Annuii, perché continuasse.
«Ah-ha! Ora lo ammette, il furbastro. Così la maggior parte è rimasta uccisa, compreso quel loro sindaco. E sono furiosi, per questo. Se non si fossero messi a combattere aspramente fra loro per stabilire chi ne prenderà il posto, ve la farebbero pagare cara. Ma ora ogni uomo di San Diego vuole diventare sindaco, almeno così dice la gente dell’interno, e io ci credo. A quanto pare, laggiù tira aria di burrasca, in questo periodo.»
Bevvi un altro sorso del terribile liquore: mi colò nello stomaco come un grosso piombo da lenza. Intorno a noi la pioggerella si condensò in nebbia fra gli alberi; gocce più grosse caddero dal bordo del tendone.
«Ehi, zappaterra, stai bene?»
«Sì, sì.» Raccolsi in un pacco gli stracci, la ringraziai e me ne andai. Avevo fretta di tornare a Onofre per dare a Tom la notizia.
Durante un altro pomeriggio piovoso, mi rilassavo, seduto nell’officina di Rafael. Avevo riferito a Tom le notizie apprese al raduno; lui ne aveva parlato a John Nicolin e a Rafael, ma nessuno dei due pareva essersene preoccupato, e questo mi sollevava il morale. Ora la faccenda non era più nelle mie mani e mi limitavo a passare il tempo. Kristen e Rebel sedevano a gambe incrociate davanti alla doppia fila di finestre; facevano cestini e spettegolavano. Rafael, seduto su uno sgabello basso, armeggiava con una batteria. Utensili e pezzi di macchinario erano disseminati sul pavimento tutto macchie; intorno a noi c’erano i prodotti dell’inventiva e dell’operosità di Rafaeclass="underline" tubi per portare nella stanza vicina il calore della stufa, una piccola fornace, un generatore elettrico posto su ceppi e collegato a una bicicletta, e così via.
«Il liquido si rovina» disse Rafael, in risposta a una mia domanda. «Tutte le batterie che quel Giorno erano piene, ormai sono scomparse da tempo. Corrose. Ma per nostra fortuna nei magazzini ce n’erano alcune vuote. Non servono a niente, quindi è facile procurarsele con uno scambio. Alcuni sciacalli di mia conoscenza usano batterie; se glielo chiedo, portano gli acidi ai raduni. Poca gente ne fa richiesta, perciò faccio scambi vantaggiosi.»
«Ed è così che fai funzionare il carrello lì fuori?»
«Infatti. Ma non serve a niente. Di solito.»
Per un poco restammo in silenzio a ricordare. «Così quella notte ci hai uditi?» chiesi.
«Sulle prime, no. Ero sul Basilone, ho visto le luci. Poi ho udito la sparatoria.»
Dopo un poco scossi la testa per schiarirmi le idee e cambiai argomento. «Non hai mai pensato a una radio, Rafael? Non hai mai provato a ripararne una?»
«No.»
«Come mai?»
«Non so. Troppo complicate, immagino. E gli sciacalli chiedono un mucchio di roba per una radio. Che sembra sempre un rottame.»
«Come gran parte della roba che prendi.»
«Be’, sì.»
«Potresti imparare da un manuale come funzionano, no?»
«Non sono molto bravo a leggere, Hank, lo sai.»
«Ma ti aiuteremmo noi. Io leggerei le parole e tu ne troveresti il significato.»
«Può darsi. Ma dovremmo avere una radio e un mucchio di ricambi; anche così, niente garantisce che riuscirei a ripararla.»
«Però ci proveresti?»
«Oh, certo, certo.» Rise. «Sei incappato in una miniera d’argento, giù alla spiaggia che ispezionavi con tanta attenzione?»
Diventai rosso. «Ma va’.»
Rafael si alzò e andò a frugare nella grossa credenza contro la parete. Tornai a sedermi pigramente per terra, contro il cuscino. Sotto la finestra, Kristen e Rebel lavoravano. Confezionavano cestini con aghi secchi di pino di Torrey, macerati nell’acqua perché tornassero flessibili. Rebel prese un ago e con cura riunì le cinque lamine, in modo da formare un cilindretto. Poi piegò l’ago in modo da renderlo una piccola ruota piatta e vi legò vari pezzi di lenza da pesca, allargandoli come raggi di una ruota. Un altro ago di pino fu sottoposto allo stesso trattamento e legato all’esterno del primo. E così via, fino a formare un fondo piatto. Ben presto gli aghi furono messi direttamente uno sull’altro e cominciarono a formare i lati del cestino.
