le strade e le foreste, con le forze che lo abbandonavano e senza una meta, trovava incoraggianti i discorsi di Bosco. Bosco non era un narratore: conosceva quelle cose direttamente, con i suoi sensi e con pochissima immaginazione: il contatto di una mano sul remo; il buio, il fetore acre, i pericoli di una miniera; il silenzio della giungla che non è silenzio ma ribollire di vita, la passione latente nella sovrabbondanza, una pazienza come la lenta, ardente pazienza del serpente, un’attesa che può prorompere in un ruggito o in un grido, ma solo per qualche ragione. Serviva a passare il tempo…

— Spero di avere anch’io diritto A una dimora in cielo…

— Non canta mai altro?

— No, da quando sono qui io, solo quei due versi. E le sue vitamine. È un po’ a casa sua, qui, dice Putney… ogni volta che lo lasciano andare fa subito qualcosa di sporco per tornare. Vedi… stufato nutriente, nessuna preoccupazione tranne le sue vitamine, chissà cosa sono. La cella numero uno… è diverso. Hanno portato qui quell’uomo ieri notte, lo hanno buttato dentro… non ce la faceva a camminare. Per un po’ non ho sentito altro, di lui, se non il respiro. L’ho chiamato e ho bussato sul muro, non è servito a niente, e non sono riuscito a cavare una parola da Putney. E non ho più sentito il respiro, da quando hanno condotto dentro te. Il piatto che Putney ha portato via non era stato toccato. Lasciano morire la gente apposta incidentalmente, qui a Nuber?

— Non l’avevo mai creduto. — E che ne sai tu di tutto, Demetrios, tu che ti sei riempito la mente di fantasie e dì addii, mentre un altro mondo ti cresceva intorno…

— Forse è solo Put. Un gatto furbo, quello. L’uomo può restare là dentro morto per giorni e giorni, intanto che Put aspetta che i suoi superiori gli dicano cosa deve fare. Ascolta!…

Un rumore soffocato nella stanza di Putney… dopo un attimo la porta si aprì, rivelando una più forte luce di candele e Putney che giaceva sulla sua branda, ad occhi sbarrati, legato e imbavagliato. Un ragazzo, un cane e un uomo si precipitarono alla porta della cella, mentre Garth restava a far la guardia a Putney. Angus si sfilò la maschera fatta con una calza e la ripose nella giacca grigia. Accanto a lui, rigido e con il pelo irto sul dorso, Brand studiava il buio e gli odori. — Accidenti! — Angus stava lottando con la chiave.

— Forse non è quella giusta, — disse Frankie, a ragione. Angus spalancò l’uscio. — Il cervello della banda, — disse il ragazzo con la maschera.

Angus strinse Demetrios in un rapido abbraccio, baciandogli le guance ispide. — Temevo per te. Ti hanno?…

— No, niente di male. Sto benissimo. — Lo stordimento turbinava in lui. Chi sa riconoscere la gioia e il dolore al momento della loro presenza? Solo le intensità diverse della luce; più tardi, ricordando, diamo loro un nome. — Questo è Bosco, che vuole venire con noi. Conosce le foreste e le strade, e posti che non abbiamo mai sentito nominare.

— Avvicinati un po’ di più, Bosco, ti dispiace? Sono miope. — Bosco entrò nel campo dell’implacabile ispezione. Angus, il ragazzo cortese e confuso di ieri non era sparito, ma semplicemente nascosto in Angus il comandante, perché non c’era tempo per lui. — Bene… bene. Vieni con noi. — Sembrava che nessuno contestasse ad Angus il diritto di decidere. In quella situazione critica, qualcuno doveva essere lì, pronto, con un sì o un no razionale: tanto valeva fosse Angus, il quale diceva che il potere fa schifo, ma ne capiva l’esercizio.

— Sono dentro per aver rubato un maialino da latte, Mister.

— Magari ti chiederò di insegnarmi come si fa. Ne è rimasto un po’?

— L’hanno preso i poliziotti. — Bosco guardava nella cella numero uno, e quando Demetrios stava per raggiungerlo, gli borbottò sottovoce: — Tieni lontano il ragazzo.

L’uomo nella cella numero uno era disteso nudo sul pavimento, a bocca aperta, il sangue raggrumato sulle ferite; il suo petto era immobile, e Demetrios lo conosceva. Demetrios si voltò e passò un braccio intorno alle spalle di Frankie. — Andiamo a parlare con Garth. — Passando davanti ad Angus, indicò la cella numero uno con un movimento degli occhi. — Holman Shawn.

Nella stanza di Putney, Garth stava di guardia alla porta d’ingresso: dai fori della maschera scintillava un fuoco azzurro. — Tutto bene, uomo Demetrios?

— Tutto bene, Garth.

— Del tuo sogno, mia zia ha detto… — Garth lanciò un’occhiata alla faccia arrossata e attenta di Putney. — Beh, più tardi.

— Voglio le mie vitamine, voglio le mie vitamine.

— Le avrai, le tue vitamine, nonno, — disse la voce cordiale di Bosco.

— Davvero? Dio ti benedica.

— Spero di avere anch’io diritto A una dimora in cielo…

Dalla curva del braccio di Demetrios, Frankie alzò gli occhi e fece una domanda che era già una risposta: — Cosa c’era nell’altra cella, che non volevi lasciarmi vedere?

Demetrios ricordò: a dodici anni solo uno sciocco non sa che l’altra faccia della medaglia è il dolore; e Frankie non era uno sciocco. — Un morto, Frankie… Era un abramita. L’hanno lasciato lì dopo averlo picchiato. L’hanno lasciato morire. — Frankie sbarrò gli occhi insondabili: l’oceano non pensa al perdono. — È l’altra faccia, Frankie. L’altra faccia del giorno più avventuroso delle nostre vite.