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«Non pensai mai di ridiventare Adam Freeman. Laura, esitando, mi chiamò Adam, un giorno dopo la morte di Andromache; io scossi il capo. Era un’anima dolce, Laura, e spesso avrei voluto che fossimo più vicini, ma quel mondo per due, che si erano fatti lei e George, era all’antica, e non poteva esserci posto per un terzo. Io sono Demetrios, sì, e sicuramente, per il portinaio d’una Casa del Sesso, Demetrios è un nome migliore di Adam.»

Dentro di sé, Demetrios si augurò che gli ascoltatori se ne andassero. Non era stata una delle storie cui erano abituati… o cui era abituato anche lui, in quanto a quello. Gli pareva di saper raccontare meglio i sogni della verità, qualunque cosa fosse la verità. Gliel’aveva strappata la forza del ricordo, senza l’intervento conscio della sua arte. Sentì la brezza afosa, e la propria stanchezza.

— Signore?

— Sì, Garth?

— Volevo sapere se ci racconti altro.

— No, nient’altro. Questa notte ho sognato che stavo viaggiando verso l’ovest, su una ferrovia, dietro una locomotiva a vapore dal fumaiolo panciuto, una cosa che non ho mai visto neanch’io, se non nelle illustrazioni. C’era una lunga fila di vagoni, trainati su binari paralleli d’acciaio. Potrebbe esserci qualche avanzo arrugginito di binari, qua e là nei boschi… no, non ho più niente da raccontare.

— Mia zia ha la vista… sai? E sa anche leggere, Demetrios. Ha un libro dei sogni, e dice che lì dentro spiega cosa vogliono dire tutte queste cose. Posso chiederle di vedere cosa significa il tuo sogno.

— Potrebbe dire che debbo fare un viaggio all’ovest.

— Una volta mia zia mi ha detto che sul libro è spiegato come sì possono fare sogni che si realizzano: bisogna mettere sotto il cuscino del rosmarino e, beh, delle altre cose. Voglio dire, io ho fatto così, e poi ho fatto davvero uno di quei sogni, sai, ed era proprio magnifico.

— Dicono che adesso non c’è altro che desolazione, — disse il giovane con il canelupo, — a ovest, da Penn fino a un oceano… può essere quello che chiamavano Pacifico, signore?

— Può essere, — disse Demetrios. — Ma poiché l’Hudson si è alzato tanto da diventare un mare interno, il Mississippi deve aver fatto lo stesso, quindi è probabile che sia quello, l’oceano che intendono. Un aumento straordinario del livello delle acque, vedi, in così poco tempo, solo mezzo secolo. “Al porto di Nuber mi hanno detto che il livello si mantiene costante ormai da cinque anni. Un mare interno dovrebbe avere sommerso Hesterville. Era una zona quasi completamente piatta. Forse potrebbe esserci qualche isoletta.

Dietro di lui qualcuno disse: — Hai la licenza per raccontare storie?

Il ragazzo con il canelupo si alzò, mormorando di star buono alla sua bestia possente. Garth stava scrutando il nuovo arrivato, con le mani ferme sulla testa del cavallo, l’innocenza chiusa improvvisamente dentro gli occhi azzurri che sembravano più vecchi, pericolosi. Demetrios girò la testa, senza fretta. Il poliziotto era arrivato senza far rumore con i mocassini; era un tipo onesto e solido che Demetrios conosceva. Aveva l’uniforme blu scuro, perizoma e camicia con il cerchio d’oro ricamato, e lo sfollagente alla cintura. — Adesso ci vuole anche la licenza, Joe?

— Se lo fai per la strada, sì. Diventa una riunione.

— Joe, io racconto storie agli angoli delle strade da almeno quindici anni, lo sai bene. Qualche volta ti sei fermato ad ascoltarmi anche tu. — L’imbarazzo di Joe era un velo sottile di ghiaccio su uno stagno, alle prime gelate. — Mi ci guadagno da vivere, Joe, a parte il mio lavoro di portinaio.

— Non è da molto che ci vuole la licenza, signore. Non ti arresto… non vogliamo noie. Solo devi procurarti la licenza prima di farlo ancora. Vai a informartene in Comune.

— E quanto costa?

