— Il Pentagono?
— Oh… era un palazzone d’incubo nella città di Washington, e ospitava la macchina bellica… chiamata, naturalmente, Dipartimento della Difesa. Sì, credo che probabilmente le brevi epidemie furono create dall’uomo, ma sia chiaro, non c’erano né il tempo né i mezzi per studiarle mentre ci annientavano. Certamente la mentalità dei militari non è capace di rinunciare a giocattoli del genere.
«E noi lasciammo che quella mentalità l’avesse vinta, per colpa nostra. Avevamo sovrappopolato la Terra, riproducendoci fino a creare uno stato di carestia cronica, esaurendo senza freni le risorse naturali, senza pensare alle esigenze del futuro, e accumulando la putredine. La nostra razza cresceva come un tumore. L’intervento chirurgico che pose fine a quella crescita eccessiva fu compiuto, non dalla ragione, come sarebbe stato possibile, ma dalla carestia, dalle pestilenze e da una guerra idiota »
Indignata, con gli occhi sbarrati, la lavandaia che voleva andarsene afferrò la cesta e trascinò via l’amica. Se c’era qualcosa in cui la gente di Nuber credeva, in quegli anni, era che la Repubblica del Re era impegnata nell’imminente restaurazione degli Stati Uniti d’America e dell’Età dell’Oro. Ma le altre due ragazze rimasero, e Garth, e una donna stanca dall’espressione amichevole con la sporta della spesa, e una giovane coppia che si teneva per mano e che non ascoltava molto, e il ragazzo dai capelli scuri con il canelupo. Il cane si stirò e sbadigliò scoprendo i denti terribili, ridendo con una grande lingua rosea.
— E quell’intervento chirurgico fu poi aiutato, — disse Demetrios, — dalla sterilità e dalle deformità innate causate dalle radiazioni… dell’industria atomica e non solo delle bombe… che potrebbero continuare a perseguitarci per altri mille anni, o per cinquemila, se riusciremo a durare tanto tempo.
— Io ho messo al mondo un «mu», due anni fa, — disse la donna alla finestra. — Era senza ano. È vissuto un giorno. Da allora non ho più concepito. E non ho cercato di evitarlo. Mio marito dice che è la punizione di Dio.
— Una donna che per me era come una moglie, tanto tempo fa, — disse Demetrios, — Elizabeth di Hartford, concepì un mu con il cranio gonfio e sottile come un guscio d’uovo. Il cranio si spezzò durante il parto che costò la vita anche a lei. Ora, cosa immagini di aver fatto per essere punita in questo modo, Madam?
— Non lo sappiamo. Mio marito dice che tutto si spiegherà con la venuta del Messia, e potrebbe venire come chiunque, vedi. Come quell’Abraham. Come te, proprio te.
— No, no. Io sono soltanto un narratore arrugginito, nient’altro.
— E allora continua la storia del tuo nome, cara anima.
CAPITOLO 2
UNA MUSICA D’UCCELLINI SOPRAVVISSUTI
… Poiché, come quest’oceano spaventoso circonda la terra verdeggiante, cosi nell’anima dell’uomo c’è una Tahiti insulare, piena di pace e di gioia, ma cinta dà tutti gli orrori della vita semiconosciuta.
— Il mio nome è Demetrios.
«Mio padre e mia madre morirono a qualche ora l’uno dall’altra, in coma, dopo poche ore di crampi parossistici e di febbre alta… non so come si chiamasse quella malattia. Come accadeva sempre, stranamente, con le brevi epidemie, io non ne fui colpito, sebbene la morte dominasse intorno a me e non rimanesse quasi nessuno per cercare di seppellire i cadaveri. Forse io e pochi altri avemmo una forma lieve della stessa infezione, qualunque cosa fosse. Ma sono solo ipotesi, perché la scienza, così come la conoscevano gli uomini, non esisteva più. La civiltà finì con un sussulto per le strade e il silenzio.
«Hesterville era una cittadina di circa tremila abitanti. Qualche settimana dopo la Guerra dei Venti Minuti, non credo che fossimo rimasti più di cinquecento. Riuscite a immaginare le case vuote e il fetore della morte? Un luglio caldissimo e afoso; la terra esalava vapori verso il sole, tra brevi intervalli di piogge insopportabili… quelle piogge!… ma era pioggia calda, e non serviva ad attenuare la putredine che non riusciva a lavare. Era pioggia triste, pesante, senza vento. Il cielo sanguinava acqua, come la vittima di un sacrificio.
