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Nel frattempo Chena osservò Evalyth seduta di fronte a lei. Era immobile come una statua, ancora in parte drogata. Sicuramente proveniva da una famiglia aristocratica di guerrieri. Inoltre era risaputo che le differenze fra le genti dei vari pianeti non erano solo fisiche ma anche psicologiche, sebbene non si sapesse ancora molto al riguardo tranne casi particolari… Però sarebbe stato meglio se Evalyth si fosse lasciata andare al suo dolore.

— Sei proprio sicura? — chiese Chena nel modo più dolce possibile. È vero che questa è l’unica isola abitabile, ma è comunque molto estesa e accidentata, con primitive vie di comunicazione e sono già state individuate dozzine di culture diverse.

— Ho tartassato Rogar per più di un’ora e sono riuscita a farlo parlare — rispose impassibile. — I lokonesi sono più avanzati della loro tecnologia. La costante minaccia dei selvaggi ai confini li ha costretti a formare un’efficiente rete di spionaggio che li tiene sempre ben informati su tutto quello che succede. Inoltre il cannibalismo è esteso a tutte le tribù. I lokonesi non hanno mai pensato di parlarcene, dando per scontato che anche noi avessimo i nostri metodi per recuperare carne umana.

— Perché, ci sono diversi sistemi?

— Certo. I lokonesi riservano degli schiavi solo per questo, invece i selvaggi dei pianori, troppo poveri per fare altrettanto, devono ricorrere alla guerra e all’assassinio. Alcune tribù risolvono la questione con un combattimento annuale, altre… insomma, in ogni popolazione di questo mondo i ragazzi entrano nel mondo degli adulti mangiando carne umana.

Chena si mordicchiò le labbra. — Ma da dove mai può essere giunto questo rito? Calcolatore, hai i dati richiesti?

— Sì — rispose l’apparecchio posato sulla scrivania. — Le informazioni sul cannibalismo sono esigue, dato che il fenomeno è molto raro. È proibito su tutti gli altri pianeti di nostra conoscenza, e lo è sempre stato tranne che in casi di assoluta necessità. In maniera simbolica è presente nel giuramento di fratellanza praticato dai falken di Lochlanna, che sono soliti bere l’uno qualche goccia di sangue dell’altro…

— Questa è un’altra cosa — lo interruppe Chena che si sentiva un nodo alla gola. — Allora è solo qui che sono tanto degenerati… ma non è forse un ritorno al passato? Cosa sai dirmi della Vecchia Terra?

— Si sa ben poco. Molte informazioni sono andate perdute nella Lunga Notte, inoltre c’è il fatto che i popoli primitivi erano già scomparsi da tempo quando sono iniziati i voli interstellari. Abbiamo solo dati tramandati da studiosi dell’epoca.

“Sembra che il cannibalismo fosse presente in alcuni rituali. Di solito le vittime non venivano mangiate, ma in alcune religioni costituivano il cibo di classi privilegiate o anche di tutta la comunità dei fedeli. Era un modo simbolico per nutrirsi della divinità. Gli Aztechi, ad esempio, sacrificavano migliaia di vittime ai loro dèi, ma così facendo provocavano guerre e ribellioni, e di queste lotte si avvantaggiarono gli europei nella loro conquista.

“In Africa e in Polinesia, invece, il cannibalismo era considerato una forma di magia. Mangiare una persona voleva dire acquistare le sue doti. Gli antichi riferiscono che questo atto era molto apprezzato, come è facile capire, dove mancavano le proteine.

“L’unico caso di cannibalismo fine a se stesso si riscontra tra le popolazioni caraibiche che preferivano la carne umana alle altre. In particolare gradivano quella dei bambini e usavano catturare delle donne da destinare alla riproduzione. I maschi così generati venivano evirati, affinché rimanessero docili e teneri. Fu proprio a causa di queste abitudini che gli europei sterminarono gli indiani dei Caraibi.”

La relazione era finita.

Chena storse la bocca. — Posso capire gli europei.

Evalyth era rimasta impassibile. — In qualità di scienziata dovresti essere più imparziale!

— Sicuro. Ma bisogna guardare anche certi valori, e Donli è stato ucciso.

