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Solitaire rabbrividì nel cavo del braccio di Demetrios; Babette aveva fatto il segno della Ruota. — Ah, quelli che abitavano qui erano solo esseri umani, — disse Demetrios, — e morti da molto tempo; e questo è solo un edificio che non va facilmente a pezzi. — Una civetta lanciò il suo richiamo e uscì svolazzando da una finestra, per portare un’ombra attraverso la luna. — I muri sono robusti, Garth?

— Sono robusti… pietra. Dentro resta un poco di intonaco e di rifiniture di legna, qualcuno deve avere rubato tutto un po’ per volta. Anche le tegole del tetto, dietro non ce n’è quasi più… No, Frankie, no! — Perché Frankie si era avvicinato al vano nero della porta e parlava come un gufo: — Tuuuu… chi è? Tuuu… chi è? — E alla protesta di Garth rispose: — Perché, non dobbiamo entrare?

La casa infestata stava serena nei suoi trecento anni. Udirono mormorare arpe eolie, un fruscio della fauna modesta che in quel secolo aveva deciso di stabilirsi lì. Il Professore raggiunse Frankie sulla soglia, con aria protettiva. Bosco stava borbottando: — Abbiamo qualcosa per far luce? Il posto non mi spiacerebbe, con un po’ di luce.

— Nel mio zaino ho qualche torcia di pino con il portatorcia, — disse Garth.

— Solitaire può accenderne una, — disse Solitaire.

— Va bene. — Tutti, incluso se stesso, pensò Demetrios, avevano aspettato quell’approvazione di Angus. Al riparo della giacca allargata di Angus, Solitaire accese una fiamma con esca e acciarino. Due visi dorati si fronteggiarono, in una loro isola di luce. Solitaire era così immersa nelle sue scoperte che Garth dovette toccarle la mano, per ricordarle la torcia ch’egli reggeva, in attesa.

A modo loro erano buone invenzioni: rami di pino fasciati di stracci, talvolta impregnati di olio di pino… o trementina, se insistete. Il ramo è aguzzo, in modo che lo si può infilare in una specie di candeliere, che può essere piantato nel terreno, oppure in una grappa a muro; intorno al foro c’è una guardia, come l’impugnatura di un fioretto, per proteggere la mano di chi lo regge. Una buona torcia brucia bene e con calma per diverso tempo. L’èra dell’elettricità avrebbe potuto facilmente produrre in massa quegli oggetti, per venderli come antichità, ma la storia dice che, a suo danno eterno, non li produsse… per via del pericolo degli incendi.

Garth levò alta la sua buona torcia. La Compagnia lo seguì nella casa silenziosa.

CAPITOLO 10

… SE POSSO INSEGNARVI A ESSERE PAZIENTI…

Quelli che credono che tutto sia già stato detto e fatto, ti saluteranno come nuovo, eppure chiuderanno la porta dietro di te. E poi ripeteranno che tutto è già stato detto e fatto.

Eugène Delacroix, DIARIO, 1824.

La torcia di Garth, incuneata in un alare del camino, spandeva la sua luce sul volto di Angus, che stava seduto e aveva Brand sdraiato accanto a sé. Demetrios guardava quella cara immagine con occhi assonnati. E il veleno della gelosia, le esigenze, il peccato della possessività? Senza dubbio un vecchio poteva mantenere il proprio cuore immune da queste follie, almeno tra quella gente tanto dolce. L’affanno deve bruciare, inevitabilmente, perché c’è uno che ama ed uno che è amato? Bisogna trovare una compensazione. Per Angus e Solitaire era un po’ diverso: per qualche tempo sarebbero stati arsi entrambi dalla stessa febbre. Ricordava che qualcosa di simile, un tempo, aveva sfolgorato per lui e per Elizabeth di Hartford, e forse avrebbe ancora avuto un po’ di calore, se ella non fosse morta. La morte l’aveva disperso, e adesso egli si accorgeva che non riusciva a ricordare bene il colore degli occhi di Elizabeth.