«Una persona rimasta sola, come me, poteva sopravvivere solo come un animale furtivo. Il cibo era dove lo trovavi, ogni ombra era una minaccia, e tutti erano estranei. La nostra casa, dove giacevano morti i miei genitori, fu saccheggiata da una mezza dozzina di teppisti che passarono sui resti della nostra cittadina come un uragano salito dalla pianura. Io mi salvai nascondendomi. Più tardi vidi due di loro abbattuti da qualcuno che sparava da una finestra con un fucile a ripetizione, e che si era assunto la parte di difensore della legge, penso, poiché non ne esistevano altri. E quei due si contorsero un po’ sotto la pioggia.
«Hesterville… oh, credo che adesso sia finita sott’acqua. Qualche volta ci ritorno in sogno: un luogo pieno d’ossa sbiancate. Una volta, in quel modo, l’ho trovata piena di alghe ondeggianti sopra a una statua bianca che stava, benigna ma taciturna, sul fondo verde… Sembrava mia madre, e l’avrei abbracciata, se l’acqua non mi avesse tenuto lontano come vetro impenetrabile.
«Il giorno successivo, dopo essere sfuggito ai saccheggiatori, mi avviai per la strada che portava lontano da Hesterville, senza mèta e affamato. Il governo, lo sapevo, non esisteva più. A tredici anni, si sanno quasi tutte le cose importanti… il resto è commenti e dettagli. Come posso spiegarmi? Io e voi, tutti noi, care anime, siamo abituati ad una specie di governo, qui a Nuber, magari anche troppo. Qui c’è maggiore continuità che in altri posti, dopo la Guerra dei Venti Minuti e gli altri disastri. La gente conserva un governo, in una forma o nell’altra, perché deve essere così. La vera anarchia è intollerabile; i lupi, i cervi selvatici, non vivono nell’anarchia, seguono leggi rigorose, alcune addirittura autoimposte, e di solito chi infrange la legge perisce. Ebbene, quarantasette anni or sono, a Hesterville e in un milione d’altri posti, per un po’ di tempo il governo fu un meccanismo completamente fracassato, finito. Io fuggii in un mondo quasi silenzioso, ma sapevo che, dovunque avessi incontrato occhi umani, dietro di essi poteva ribollire l’inferno.
«Percorsi alcune miglia prima di imbattermi in una macchina posta di traverso in mezzo alla strada… parlo di un veicolo a motore del Tempo Antico, un’automobile. Nel 1993 le auto non erano più tanto numerose: il loro grande periodo era stato prima della mia nascita. Lo spreco sfrenato della benzina, durato settant’anni, finì col divenire un piccolo rivoletto negli anni Settanta; si stavano sviluppando metodi alternativi, e con l’andar del tempo qualcosa ne sarebbe venuto fuori; ma già la partenza era andata male, in parte perché le compagnie petrolifere e le fabbriche automobilistiche avevano impedito per troppo tempo ogni tentativo di ricerca razionale, in parte a causa di un declino generale dell’energia… voglio dire l’energia umana. Quella che noi chiamavamo civiltà ci aveva logorati… Bene, in quell’automobile bloccata c’era un uomo ben vestito, piegato sul volante, privo di vita e sul sedile posteriore c’era un bambino piccolo, morto. La malattia doveva aver colpito l’uomo mentre guidava… non c’erano segni di violenza. Forse aveva sperato che muoversi gli avrebbe fatto bene gli americani credevano che l’attività, anche se priva di scopo e sbagliata, fosse in se stessa un bene. I cadaveri non erano contratti dalle convulsioni. Era stato così anche per i miei genitori, durante il coma; credo che quei due fossero morti dello stesso male. Una volta erano stati di carne senziente; erano giunti a una certa posizione nel tempo e nello spazio, e lì avevano cessato di esistere, sereni in viso. Io presi un po’ del cibo che trovai in macchina. Ricordo una musica di uccellini sopravvissuti.»