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T.S. voleva andare a nord. Era intestardito a portare il Circo fino alla Nova Scoria, dove ci sono le evangeline, e sebbene Demetrios l’avvertisse che adesso potevano non esserci più — per via del cambiamento di clima, le evangeline hanno bisogno di inverni nordici o qualcosa di simile — T.S. sosteneva che voleva provare. Ma la Compagnia voleva andare a ovest forse due chiari di luna valgono quanto la luce del giorno. E fu quella notte, nella quiete, tra bevande e musica, nell’umore tipico che nasce intorno al fuoco, che ci mettemmo d’accordo: Wynken, Blynken e Nod sarebbero andati con la Compagnia.

Contando anche Brand, la Compagnia era di undici elementi.

Sistemata la cosa, T.S. baciò le ragazze, compresa Solitaire, per augurare loro la buonanotte e se ne andò a letto. H.F. restò alzato ancora un po’ a sentire Demetrios raccontare come mai la tigre poteva essere finita in quella parte del mondo, dove in passato non era mai esistita. È la storia di uno di quei santi matti che fiorirono a profusione negli ultimi anni del Tempo Antico. Poco prima della guerra, questo tale entrava furtivamente nello zoo di parecchie grandi città, e di notte, di nascosto, liberava le bestie, bruciando le serrature con una torcia ad acetilene. Alcuni pensavano che non fosse un uomo solo, ma un gruppo di cospiratori. Secondo Demetrios, era un uomo solo. Comunque, gli episodi del genere finirono quando un tale, che teneva un diario e si faceva chiamare Jack il Liberatore, venne trovato morto dissanguato, ucciso da un bufalo cafro che aveva liberato. È una storia triste e aspra — Jack non amava gli animali, odiava solo il mondo — e la vostra romanziera magari un giorno la scriverà ricordando le parole di Demetrios, ma non qui. Tra gli animali liberati da Jack c’era un paio di tigri della Manciuria, e la femmina era gravida.

Anche H.F. andò a Ietto, senza dimenticare di baciare le ragazze. Bosco se l’era squagliata, e per un po’ nessuno notò la sua assenza. Erano tutti comodi e impigriti, ma persino Frankie non aveva ancora sonno (il nostro eroe), perciò in quell’ora i nuovi membri della Compagnia ritennero opportuno raccontare ai nuovi amici qualcosa di ciò che il mondo aveva fatto a loro, e che loro avevano fatto al mondo, poiché adesso avrebbero spartito gioie e affanni e amore e pericolo con la gente di Demetrios, fino all’altro oceano.

— Nod, — disse Wynken, — si chiamava Seiji Ohara. Il cognome è un buon cognome irlandese anche senza l’apostrofo, come aveva osservato il suo bisnonno Seumas O’Hara quando era arrivato a Boston da Bally na Hindi nel 1854, non molto esperto nella grafia inglese dei nomi stranieri… cioè, quando l’apostrofo cadde lui non si chinò a raccoglierlo. Così avvenne…

— … che saltiamo una generazione, — disse Blynken, — e arriviamo al matrimonio di suo nipote Stockton Ohara, in età avanzata, con Teru Kamayatsu, che nel 1985 seguì il corso sulla «Matrice socioideologica di Piers Plowman» che Stockton teneva allora in una stimata Università situata a Cambridge, Massachusetts. Per diversi anni non ebbero figli. Stockton aveva passato i sessant’anni, si era sottoposto per ragioni diagnostiche a una dose insolita di raggi X, e aveva subito l’inquinamento atmosferico radioattivo che veniva educatamente chiamato normale; e si credeva sterile. Nel 1992 lasciò l’insegnamento, e i coniugi andarono a vivere nella cittadina di Hoton, presso il confine del New Hampshire, ed erano là quando ci fu la guerra. Sebbene non fosse toccata dal bombardamento, ma solo dalle radiazioni, la cittadina venne gravemente danneggiata dai terremoti dell’Anno Uno, e decimata dalle epidemie. Era poco più di un accampamento tra le macerie quando, nell’Anno Quattro, nacque inaspettatamente a Teru e Stockton Ohara un figlio…

— Che adesso ha quarantatré anni, — disse Nod, — e li dimostra, ed è di due anni più vecchio delle sue mogli dilettissime e garrule. Loro nacquero, Wynken essendo la maggiore di due ore, in un’altra piccola ma famosa cittadina del Massachusetts, nell’Anno Sei. Il loro padre Ignace Kabotski, che era arrivato profugo da bambino, dalla Polonia, durante la carestia europea del 1978 e che mai…

Solitaire gridò: — Ma Wynken non può avere più di venticinque anni!

