«Ah, sì» disse Tom «non c’è niente di meglio di un sistema immunitario mutazionale anomalo, te lo garantisco. Sono robusto come una tigre. Robustissimo! Comunque, scusatemi se schiaccio un pisolino.» Tossì un paio di volte, scivolò sotto le lenzuola e si addormentò, con la rapidità con cui si spegnevano i suoi accendini.
Questa era finita bene. Tom restò a casa di Doc un altro paio di settimane, più che altro per tenergli compagnia, immagino, visto che ogni giorno riacquistava le forze e certo non amava molto l’ospedale. E un giorno Rebel bussò alla porta e mi chiese se volevo dare una mano a riportare a casa Tom e la sua roba. Volentieri, risposi; attraversammo il ponte, chiacchierando e scherzando. Il sole giocava a nascondino fra le nuvole alte; dal sentiero dalla casa di Doc scendevano Kathryn e Gabby, Kristen e Del e Doc, ridendo ai saltelli di Tom in testa alla fila.
«Unitevi alla folla» ci gridò Tom. «Giovani e vecchi, un’alleanza naturale per una festa, statene certi.»
Kathryn mi diede i libri del vecchio, pesanti nella sacca di tela; minacciai di gettarli dal ponte mentre passavamo. Tom agitò verso di me il bastone da passeggio. Facemmo una bella camminata su per l’altro pendio della valle. Non avevo mai osato pensare a un giorno come questo: eppure era arrivato, proprio qui a portata di mano, dove potevo afferrarlo.
Arrivati in casa, il vecchio divenne davvero allegro e chiassoso. Con un gesto teatrale, diede un calcio alla porta, che rimase chiusa.
«Gran bella serratura, vedete come tiene?»
Soffiò via la polvere dal tavolo e dalle poltrone, fino a riempire l’aria. Sul pavimento c’era una pozza, che indicava dove il tetto perdeva di nuovo. Tom si accigliò e mise il broncio.
«La casa è stata trattata male, malissimo. Voi della manutenzione siete tutti licenziati.»
«Oh-ho» disse Kathryn. «Adesso dovrai riassumerci e pagarci, se vuoi che ti aiutiamo a fare le pulizie.»
Aprimmo tutte le finestre, lasciammo entrare la brezza. Gabby e Del strapparono un po’ d’erbacce; Tom, Doc e io risalimmo la pista del costone per dare un’occhiata agli alveari. Nel vederli, Tom imprecò: ma non erano poi in cattivo stato. Per un po’ restammo a dare una pulita, ma all’ordine di Doc tornammo a casa. Dal camino uscivano ondate di fumo bianco come le nuvole; l’ampia finestra sul davanti era stata lavata; Gabby, in equilibrio sul tetto, con martello chiodi e scandole, dava la caccia alla fessura e gridava perché da sotto gli dessero indicazioni. Dentro, in piedi sopra uno sgabello, Kathryn batteva il tetto servendosi di un manico di scopa.
«Ecco» disse Tom «come spuntano le fessure!»
Kathryn cercò di colpirlo con il manico di scopa, perse l’equilibrio e saltò a terra, mentre lo sgabello cadeva. Con uno strillo Kristen la scansò e smise di spolverare. Rebel tolse il bricco dal fornello. Ci riunimmo nel soggiorno a bere un po’ del tè aromatico di Tom.
«Salute!» brindò Tom, sollevando in alto il boccale fumante; lo imitammo e brindammo con lui.
