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«Come?»

Si avviò verso il fiume.

Andammo dai Mariani, ci fermammo accanto ai forni. Steve emise il richiamo del gufo. Aspettammo a lungo. Steve tamburellò con il pugno sulla parete del forno. Perfino io, che non c’entravo niente, mi sentivo nervoso. Il nervosismo mi portò a ricordare quanto era accaduto la notte precedente.

La porta si aprì, Kathryn scivolò fuori, con gli stessi calzoni che indossava la notte prima, ma con una camicetta diversa. Le unghie di Steve graffiarono i mattoni. Kathryn capì dov’era e venne dritta verso di noi.

«Ah, sei tornato» disse. Lo fissò, tenendo la testa inclinata da un lato.

Steve scosse il capo. «Solo per dirti addio.» Si schiarì la voce. «Ho… ho ucciso alcuni sciacalli, lassù. Vorranno vendicarsi. Se al raduno direte che me ne sono andato, che era solo colpa mia, forse non ci saranno conseguenze.»

Kathryn lo fissò.

«Non posso restare, dopo quel che è accaduto» disse Steve.

«Potresti.»

«No.»

Dal modo in cui lo disse, capii che stava per andarsene davvero. Anche Kathryn lo capì. Piegò le braccia sul petto, si strinse come se avesse freddo. Guardò dalla mia parte. Abbassai gli occhi.

«Lasciaci parlare un momento, Henry.»

Risposi con un cenno, gironzolai fino al fiume. L’acqua ticchettava sopra sporgenze simili a vetro nero. Mi domandai che cosa Steve le dicesse, che cosa Kathryn gli dicesse. Avrebbe provato a fargli cambiare idea, pur sapendo che lui non l’avrebbe cambiata?

Ero lieto di non sapere. Faceva male pensarci. Rividi la faccia di Doc, mentre guardava suo figlio «la parte ancora viva di sua moglie» calato nella fossa accanto a lei. Incapace di fermarmi, pensai: “Cosa succede se il vecchio muore stanotte, proprio lì in casa di Doc? E Doc, allora?… E Tom?”

Mi sedetti, mi strinsi tra le mani la testa, ma non riuscii a smettere di pensare. A volte sarebbe una grande benedizione, spegnere i pensieri. Mi alzai, tirai sassi in acqua. Tornai a sedermi, quando i sassi affondarono: avrei voluto poter gettare via con la stessa facilità i pensieri o gli avvenimenti del passato.

Comparve Steve. Si fermò a guardare il fiume. Mi alzai.

«Andiamo» disse lui, con voce rauca. Discese il sentiero del fiume verso il mare, tagliò per la foresta. Non scambiammo parola, camminammo solo insieme, fianco a fianco; in un breve istante ricordai com’era stato per tanto tempo, per tutta la nostra vita, quando camminavamo in silenzio di notte nei boschi, come fratelli. Passato.

Steve discese senza guardare il sentiero della scogliera, passando da un gradino all’altro con abilità e noncuranza. C’era uno spicchio di luna, quasi sull’acqua. Io discesi con maggior prudenza la scogliera buia. Spezzammo la crosta di sabbia, lasciando grandi impronte.

Un paio di barche da pesca aveva nella chiglia l’alveolo in cui inserire un piccolo albero per spiegare una vela. Steve si accostò a una di queste barche. Senza una parola l’afferrammo da prua e da poppa e la spingemmo a zigzag sulla sabbia. In genere quattro o cinque uomini spingono in acqua un’imbarcazione, ma solo per comodità: Steve e io riuscivamo a smuoverla assai facilmente. Raggiunta l’acqua bassa al di là della secca, ci fermammo. Steve salì a bordo per fissare l’albero e io tenni ferma sulla sabbia del fondo la chiglia della barca.

Dissi: «Vai a Catalina, come quel tale che ha scritto il libro.»

«Giusto.»

«Sai che il libro è solo un mucchio di fandonie.»

Non smise di svolgere la vela. «Non me ne importa. Se il libro è una menzogna, lo farò diventare verità.»

«Non è il tipo di menzogna che puoi far avverare.»

«Come lo sai?»

Non lo sapevo, ma non potevo ammetterlo. Sistemato l’albero nella scassa, Steve lo fissò con la coppiglia. Non volevo chiedergli di brutto di restare. «Pensavo che avresti dedicato la vita a combattere per l’America.»