Joe si schiarì la gola e distolse lo sguardo. — Chiedilo a quelli del Comune, non è competenza mia. Avanti, circolare, gente. Niente sovversioni. Non vogliamo folla su Harrow Street.

— Joe Park, — disse la donna alla finestra, — sei un figlio di puttana.

— Circolare, gente. Disperdersi. Non vogliamo noie.

CAPITOLO 3

MA COS’È LA PACE?

L’immane conoscenza mi trasforma in un dio. Nomi, imprese, grigie leggende, eventi atroci, ribellioni, Maestà, voci sovrane, sofferenze, Creazioni, distruzioni, tutto insieme Si precipita dentro al mio cervello…
Keats, HYPERION.

Gli ascoltatori si dispersero. Demetrios si sforzò di ricordare quando era sgattaiolato via l’uomo dalla faccia chiusa: dopo quelle osservazioni sulle nazioni, le persone, le folle, che potevano irritare i superiori di quell’uomo… i quali dovevano trovarsi nella Città Interna, sicuramente.

Da buon portinaio, Demetrios desiderava rispettare la legge, purché la legge avesse un po’ di senso. Egli non aveva quella spinta interiore, simile alla disperazione e alla vanità, che anima la mente del rivoluzionario. La polizia della città-stato di Nuber non faceva paura a Demetrios. Raramente aveva visto i poliziotti comportarsi male. Certo, non era prevenuto nei loro confronti. Da ragazzetto, non aveva provato il comprensibile odio verso la polizia, nutrito in genere dagli americani del ventesimo secolo; l’acuto, tranquillo senso dell’umorismo di suo padre lo aveva distolto anche da altri eccessi.

L’agente Joe Park, compiuto il suo dovere, si allontanò a passo di marcia, agitando una mano in direzione della donna alla finestra per far capire che aveva sentito l’insulto. Demetrios si alzò rigido; prontamente, con discrezione, la mano di Garth l’aiutò. Il cavallo da tiro sbuffò sul collo di Demetrios. Garth borbottò: — Odio quegli stupidi poliziotti, gli piscerei nella birra. — Erano parole sorprendenti, in bocca al mite Garth. — La settimana scorsa uno ha picchiato Frankie che non aveva fatto niente, solo fatto pipì contro la statua, nei Giardini, quella vicina all’ingresso, mi pare sia san Franklin, con il mento a badile. Lo fa un sacco di gente… Frankie ha solo dodici anni; non dovevano picchiarlo.

— Brand non ce la fa mai a passare davanti a quella maledetta statua senza fermarsi, — disse il giovane con il canelupo. — Tira il guinzaglio se cerco di fermarlo, così qualche volta mi fermo anch’io a fare lo stesso. — Il cane scodinzolò contento alla musica del proprio nome. — Io sono Angus Bridgeman, signore.

— La pace sia con te, Angus, con te, — disse Demetrios. — Il mio nome lo conosci. — La sua stanchezza si disperdeva, come se il calore di quel giovane gli entrasse nelle vecchie ossa e nelle giunture. — Sarà bene che ce ne andiamo, non si sa mai, Joe può avere gli occhi nella schiena. E io devo andare in Comune… ma non oggi. Andrò a casa: sono stanco. Madam, c’era abbastanza amore nella mia storia?

— Beh, c’era dell’amore. Vi inviterei tutti a prendere una tazza di tè, ma la casa è in disordine e fra poco tornerà a casa il mio uomo.

— Sarà per un’altra volta. Sii benedetta.

— E anche tu, uomo Demetrios. E voi fate i bravi ragazzi. — I tre si avviarono per la strada. La faccia della donna si rattristò, come un campo diviene squallido quando il sole l’abbandona alle nubi vaganti; e volse le spalle alle opere del mondo.

A questo punto io che scrivo questo libro devo intromettermi un istante — non più di un istante, vi prometto, e poi vi lascio e mi dileguo — per dire che questa donna non è una finzione (o stelle del giorno, che cos’è la finzione?)… anzi, rimasi un giorno o due in casa sua durante il mio ultimo ritorno a Nuber, e non era serena e tranquilla e di nuovo in stato interessante? Esiste veramente, ma per prudenza non vuole che si faccia il suo nome. Adesso vi lascio.