Mi sedetti sulla punta della scogliera che sporge sul fiume. Niente marosi; solo minuscole onde lambivano la riva, come se l’intero oceano si movesse su e giù di una spanna. Sulla spiaggia la neve era scomparsa del tutto, ma la sabbia era umida e sconvolta; dappertutto c’erano pozze blu e bianche. Le sparse nubi simili a galeoni non ostacolavano molto il sole, ma conferivano alla sua luce una sfumatura, tanto che lunghi tratti della scogliera erano del colore della corteccia del legno del ferro. Niente marosi, aria immobile, oceano simile a una lastra di vetro azzurro, i galeoni librati in alto senza cambiare posizione.
Notai una cosa mai vista prima. Nel mare azzurro e piatto c’era il riflesso perfetto delle nubi alte, chiaramente contornato, tanto da pensare che fossero sempre quelle, capovolte. Sembrava che galleggiassero sott’acqua, in un cielo azzurro cupo. «Guarda quelle!» dissi ad alta voce, alzandomi. Le nuvole scarrocciavano lentamente a riva sopra la valle e le loro gemelle capovolte scomparivano sotto la spiaggia. Mi fermai a guardare tutta la giornata, sentendomi come riempito da oceani di nuvole. Più tardi nel pomeriggio la brezza da terra scompigliò le nubi specchiate e il sole scese troppo in basso e si rifletté sull’acqua. Ma tornai a casa soddisfatto.
Durante l’inverno, gli sciacalli si rintanano in qualche vecchia casa in rovina, una decina e più per casa, come volpi nel covo. Di notte usano le case vicine come legna da ardere e accendono grossi falò nel cortile anteriore, bevono, ballano al ritmo della vecchia musica, s’azzuffano, ululano, scagliano monili alle stelle e nella neve. Un uomo solo, scivolando su lunghe racchette sopra i mucchi di neve, può spostarsi senza difficoltà fra questi rumorosi insediamenti. Può acquattarsi fra gli alberi come un lupo e guardare indisturbato, finché ne ha voglia, gli sciacalli saltellare nelle loro vesti sgargianti. I loro ritrovi estivi sono aperti alla sua ispezione. E lassù ci sono libri, sì, mucchi di libri. Agli sciacalli piace quel libro piccolo e spesso con il sole arancione sulla copertina, ma nelle rovine ne esistono molti altri a cui nessuno fa caso, intere biblioteche, a volte. Uno può caricarsi di libri finché con le racchette non affonda nella neve fino alla caviglia, e poi tornare, sciacallo di diversa natura, nel suo villaggio, nella sua tana invernale.
Alla fine di gennaio, una tempesta particolarmente violenta scalzò un lato della tettoia nel giardino dei Mendez (loro la chiamavano rimessa); appena spiovuto, tutti i vicini — i Mariani, i Simpson, Pa’ e io, più Rafael chiamato come consulente — uscirono a dare una mano per puntellare la parete pericolante. L’orto dei Mendez era gelido e fangoso come il fondo dell’oceano; non c’era un tratto di terreno solido su cui sistemare i travi per tenere sollevata la parete mentre ci lavoravamo sotto. Alla fine Rafael ci suggerì di legare la tettoia alla grossa quercia che cresceva sul lato opposto.
«Mi auguro che l’intelaiatura sia stata inchiodata bene» scherzò Rafael, mentre eravamo tutti sotto la parete inclinata. Kathryn e io lavoravamo da un lato, Gabby e Del scavavano l’altro, in pratica eravamo tutti sommersi dal fango. Quando infine mettemmo sotto la parete i travi incrociati perché facessero da fondamenta, tutt’e quattro le famiglie erano pronte per i bagni. Rafael ci aveva preceduti, quindi trovammo il fuoco acceso e l’acqua fumante. Ci spogliammo e ci tuffammo nel bagno “sporco”, lanciando grida di gioia.
«Secondo me, ti conviene lasciare la fune lì dov’è» disse Rafael al vecchio Mendez. «Così non ti toccherà mai scoprire se i travi reggono o no.» Mendez non si divertì molto all’idea.
