— Gliel’ho insegnato questo pomeriggio, — disse Frankie. — Sono il cervello della banda. — E chiamò sottovoce: — Tutto bene. Siamo noi.
Emerse un’ombra con tre corpi, dalla nebbia che sembrava sempre sul punto di dissolversi e non si dissolveva mai del tutto: come qualcosa che ne facesse parte — una mollezza, uno sfocamento della vista come la miopia di Angus Bridgeman o le esitazioni di Demetrios, avrebbe sempre accompagnato i viaggiatori, placando l’umana bramosia per le certezze — e divenne tre anime distinte, che portavano piccoli zaini, e sfidavano la notte e la foresta, giovani e non giovani. C’era la piccola dolce Solitaire e il Professore che portava il suo liuto bene avvolto per proteggerlo dall’umidità; e una sagoma più pesante e massiccia rivolse verso la luna la faccia attenta di Babette.
Angus parlò sottovoce. — Tu conosci già questi amici, Brand. — Brand abbassò la testa e trottò avanti, silenzioso come fumo. Solitaire tese il braccio, per parlargli con la mano. La compagnia era formata da otto elementi.
— O Demetrios! — Solitaire non lo baciò. Gli premette il viso contro il petto, e si tenne stretta, facendo dal corpo magro di lui un rifugio. — Demetrios, Demetrios, sacro alla terra.
— Il mio nome… lo sapevi, amore?
— Demetrios dimentica quello che ha detto a Solitaire, ma ella non dimentica mai niente, tranne se stessa. — Frankie e Garth sorvegliavano la strada nelle due direzioni; nessuno viaggia per le strade di notte, neppure per la Grande Strada del Sud; o quasi nessuno; nessuno che sia rispettabile. — Solitaire ha una cosa da dire… non adesso… presto… prima o poi. Demetrios ne sarà felice, forse. Solitaire vuole portare anch’ella un bastone come Demetrios. Il Professore pensa che qualcuno taglierà un bastone per Solitaire.
— Sarà meglio, — disse Babette. — Uomo Demetrios, sii benedetto, sono venuta solo per vederti partire, poi devo tornare dalla mia Madam, lei non resisterebbe tre giorni senza di me.
La compagnia era formata, in un certo senso, da sette elementi. Ma era di più, perché uno degli aspetti più sorprendenti dell’amore è il rapporto che ha con il ricordo… adesso lo so con certezza, io che scrivo questo libro, perché una volta un vecchio, quando io non ero più grande di un puntolino lasciato da una mosca, mi prese sulle ginocchia e disse: «Ecco una pupa! Cos’è una pupa? Una pupa è una piccolina, una pupa è una carina, ed ecco una pupa!» Io allungai le mani e afferrai una manciata di barba bianca, con un bacio. Ora l’amore di mio padre e di mia madre e di alcuni altri mi aveva circondata come il mare si muove alla perfezione intorno a un pesciolino, ma in quel momento con Barbabianca (non ho idea di chi fosse, non l’ho mai saputo) scoprii che l’universo contiene esseri singoli che possono spalancare i loro paesi d’amore per farti entrare un po’. Perciò Barbabianca resta con me: ma quelli che non posso soffrire… li tratto odiosamente: li dimentico. Demetrios avrebbe portato per sempre con sé Babette, dovunque andasse (chiedendosi sempre: La rivedrò dopo questa notte?) il suo seno ampio, la sua gaia franchezza, la faccia tonda, il sorriso aperto.
Angus chiese: — Posso avere l’accetta?
— Sicuro, — disse Garth, guardando la strada. — Quando vuoi, Mister Angus, proprio tu. Frankie?…
Frankie si sganciò dalla cintura la piccola ascia da campeggio del Tempo Antico. Tolse la custodia di cuoio, e sotto il chiaro di luna il filo della lama diventò un arco di ghiaccio fiammeggiante. Era evidente, nel linguaggio delle mani di Frankie, che per lui la cura dell’Accetta era un impegno sacro; e che non capiva perché dovesse adoperarla Mister Angus, e non egli stesso o Garth.
— Uomo Garth, — disse Angus, — non voglio più sentirti dire «Mister Angus». Non ho più posto nella Città Interna e non lo voglio, né voglio altro posto se non in questa compagnia.
