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Tornai indietro correndo lentamente, sprizzando energia da tutti i pori, e mi sentii ancora meglio di quando avevo iniziato la Corsa. Non vedevo l’ora di uscire, quella sera: qualcosa da bere, due chiacchiere con Jamie, il mio amico, e un po’ di musica sudata e frastornante al Cauldhame Arms. Accelerai per un breve tratto, giusto per scrollare la testa e togliermi un po’ di sabbia dai capelli, poi rallentai di nuovo.

Di solito le rocce del Cerchio della Bomba mi fanno venire in mente dei pensieri, e questa volta non facevano eccezione, soprattutto considerando il modo in cui il mio corpo era rimasto sdraiato a terra lì in mezzo, come quello di un Cristo o qualcosa del genere, come offrendosi al cielo, a sognare la morte. Insomma, Paul se ne era andato nel modo più veloce possibile; a quei tempi ero molto indulgente. Blyth aveva avuto un sacco di tempo per capire quello che gli stava accadendo, mentre urlava e saltava per tutto il Parco del Serpente, con la vipera rabbiosa e agitata che gli mordeva ripetutamente il moncone, e la piccola Esmeralda deve aver avuto qualche sentore di ciò che stava per capitarle quando il vento aveva cominciato a portarsela su lentamente.

Mio fratello Paul aveva cinque anni quando lo uccisi. Io ne avevo otto. Erano passati due anni da che avevo fatto fuori Blyth con la serpe, quando trovai un’occasione per sbarazzarmi di Paul. Non che ce l’avessi con lui personalmente, solo che sapevo che non sarebbe potuto restare qui. Sapevo che non avrei mai potuto liberarmi completamente del cane finché lui fosse rimasto in vita (il povero Eric, intelligente e buono, ma ignaro, credeva che ancora non avessi ritrovato la mia libertà, e io non potevo dirgli che si sbagliava, né potevo rivelargliene il motivo).

Io e Paul eravamo usciti a fare una passeggiata sulla spiaggia, in direzione nord, in una calma e splendente giornata d’autunno, dopo che la notte precedente una feroce bufera aveva divelto alcune tegole dal tetto, sradicato uno degli alberi vicino al vecchio recinto delle pecore e addirittura spezzato uno dei cavi del ponte sospeso. Mio padre chiese a Eric di aiutarlo con le riparazioni e i riassestamenti vari, mentre io e Paul ci levammo dai piedi.

Avevo sempre avuto un buon rapporto con Paul. Avevo sempre cercato di farlo vivere nel migliore dei modi, forse perché sapevo già da un pezzo che non sarebbe rimasto a lungo a questo mondo, e così finiva che lo trattavo molto meglio di come la maggior parte dei ragazzi tratta i propri fratelli minori.

Appena arrivati al fiume che segna il confine dell’isola ci accorgemmo subito dei numerosi cambiamenti che la tempesta aveva provocato: il fiume si era gonfiato enormemente, disegnando immensi canali nella sabbia, canali impetuosi di acqua brunastra che continuava, nel suo incessante fluire, a strappare zolle di terra dagli argini e a spazzarle via. Dovemmo arrivare quasi fino al mare, fino al limite massimo della bassa marea, per poter passare dall’altra parte. Continuammo a camminare, io tenevo Paul per la mano, senza malizia in cuore. Paul canticchiava tra sé e sé e faceva domande del tipo di quelle che fanno i bambini, chiedeva per esempio perché gli uccelli non fossero stati spazzati tutti via dalla bufera, o perché il mare non si riempisse mai completamente, col torrente che andava tanto forte.

Man mano che ci inoltravamo nelle zone più tranquille camminando sulla sabbia e fermandoci a guardare tutte le cose interessanti che erano state trasportate a riva dall’acqua, la spiaggia tendeva sempre più a scomparire. Laddove un tempo la sabbia si allungava fin verso l’orizzonte in un’ininterrotta striscia d’oro, si scorgevano ora zone sempre più rocciose esposte un po’ più in alto rispetto alla sponda che stavamo osservando, fino a un punto in cui di fronte alle dune c’era una costa di sola roccia. Quella notte la bufera aveva spazzato via tutta la sabbia, partendo dalla zona subito dopo il fiume, fino ad arrivare in luoghi che non avevo mai visto e a cui non avevo mai dato un nome. Era uno spettacolo impressionante, e all’inizio mi fece anche un po’ paura, ma solo perché era un cambiamento enorme e mi preoccupava il fatto che un giorno o l’altro l’isola si potesse ridurre così. Ricordavo, comunque, che mio padre mi aveva detto che in passato erano già avvenute cose del genere, e poi la spiaggia era sempre tornata a formarsi nelle settimane e nei mesi successivi.