Il liuto del Professore inviava domande negli angoli pieni di ragnatele, mandando gli echi a giocare a rimpiattino. La piccola torcia apriva sull’infinito il soffitto della grande stanza. Solitaire sedeva accanto a Demetrios sulla loro coperta, e Babette stava a gambe incrociate, dall’altra parte, e la sua ombra grassoccia danzava sul muro insieme alle ombre di Angus e di Solitaire; Demetrios poteva guardare la sua faccia larga e buona, voltandosi indietro. Ne avrebbe sentito la mancanza, se si fossero diretti all’ovest tra le foreste. Avrebbe sentito la mancanza di Madam Estelle, delle ragazze, e persino di Nuber, alla quale aveva affidato quarantasette anni della sua vita.

Bosco, sempre pronto ad arraffare tutte le comodità possibili, si era arrotolato nella coperta di Garth, mentre questi e Frankie facevano il primo turno di guardia. Poi Angus e Bosco avrebbero vegliato fino alle prime luci e poi, aveva proposto Angus, si sarebbero avviati per una strada tra le foreste, che si snodava a sudovest della casa infestata, mantenendosi per il primo tratto parallela alla Grande Strada del Sud, che, fino ai confini di Katskil, sarebbe stata malsicura per i fuggiaschi. Garth e Frankie, una volta avevano percorso quella strada tra i boschi per un miglio, quando erano scappati di casa. A quei tempi la loro madre era ancora viva, e l’amore e la coscienza li avevano spinti a tornare indietro.

Prima che cadesse l’ultimo fiore della torcia, Demetrios si addormentò. La modesta locomotiva sbuffava e avanzava verso ovest, con il fumaiolo panciuto, verso ovest, oltre Aberedo, sferragliando e tossendo polvere. Si fermò a un serbatoio d’acqua, dove un uomo con il nome Abel Kane ricamato sulla tuta avvertì il macchinista: — Attento, uomo, la scarsità d’acqua è terribile. È che Loro l’adoperano per coprirci la terra, e non ne resta molta. Non si può rimettere indietro l’orologio ai tempi di Noè, nossignore. Probabilmente nessuno saprà come si ritrova fino a quando Loro avranno fatto… uhm… la finalizzazione idraulica.

(Io che scrivo so bene come mi ritrovo. Il mio problema è sapere dove non mi ritrovo.)

La donna con la cesta della spesa si sporse davanti a Demetrios per chiedere a un contadino sordo: — Che cos’ha detto quell’uomo? — Una bambina triste, con le adenoidi e il gozzo, seduta di fronte, guardava senza sorridere mai. Demetrios rispose per il sordo, o almeno avrebbe voluto farlo: — Andiamo a Hesterville, a vedere la Scarsità d’Acqua. — La donna non lo ascoltava. La madre della bambina triste fissava Demetrios con antipatia. Ma ecco, erano già a Hesterville… Tutti scendono a Hestervi-i-il-le!

Non si poteva scendere se non nell’acqua verde e piatta, giù e giù, poiché la stazione era là sotto. Il treno sbuffava su una banchina, i passeggeri uscivano e scendevano come Demetrios, giù dalla carrozza aperta dai sedili di vimini — aria aperta, aria fumosa, aria perduta — nell’acqua verde, profonda e lenta. Sagome bianche stavano ritte, tranquille, nell’aria-acqua verde; sagome più scure salivano, vagando, con intenzioni ignote — tutti viviamo nelle tenebre, non è vero? — e nelle Tenebre grossolane il popolo…

— Demetrios. — Solitaire parlò dolcemente. — Demetrios borbotta. — Gli massaggiò adagio la fronte, come aveva fatto altre volte, quando l’incubo lo calpestava. La confusione svanì. Il sogno sciocco era una faccia scomparsa tra la folla. Una luce ambigua entrava nella casa infestata: non sapeva se era l’alba o la luna calante. Non riuscì a trovare il volto di Angus. Là dove era prima, adesso appariva una cicatrice sul muro: l’intonaco era caduto, lasciando una chiazza che aveva la forma dell’America del Nord, davanti alla quale penzolava un ragno, un buon cittadino grigio che covava la sua goccia di veleno e la sua torcia di vita. Frankie era sdraiato, con la testa sul grembo di Solitaire, e nel sonno dimostrava nove anni, non dodici. — Angus e Bosco sono fuori, di guardia.

— È il chiaro di luna?

— No, sta per spuntare £ giorno. Ha cantato un uccello. Parla piano, così il tesoro può dormire.