Garth guardava la strada. — Va bene, Angus. Prova con quella quercia, là dove tende un ramo. — Frankie mise l’Accetta nella mano di Angus, e andò con lui, e abbassò il ramo perché Angus lo tagliasse, e gli restò vicino mentre lo sgrezzava, con una piegatura naturale per manico, e poi rendeva l’Accetta.
Frankie dovette strofinarne il filo con la camicia. — Quell’Accetta, — disse Angus, — è stata ben curata. — Frankie annuì, senza dir nulla, senza trovare un motivo per un sogghigno, solo per un sorriso diverso, che splendette e svanì nella luce bianca. Angus portò il bastone a Solitaire. Ella si staccò dalle braccia di Demetrios per prenderlo e soppesarlo nella mano. — È verde, — disse Angus. — Maturerà.
— Tutto matura, — ella disse. — Le pietre e le stelle. Adesso Solitaire può appoggiarsi a un bastone, se è stanca o impigrita o irritata.
— Dobbiamo proseguire, — disse Garth. — Frankie, aiutami a cercare la strada per la casa infestata. A me potrebbe sfuggire.
— La pietra bianca, ricordi? — Ma quando la Compagnia ebbe percorso un centinaio di passi lenti lungo il canale scoperto e nebbioso della Strada del Sud, fu Frankie a dire: — Eccola. Lasciate che vada avanti io, al buio ci vedo meglio. Voi mettetevi in catena dietro di me.
— È più di un’ora che non mi chiami Bullo.
Molti momenti più tardi (non un tempo misurabile), mentre la Compagnia avanzava in quella che per Demetrios era una galleria di tenebra ininterrotta, con le dita agganciate alla cintura di Garth, la mano di Solitaire nella sua, gli altri come anelli di una catena di nervi che per un po’ faceva di loro un unico corpo, la voce sommessa di Frankie arrivò a Demetrios: — E tu non chiamarmi più Peste. — Poi, qualche volta, la voce di Frankie avvertiva, abbastanza chiara perché la sentisse anche Bosco, in fondo alla fila: — Camminate di traverso, — oppure: — Rovi, rovi. — Oppure: — Un tronco abbattuto, non cadete. — Poi finalmente (dopo un tempo non misurabile): — Il cervello della banda vede il chiaro di luna, più avanti… — E un’onda leggera d’ilarità scorse lungo tutta la Compagnia, poiché lo stesso Frankie aveva passato la sua osservazione con una risata.
Entrando nella radura pallida dietro a Garth e a Frankie, Demetrios non vide subito la casa infestata, perché era accovacciata nell’angolo più buio dello spazio rischiarato dalla luna, dove la foresta l’aveva stretta con braccia di vite selvatica, e aveva spinto nel cortile anteriore un pino che adesso era alto il doppio dell’edificio, senza riuscire tuttavia a catturare ancora quella cosa antica. I suoi occhi scoprirono una pennellata di luce lunare su una superficie di ardesia che non era stata la natura a disporre, e tre occhi di finestre senza vetri sopra l’urlo muto di un vano senz’uscio. Garth disse, meditabondo: — Dentro, i pavimenti sono di pietra. I semi non ci possono trovare neanche una crepa, altrimenti avrebbero fatto come quel pino, dovunque arriva un raggio di sole.
— Stile coloniale? — disse Demetrios. — Per Dio, credo di sì. Non ho mai saputo che ci fosse. Avrei potuto inventarle una storia apposta.
— Non c’era ragione di saperlo, — disse Garth. — Adesso siamo a più di un miglio dalla Strada del Sud, e qui non viene mai nessuno. Che cos’è lo stile coloniale?
— Tempo Antico molto antico, prima di… diciamo, dell’età delle meraviglie. Questa casa può essere stata costruita più di trecento anni fa.
— C’è una casa coloniale nella Città Interna, — disse Angus. — La tengono in perfetto stato. Si chiama Museo Olandese.
— Olandese, — disse Bosco. — È un altro nome di quei maledetti indiani. No, ho visto una vecchia casa a Albany, mi pare che la chiamassero coloniale, solo che il governo non permetteva di entrarci.