Ne raccolsi uno già terminato e lo esaminai, mentre Rebel continuava a legare il filo attorno agli aghi. Il cestino era solido, ogni ago sembrava un pezzetto di fune in miniatura, tanto le cinque lamine combaciavano per bene. Le quattro file di protuberanze che ornavano quel particolare cestino si alzavano a forma di S, mostrando solo quanto il cesto sporgeva e s’incavava. Che pazienza, a sistemare tutti quegli aghi! Che abilità, a legarli al posto giusto! Picchiai il cestino per terra ed esso rimbalzò elegantemente, mostrando flessibilità e robustezza. Guardando Rebel spingere il filo a passare fra due aghi e in un complicato piccolo occhiello, mi venne in mente che avevo un compito in un certo senso simile al suo. Quando scrivevo il libro, legavo insieme le parole come lei legava gli aghi di pino e speravo di disporle secondo un certo disegno. Per un attimo desiderai di fare un libro preciso, solido, bello come i cestini che Rebel intrecciava. Ma era un’impresa più grande di me e lo sapevo.
Rebel alzò gli occhi, vide che la guardavo e rise, imbarazzata. «Certo che è una noia» disse. Kristen annuì, un ago di pino fra i denti.
Un altro giorno, le nuvole ci avrebbero concesso qualche ora di pesca, ma il mare era talmente alto da non permetterci di portare fuori le barche. Terminato di scrivere, andai alle scogliere e vi trovai il vecchio, seduto sopra una sporgenza alla base della scogliera, al riparo dal vento.
«Ehi!» lo salutai. «Cosa ci fai quaggiù?»
«Guardo le onde, ovviamente. Come qualunque persona assennata.»
«Secondo te bisogna essere assennati per scendere quaggiù a guardare a bocca aperta le onde, eh?» Mi sedetti accanto a lui.
«Buon senso o sensibilità, eh, eh!»
«Non capisco.»
«Lascia perdere. Guarda quella!»
Le onde avanzavano da sud, si frangevano in muraglie enormi che andavano da un capo all’altro della spiaggia. Erano già visibili molto al largo; potevo sceglierne una a metà strada fra la riva e l’orizzonte, e seguirla per tutto il percorso. Verso la fine, diventavano sempre più alte, fino a sembrare dirupi grigi che si precipitavano a incontrare la nostra scogliera rossiccia. Un uomo in piedi alla base di un’onda del genere sarebbe sembrato una bambola. Quando la cima torreggiante dell’onda cadeva in avanti e tutta la massa d’acqua le rotolava dietro, gli spruzzi esplodevano nell’aria, più in alto ancora, con un rombo e un brontolio che faceva vibrare distintamente la scogliera sotto di noi. L’acqua torturata si lanciava su se stessa in una corsa ribollente fino alla spiaggia. Qui ondate d’acqua bianca spazzavano la sabbia ed erano risucchiate indietro a sbattere contro l’onda successiva. Solo una striscia di sabbia, alla base della scogliera, restava asciutta; ne andava della vita, camminare sulla spiaggia quel giorno. Tom e io sedemmo in una nebbiolina di spruzzi bianchi e salati; per parlare, dovevamo superare l’intenso fragore dei frangenti.
«Guarda quella!» continuava a gridare Tom. «Guarda quella! Sarà alta dieci metri, scommetto.»
Al di là dei marosi, l’oceano si estendeva all’orizzonte nella foschia confusa. Una bassa coltre di nubi irregolari, bianche e grigie, ricopriva il cielo, schivando a malapena le montagne alle nostre spalle. Agli squarci delle nubi corrispondevano chiazze più vivide sulla superficie plumbea dell’acqua; e queste chiazze formavano una linea irregolare fino all’orizzonte. Sembravano la pista di uno sciacallo ubriaco con un buco in tasca, che seminava monete d’argento da lì al confine del mondo. Qualcosa, in quello spettacolo… la presenza di quella distesa d’acqua, la dimensione, la potenza delle onde… m’indusse ad alzarmi e a percorrere avanti e indietro la scogliera, alle spalle di Tom; a fermarmi a fissare il crollo di una montagna d’acqua particolarmente mostruosa; a scuotere la testa per lo stupore o per la disperazione; ad andare avanti e indietro e a darmi manate sulle cosce, cercando il modo di dirlo, a Tom o a qualsiasi altro. Inutilmente. Il mondo si riversa e trabocca dal cuore, finché la parola diventa inutile, è un fatto. Vorrei sapermi esprimere meglio. Cominciai a dire cose… pronunciai parole e le troncai a mezzo… andai avanti e indietro, sempre più agitato, mentre cercavo di pensare con esattezza cosa sentivo e come esprimerlo.