— L’assassino è uno solo e io lo scoverò.

— Ma è uguale a tutti gli altri, fa parte della stessa cultura. — Respirò profondamente nel tentativo di mantenere la calma. — È una specie di malattia che ha influenzato il loro comportamento. Credo che si sia sviluppata a Lokon. Di solito infatti le usanze si diffondono dal popolo più progredito a quelli più arretrati e logicamente tutte le tribù dell’isola ne sono state influenzate. Successivamente i lokonesi hanno cercato di dare un fondamento razionale a questa pratica inveterata, mentre i selvaggi delle pianure l’hanno mantenuta immutata. In sostanza, comunque, si tratta di un’unica forma di sacrificio umano.

— Potrebbero cambiare? — chiese Evalyth distrattamente.

— In teoria, sì. Ma… si sa bene cosa è successo sulla Vecchia Terra quando i popoli evoluti hanno cercato di modificare tali usanze: si sono distrutte intere culture.

“Immagina cosa accadrebbe se impedissimo a queste popolazioni di praticare il rito della pubertà. Non potrebbero ascoltarci perché per loro è necessario cibarsi di carne umana per diventare adulti. Per convincerli dovremmo imprigionarli, ucciderli. E poi? La successiva generazione, maturata senza il cibo magico, si sentirebbe inferiore, privata di quell’identità personale data dalle tradizioni. Sarebbe forse meglio bombardarli fino a renderli sterili. — Scosse il capo, poi riprese bruscamente. — L’unica soluzione sarebbe un cambiamento graduale. Forse dei predicatori riuscirebbero a convincerli nel giro di due o tre generazioni… Ma noi non possiamo permettercelo. Ci sono troppi mondi più meritevoli di aiuto. Ho deciso di consigliare che questa gente venga lasciata a se stessa.”

Evalyth la osservò attentamente. — La tua decisione non è per caso influenzata da quello che provi?

— È vero, non riesco a non sentirmi disgustata, anche se il mio lavoro dovrebbe avermi preparato a qualsiasi evenienza. È proprio per come ho reagito io che credo non si troverebbero dei predicatori. Anche tu, Evalyth…

— I miei sentimenti non hanno importanza — rispose Evalyth alzandosi. — Ciò che conta è il mio dovere. Comunque grazie per l’aiuto. — Si voltò e se ne andò con passo militaresco.

Le batterie chimiche andavano in pezzi. Si fermò un istante di fronte a quella che era stata la casa sua e di Donli: aveva paura di entrare. Il sole stava tramontando e le ombre invadevano l’edificio. Una bestia dalle ali coriacee attraversò silenziosamente il cielo. Passi, voci sconosciute e il suono di un flauto di legno giungevano da oltre la palizzata. Iniziava a scendere il freddo ed Evalyth rabbrividì. La casa le sarebbe parsa troppo vuota.

Stava arrivando qualcuno. Era Alsabeta Mondain di Nuevamerica, la riconobbe subito. L’idea di ascoltare condoglianze benevole quanto inutili la spinse a entrare. Fece gli ultimi gradini e chiuse la porta.

Donli non entrerà più qui. Mai più.

La casa però non le parve affatto vuota. Al contrario, era troppo affollata di ricordi. La sedia che lui usava quando leggeva quel suo libro ormai consunto di poesie che a lei riuscivano incomprensibili; il tavolo intorno al quale avevano brindato e le aveva mandato dei baci; l’armadio che conteneva i suoi vestiti; le pantofole logorate; il letto… tutto glielo riportava alla mente. Corse nel laboratorio e tirò la tenda che faceva da divisorio. Il tintinnio degli anelli le parve un suono terribile.

Chiuse gli occhi e rimase in piedi con i pugni serrati, faticando a respirare. Sarò forte, promise, perché tu dicevi di amarmi soprattutto per il mio coraggio… Me lo ricordo bene e non voglio cambiare niente di quello che tu apprezzavi.

Poi si rivolse al figlio. Devo agire subito perché il comando seguirà il consiglio di Chena e deciderà di partire al più presto. Non ho molto tempo per vendicare l’uccisione di tuo padre.