— Tesoro, ne ho quarantuno, — disse Wynken, senza guardare Frankie.

— Ma con le mie zampe di gallina e il doppio mento li dimostro, — disse Blynken.

— Tu te li sogni, — disse Wynken. — Addosso a me, naturalmente, tutti i segni della vecchiaia sono così minuti che non si notano.

— Comunque, quella che sembra la pancetta dovuta all’età è invece…

— Oh bella! — disse Solitaire. — Anche questo.

— Magari li metteremo al mondo insieme, — disse Blynken.

— Se posso continuare a parlare, il loro padre Ignace Kabotski, un profugo che non cambiò mai il suo cognome in Cabot, sebbene Blynken dica il contrario, il che è veramente un deplorevole snobismo alla rovescia…

— Una difesa naturale, — disse Wynken. — Anche dopo la guerra la cittadina era piena di conservatori. Siamo cresciute in mezzo a loro.

— Ignace Kabotski, — disse Nod, — fu il capo riconosciuto degli sforzi per tenere insieme la cittadina, dopo il Disastro, conservatori e tutto. La madre delle ragazze morì di difterite nell’Anno Nove, quindi la ricordano appena. Quando le due gemelle, ovviamente non identiche, superarono la prima infanzia, risultò chiaro che Wynken sarebbe diventata, come me, quella che la gente chiama nanetta, mentre Blynken sarebbe diventata normale o poco meno. Ignace credeva nelle virtù dell’apprendimento, una convinzione rafforzata dalle calamità del suo secolo. Affermava che c’erano solo due modi importanti per evitare le conseguenze della follia: uno, agire con saggezza; due, non nascere. Poiché la saggezza è una qualità acquisita, si impegnò a dare alle fighe l’educazione più ampia e solida che poteva, in quelle circostanze difficili: una preparazione che…

— Ancora oggi, — disse Wynken, — ci mette in grado di condividere lo sbalordimento di questo Seiji Ohara, cresciuto in un ambiente in cui la norma era una desolazione tollerata e accettata. Hoton era una rovina abitata da giganti tardi, dal cuore spezzato. La pietà, di solito, spunta nell’adolescenza avanzata, se pure uno ne è capace. Era così per Seiji, impaziente con quei grossi individui storditi, anche se erano le sole persone che conosceva, e pieno di pietà per loro più tardi, quando erano stati spazzati via dalla faccia della terra. Amava sua madre, ma anche lei esisteva in uno stato di trauma, era stordita quasi come tutti gli altri. Il vecchio padre di Seiji… abituato ad insegnare le fantasie medievalistiche, e agli adulti… fece del suo meglio per dargli un’istruzione basilare: leggere, scrivere, far di conto, un po’ di storia. Morì quando Seiji aveva dodici anni. Teru tirò avanti come poteva… Seiji non era un ragazzino docile. Quando lui aveva già quattordici anni, sua madre era ancora convinta che sarebbe cresciuto di colpo, sebbene le sue mani e i suoi piedi non fossero grossi come quelli dei bambini destinati a crescere. La solitudine, a Hoton, era estrema, in parte…

— … a causa di vecchie vanità, — disse Blynken. — Dopo la guerra, in generale i gruppi colpiti cercavano di unirsi ad altri, come voi ci avete detto della gente sperduta che affluiva a Nuber. Ma non andò così a Hoton, e neppure a Lowelltown. Là pensavano ancora che fosse il mondo a dover andare da loro; e poteva anche arrivare con stupida crudeltà. Così, immobili, nell’attesa di tempi migliori, quelle cittadine fantasma erano preda dei fuorilegge, dei nuovi selvaggi. Seiji aveva quindici anni e lavorava con sua madre nel campo di granturco quando arrivarono all’improvviso tre uomini a cavallo e portarono via Teru. Seiji venne scagliato da una parte…