I due figli di Moru uscirono a tentoni all’aperto, circondati dagli insetti che li rendevano quasi invisibili.
Evalyth ne rimase scossa, ma non per questo il suo odio diminuì. Dovevo immaginarlo che erano stati loro a mangiarlo. Erano degli gnomi fatti e finiti… magrissimi, con la testa grossa e il ventre gonfio, il simbolo della denutrizione. Su Kraken i ragazzi di quell’età erano alti perlomeno il doppio, ormai uomini. I piccoli corpi che aveva di fronte erano invece grotteschi.
Ben presto uscirono i genitori, ignorati dagli insetti. Evalyth riuscì a distinguere qualche parola della madre: — Che succede… cosa sono tutti quei… aiuto! — ma non distolse gli occhi da Moru.
Nel vederlo uscire zoppicante e ricurvo dal riparo le parve un enorme scarafaggio in un mucchio di rifiuti. Lo avrebbe riconosciuto in qualsiasi caso. Aveva in mano un coltello di pietra, certo quello che aveva ucciso Donli. Glielo prenderò e gli taglierò anche la mano, pianse Evalyth. Voglio che rimanga vivo il più a lungo possibile mentre lo ammazzerò e spellerò quei suoi repellenti bambini.
La moglie di Moru urlò. Aveva visto la gravitoslitta e la donna altissima ritta sulla piattaforma, scintillante alla luce della luna.
— Sono venuta a cercare te che hai ucciso il mio uomo.
La moglie di Moru si gettò davanti ai figli. Lui cercò di proteggerli tutti ma correndo inciampò con il piede malato e cadde in una pozzanghera. Mentre cercava di rialzarsi, Evalyth sparò alla donna che in silenzio si accasciò a terra.
— Fuggite — urlò Moru cercando di attaccare la slitta. Evalyth però azionò una leva e il veicolo partì all’improvviso colpendo i ragazzi dall’alto.
Moru si accostò a uno dei figli e lo strinse tra le braccia sollevando il capo. La luce della luna, impassibile, lo illuminò.
— Cosa vuoi ancora? — gridò.
Evalyth lo stordì, poi scese e li legò tutti e quattro come maiali. Mentre li trasportava a bordo li trovò più leggeri del previsto.
Cominciò a sudare, finché anche la tuta le si appiccicò addosso, poi a tremare come se avesse la febbre. Sentiva anche le orecchie ronzare. — Volevo distruggerti — disse a Moru con una voce che le parve remota e sconosciuta. Si chiese perché mai stesse parlando a quell’uomo privo di sensi e per di più nella propria lingua. — Non dovevi comportarti così. Adesso mi sono venute in mente le parole del calcolatore. I compagni di Donli hanno bisogno di te per studiarti.
“Tu rappresenti un’occasione unica. Quello che hai fatto ci permette di farvi prigionieri e nessuno di noi avrà paura di offendervi.
“Non saremo tanto crudeli. Solo qualche prelievo di cellule, dei test, all’occorrenza sarete addormentati. Non sarà doloroso, un semplice esame clinico approfondito il più possibile.
“Sarete sicuramente ben nutriti e vi guariremo le malattie che vi verranno diagnosticate. Alla fine tua moglie e i tuoi figli saranno liberati.”
Fissò quel volto orribile.
— Godo all’idea che tu, non comprendendo quello che accadrà, vivrai un’esperienza terribile. Quando tutto sarà finito insisterò per riaverti. Non possono negarmelo. Oltretutto sei stato allontanato dalla tua stessa tribù. Avrò solo il permesso di ucciderti, ma almeno questo l’otterrò.
In fretta si diresse verso Lokon per arrivare prima di non riuscire più ad accontentarsi solo di quello.
I giorni trascorsero. Senza di lui.
Solo la notte le recava sollievo: se non era stanca morta poteva sempre prendere un sonnifero. In tal modo lo sognava solo di rado, ma di giorno si deve vivere, e senza le droghe.