Quella sera, quando tornai a casa, Pa’ mi disse che John Nicolin era venuto a chiedere come mai non andavo più a pesca. La mia parte di pesce era la nostra principale fonte di sostentamento e Pa’ era turbato. Così dalla mattina seguente ripresi a uscire a pesca, un giorno dopo l’altro, se il tempo lo permetteva. Sulle barche era evidente che l’anno continuava. Il sole tagliava il cielo in un arco sempre più basso; venne la corrente fredda e si fermò. Spesso, di pomeriggio, grosse nubi scure rotolavano dal mare sopra di noi. Le mani bagnate dolevano per il freddo e si arrossavano per la fatica di tirare le reti; i denti battevano, la pelle si screpolava per i geloni. Ci scambiavamo solo grida rauche riguardanti la pesca, perché ciascuno cercava di risparmiare energie. La mancanza di chiacchiere mi andava bene. Venti di burrasca ci logoravano, mentre remavamo per tornare a riva, nel crepuscolo precoce. Sotto le nubi livide le scogliere assumevano una sfumatura marrone, i pendii montuosi mostravano il verde nerastro dei pini più scuri, l’oceano era grigio come il ferro. In quella desolazione, i falò giallastri sulla spianata del fiume brillavano come fari, ed era un piacere vederli, oltrepassata la prima curva. Dopo avere tirato le barche contro la scogliera, mi rannicchiavo con gli altri attorno ai fuochi, finché non mi ero riscaldato abbastanza da far ritorno a casa. Mentre si scaldavano (mani praticamente sulle fiamme), gli uomini scambiavano le solite chiacchiere, ma io non vi prendevo parte. Ero contento che il vecchio stesse bene e fosse tornato a casa; ma la verità è che fino a quel momento la cosa non mi rallegrò poi tanto la vita d’ogni giorno. Mi sentivo male gran parte del tempo e vuoto sempre. Quando ero fuori a pesca e lottavo per obbligare le dita gelate e disobbedienti a tenere strette le reti, pensavo alle imprecazioni di Steve in simili occasioni e desideravo ardentemente che fosse con noi. E poi, al termine della pesca, sulla scogliera non c’era nessuna banda ad aspettarmi. Per evitare d’arrampicarmi e di sentire l’assenza degli amici, spesso giravo attorno al promontorio, fino alla spiaggia, e vagavo su quella distesa ben nota. Il giorno dopo respiravo a fondo, m’infilavo gli stivali, andavo ancora a pesca. Ma erano solo azioni automatiche.
E neppure posso dire che i pescatori si mostrassero poco amichevoli nei miei confronti. Anzi, al contrario: Marvin mi dava da portare a casa il pesce migliore e Rafael parlava con me più di quanto non avesse mai fatto, scherzava sui pesci, descriveva i suoi ultimi progetti (che erano interessanti, lo ammetto), m’invitava a vederli… Si comportavano tutti così, perfino John, di tanto in tanto. Ma niente aveva significato, per me. Ero vuoto. Il mio cuore era nello stesso stato delle dita al termine della pesca: freddo e disubbidiente, intirizzito anche accanto al fuoco.
Tom in qualche modo lo intuì. Forse Rafael gliene parlò, forse se ne accorse da solo. Un giorno, dopo la pesca, risalivo a fatica il sentiero della scogliera, con l’impressione di trascinare sulle gambe un peso tre volte superiore: in cima c’era Tom.
«Giri parecchio, di questi tempi» dissi.
Lui ignorò le mie parole e agitò un dito nodoso verso di me. «Cosa ti rode, ragazzo?»
Mi ritrassi. «Niente, cosa vuoi dire?» Abbassai lo sguardo sulla bisaccia di pesce; ma lui m’afferrò per il braccio e mi strattonò.
«Cosa ti tormenta?»
«Ah, Tom.» Che cosa potevo rispondergli? Sapeva anche lui cos’era. Dissi: «Lo sai. Ti avevo promesso di non andare lassù, e invece ci sono andato.»
«E chi se ne frega.»
«Ma guarda cos’è successo! Avevi ragione. Se non ci fossi andato, non sarebbe successo niente.»
«Come lo sai? Sarebbero andati senza di te, ecco.»
«No. Potevo fermarli.» Gli spiegai cos’era accaduto, la parte che avevo recitato… tutto, fino all’ultimo. A ogni frase, annuiva.
Al termine, disse: «Be’, è un guaio.» Avevo i brividi. S’incamminò con me su per il sentiero del fiume. «Ma è facile sputare sentenze a cose fatte. Il senno di poi, eccetera. Non potevi prevedere cosa sarebbe avvenuto.»
«Sì, invece. Me l’hai detto tu. E poi, me lo sentivo.»
«Be’, ascolta, ragazzo…» Lo guardai; si bloccò. Corrugò la fronte, annuì una volta per riconoscere che era giusto da parte mia rigettare una così facile negazione delle mie responsabilità. Per un poco camminammo, poi lui schioccò le dita. «Hai già iniziato a scrivere il libro?»
«Per l’amor di Dio, Tom!»
Mi diede una spinta in pieno petto, con forza, tanto da farmi barcollare fuori del sentiero. «Ehi!»