Interruppe il lavoro. «Non credere che non lo faccia» disse con amarezza. «Hai visto cos’è successo, quando abbiamo provato a combattere qui. È impossibile. Ma a Catalina si può fare qualcosa. Scommetto che là c’è un mucchio di americani che condivide la mia idea.»

Era chiaro che per ogni obiezione avrebbe avuto pronta una risposta. Passai a poppa, pronto a spingere.

«Sono sicuro che laggiù la resistenza è più valida che altrove» disse. «Più efficace. Non credi? Voglio dire… Non vieni con me?»

«No.»

«Ma dovresti venire. Te ne pentirai. Questa è una piccola valle fuori del mondo.» Mosse la mano verso occidente. «E laggiù c’è il mondo, Henry!»

«No.» Mi chinai sulla poppa. «Deciditi! Vuoi aiuto con la barca o no?»

Mise il broncio, scrollò le spalle. Da come poi le lasciò ricadere, vidi quanto fosse stanco. Ed era una lunga traversata. Ma non sarei andato con lui, né intendevo spiegargli i miei motivi. Comunque, non si aspettava che dicessi di sì, giusto?

Si scosse, scese a spingere. In breve la barca fu a galla. Da sopra, ci guardammo. Mi tese la mano. Gliela strinsi. Non sapevo cosa dire. Steve balzò a bordo, tirò fuori i remi mentre da poppa tenevo ferma la barca. Quando la spinsi nella corrente, cominciò a remare. Con la falce di luna alle sue spalle, non riuscivo a distinguere la sua espressione. Non ci scambiammo parola. Superò a forza di remi un’ondata che risaliva il fiume. Presto sarebbe stato al largo, dove gli ultimi refoli del Santa Ana avrebbero superato la scogliera e gonfiato la vela.

«Buona fortuna!» gridai.

Continuò a remare.

L’onda successiva nascose per un momento la barca. Uscii infreddolito dal fiume. Sulla riva, guardai Steve superare la foce. La vela, debole chiazza contro il nero, sbatté e si gonfiò. Ben presto Steve fu al di là dei frangenti. Da lì non mi avrebbe udito, a meno che non avessi urlato.

«Fai qualcosa di buono per noi, laggiù» dissi. Ma parlavo a me stesso.

Risalii il sentiero della scogliera, gocciolando acqua dai calzoni. Arrivato in cima, mi ero già scaldato un poco. Camminai lungo la scogliera. Era un’altra notte serena; la luna calante splendeva sull’acqua, segnava la distanza dell’orizzonte. Era una notte di quelle che ti fanno capire quant’è vasto il mondo: l’oceano, il cielo stellato, la scogliera, la valle, le montagne più all’interno, tutto era così gigantesco che al confronto sarei potuto essere una formica. Là fuori, sotto un pallido fazzoletto di stoffa, c’era un’altra formica, in una barca da formiche.

La vedevo all’orizzonte: mare scuro sotto, cielo scuro sopra e, fra i due, la massa scura di Catalina, ingemmata da bianchi puntini luminosi, fissi e mobili, da luci rosse che segnavano le cime più alte, da poche luci gialle e verdi qua e là. Sembrava una costellazione vivida, la costellazione più bella, sempre sul punto di tramontare. Per anni l’avevo considerata lo spettacolo più bello che avessi mai visto. C’era un grappolo di luci sull’acqua all’estremità meridionale, invisibile dalla scogliera… il porto degli stranieri… ma visibilissimo dall’alto, dalla casa di Tom, in una notte serena come quella. Non avevo alcuna voglia di salire fin lassù per guardare. La chiazza confusa della vela di Steve si mosse fuori dello stretto raggio di luna e scomparve. Steve era una delle ombre fra gli scarsi scintillii del mare buio; ma, pur aguzzando la vista, non riuscivo a distinguerla. Per quel che ne sapevo, l’oceano poteva anche averlo inghiottito. Ma no, la piccola barca era ancora là fuori, chissà dove, e navigava a ovest verso Avalon.

Rimasi parecchio tempo sulla scogliera a fissare l’oceano. Poi non riuscii più a sopportarlo e mi allontanai nella foresta. Le foglie stormivano, gli aghi di pino tremolavano. Mai, come in quel momento, la valle m’era parsa così grande e così vuota. In una radura mi girai a guardare; le luci di Catalina ammiccavano e danzavano. Voltai loro le spalle e continuai. Non mi fregava un accidente, anche se non avessi più visto Catalina.