Rotolai nel bagno “pulito” e galleggiai con lui e la signora Mariani e gli altri. Kathryn e io ci sedemmo su una delle isole di legno a chiacchierare. Lei mi chiese se continuavo a scrivere. Avevo quasi terminato, risposi, ma poi avevo piantato lì perché il libro era brutto.
«Non sta a te giudicare» disse lei. «Finiscilo.»
«Prima o poi.»
Parlammo delle tempeste, della neve, delle condizioni dei campi (protetti da teloni per l’inverno), dei marosi che battevano la spiaggia, del cibo.
«Chissà Doc come se la passa» dissi.
«Tom va spesso da lui. Ormai sembrano fratelli.»
«Bene.»
Kathryn scosse la testa. «Anche così… Doc è saltato, sai.» Mi fissò. «Non durerà a lungo.»
«Ah.» Non sapevo che cosa dire. Per un bel pezzo rimasi a guardare i mulinelli d’acqua. «Pensi mai a Steve?» chiesi poi.
«Certo.» Mi guardò negli occhi. «E tu no?»
«Già. Ma ci sono costretto, con il libro.»
Sotto il mio sguardo di rimprovero, lei scrollò le spalle: i capezzoli ballonzolarono sulla superficie piena di bolle. «Ci penseresti, anche senza libro. Se mi assomigli. Ma ormai è il passato, Henry. Ecco cos’è: il passato.»
Le parlai del giorno in cui il mare era così piatto da riflettere le nuvole; lei si appoggiò allo schienale e rise. «Sembra fantastico.»
«Non ho mai visto uno spettacolo più bello.»
Lei allungò la mano sopra l’isola di legno, mi passò il dito lungo la piega dei muscoli nella parte posteriore del braccio. Inarcai le sopracciglia, con un sogghigno mi lasciai scivolare dal sedile e cominciai a stuzzicarla. Mi afferrò per i capelli.
«Henry!» disse ridendo; mi tenne con la testa sott’acqua, dandomi problemi più immediati a cui pensare, tipo soffocare e annegare. Riemersi sputacchiando. Kathryn rise di nuovo e indicò gli amici intorno.
«E allora?» dissi; tornai sotto per un approccio subacqueo, ma lei si mise in piedi e si allontanò spruzzandomi e guidandomi verso i sedili contro la parete, dove c’erano gli altri. Chiacchierammo con Gabby e con Kristen, e più tardi con il vecchio Mendez, che ci ringraziò per l’aiuto.
Ma quando Rafael dichiarò che la razione quotidiana di legna era ormai bruciata tutta, uscimmo dal bagno, ci asciugammo e ci rivestimmo; allora mi guardai intorno: Kathryn, sulla soglia, guardava me. La seguii fuori. All’istante l’aria fredda mi gelò la testa e le mani. Kathryn era lì, nel sentiero fra due alberi. La raggiunsi e la strinsi in un abbraccio. Ci baciammo. Ci sono baci che hanno in sé un intero futuro: lo imparai quella volta. Quando ci staccammo, la madre e le sorelle di Kathryn uscivano chiacchierando dallo stabilimento. La lasciai. Parve sorpresa, pensierosa, compiaciuta. Se fosse stata estate… ma era inverno, c’era neve dappertutto. E l’estate era in arrivo. Kathryn mi sorrise; con una carezza si allontanò a raggiungere la famiglia, girandosi una volta a incrociare il mio sguardo. Quando fu fuori vista, tornai a casa nel crepuscolo (neve bianca, alberi neri) con in mente un’idea del tutto nuova.
Certi pomeriggi mi limitavo a stare seduto alla finestra e a guardare il libro, chiuso, al centro della tavola. Un pomeriggio di quelli, i fiocchi di neve volteggiavano fra gli alberi e cadevano a terra lentamente come pappi di soffione; ogni ramo, ogni ago, avevano la punta di un bianco nuovo. In questo scenario avanzò una figura in racchette da neve, vestita di pelliccia. L’uomo aveva un bastone per mano, per tenersi meglio in equilibrio; quando sfiorava gli alberi, faceva precipitare piccole valanghe, sulla sua testa e lungo la schiena. Il vecchio va in giro a tendere trappole, pensai. Ma lui venne dritto alla finestra e gesticolò.