Fortunatamente il lavoro non mancava perché dovevano prepararsi alla partenza imminente e il personale era poco. C’erano da smantellare le apparecchiature, imballarle, trasportarle sulla nave e ordinarle nelle stive. Occorreva preparare anche la Nuova Aurora, riprogrammare e collaudare parecchi sistemi. Evalyth fungeva da meccanico, pilota di scialuppa e caposquadra di carico. In più continuava il suo compito di custodia.
Il comandante Jonafer tentò di farle osservazione: — Perché fa tutto questo, tenente? Gli indigeni sono agitati nel vedere questo via vai di robot, macchinari pesanti, riflettori che illuminano a giorno… È diventato quasi impossibile persuaderli a restare in città!
— E allora? Cosa ce ne importa? — rispose bruscamente.
— Non dobbiamo distruggerli, tenente.
— È vero, ma potrebbero essere loro a distruggere noi alla prossima occasione. Pensi a quali particolari virtù può possedere il suo corpo!
Jonafer lasciò perdere. Ma quando Evalyth rifiutò di incontrare Rogar la prima volta che tornò a terra, la costrinse a riceverlo e a essere gentile.
Il Klev entrò nel laboratorio biologico tenendo tra le mani un dono: una spada forgiata con il metallo imperiale. La accettò con una scrollata di spalle. Un museo l’avrebbe sicuramente gradita.
— Mettila a terra.
L’unica sedia era occupata da Evalyth, perciò Rogar rimase in piedi. Pareva piccolo e vecchio.
— Sono venuto per dirti che noi lokonesi gioiamo della tua vendetta.
— Non l’ho ancora ottenuta del tutto — lo corresse Evalyth.
Lo fissò con aria truce e Rogar non riuscì a sostenere quello sguardo.
— Visto che la Venuta dal cielo è riuscita a scovare coloro che cercava… saprà bene che gli abitanti di Lokon non hanno mai avuto intenzioni malvage.
Non era necessario rispondere.
Rogar giocherellò con le dita.
— Perché ve ne andate? All’inizio ci avevate garantito che sareste rimasti per molte lune e poi sarebbero sopraggiunti degli altri a insegnare e a commerciare. Noi ne eravamo felici. Non solo per i prodotti che avremmo potuto acquistare o per la promessa di porre fine alla fame, alla malattia, al pericolo e all’angoscia. Niente affatto. La nostra felicità era dovuta principalmente alle cose meravigliose che ci stavate rivelando. Il nostro piccolo mondo di colpo era diventato immenso. E invece ve ne state andando. Alle mie domande alcuni dei tuoi hanno risposto che non tornerete più. Vi abbiamo offeso, Venuta dal cielo? Come possiamo riparare?
— Non dovete più trattare i vostri simili come animali — replicò subito Evalyth.
— Ho capito… voi reputate ingiusto quello che succede nel Luogo Sacro. Ma avviene una sola volta nella vita di ogni uomo, Venuta dal cielo, ed è un dovere!
— Non è necessario.
Rogar si gettò carponi davanti a lei.
— Forse per voi è diverso — implorò. — Ma noi siamo semplicemente uomini. Se i nostri figli non conseguono la virilità, non possono procreare e l’ultimo che rimarrà in vita non avrà nessuno che gli liberi l’anima dopo la morte… — Alzò gli occhi su di lei. Indietreggiò, strisciando e gemendo, fino a essere illuminato dal sole.
Chena Darnard andò da Evalyth. Dopo aver bevuto qualcosa e aver chiacchierato un po’, l’antropologa affrontò l’argomento che le stava a cuore.
— Ho sentito che sei stata dura con il Grande Capo.
— Ma come… Oh! — si ricordò che il colloquio era stato registrato, come sempre. — Come avrei dovuto comportarmi? Baciando quel cannibale sulla bocca?
— Certo che no! — rabbrividì Chena.
— Sei stata tu la prima a firmare la richiesta della partenza!
— È vero. Però… Ero nauseata e lo sono ancora, ma… Hai già esaminato i prigionieri?
— No.
— Avresti dovuto. Avresti visto come urlano e come si spaventano quando vengono legati in laboratorio e come si abbracciano nelle loro celle.
— Non vengono mutilati o torturati, vero?