Paul si divertiva un sacco a correre e saltare da una roccia all’altra e a tirare sassi nelle pozze. Le pozze che si erano formate in mezzo alle rocce erano per lui qualcosa di nuovo. Ci inoltrammo per la spiaggia devastata, scoprendo altri interessanti relitti, e finalmente giungemmo a un rudere arrugginito che da lontano sembrava una cisterna per l’acqua o una canoa mezza interrata. Spuntava da una piccola zolla sabbiosa, erto e spigoloso, un metro e mezzo circa fuori dal terreno. Mentre io osservavo quell’oggetto, Paul tentava di pescare in una delle pozze.

Toccai con un certo stupore la superficie di quel cilindro affusolato, e la cosa mi provocò una forte sensazione di calma e di forza, anche se non ne capivo il motivo. Poi mi allontanai di qualche passo e guardai l’oggetto un’altra volta. La sua forma mi si fece chiara, e fui allora in grado di immaginarne grosso modo anche la parte interrata. Era una bomba, piantata sul suo manico.

Mi avvicinai di nuovo a essa con cautela, colpendola leggermente e facendo sschhhhh! con la bocca. Era nera e ruggine, completamente deteriorata, puzzava di umido e proiettava un’ombra che pareva un missile. Seguii i contorni dell’ombra lungo la sabbia, sopra alle rocce, e mi ritrovai a guardare il piccolo Paul che sguazzava allegramente nella pozza, schiaffeggiando l’acqua con un pezzo di legno liscio grande quasi quanto lui stesso. Feci un sorriso, lo chiamai.

«La vedi questa cosa?» dissi io. Era una domanda retorica. Paul annuì, con gli occhioni sgranati. «È una campana» continuai «come quelle della chiesa giù in paese. Il rumore che si sente la domenica, hai capito?»

«Ti. Tùbito ’opo la colattione, Frank?»

«Che?»

«Il rumore tùbito ’opo colattione la domenica, Frank.» Paul mi colpì piano al ginocchio con la mano grassoccia.

Feci sì con la testa. «Sì, quello. La campana fa proprio quel rumore. È un grosso pezzo di metallo incavato pieno di rumori che vengono fuori la domenica mattina dopo colazione. Ecco cos’è.»

«La colattione?» Paul mi guardò con le piccole sopracciglia fortemente aggrottate. Scossi la testa con pazienza.

«No. La campana.»

«C come Campana» disse Paul sottovoce, annuendo tra sé, con gli occhi fissi verso l’aggeggio arrugginito. Forse stava pensando a un vecchio libro di filastrocche. Era un ragazzo intelligente. Mio padre intendeva mandarlo a scuola regolarmente, quando fosse arrivato il momento, e aveva già cominciato a insegnargli l’alfabeto.

«Bravo. Questa campana dev’essere caduta da una nave, o forse è stata portata qui dal diluvio. Ecco quello che dobbiamo fare; io salgo sulle dune e tu batti la campana col tuo pezzo di legno, così vediamo se io sento. Lo facciamo? Ti va? Forse il rumore sarà molto forte, potresti spaventarti.»

Mi chinai per portare il mio viso alla stessa altezza del suo. Scosse la testa con decisione e spiaccicò il suo naso contro il mio. «Nno! No’ mmi ’ppavento!» gridò.

Stava quasi per sgattaiolarmi davanti e colpire la bomba col pezzo di legno — l’aveva già sollevato e aveva già preso lo slancio — quando io mi allungai e lo afferrai per la cintola.

«Ancora no» dissi. «Aspetta che mi allontani. È una vecchia campana, e forse le è rimasto solo un rumore. Non vorrai mica sprecarlo così, vero?»

Paul si dimenò, con lo sguardo che sembrava indicare che in effetti non gli sarebbe spiaciuto fare qualche spreco, fino al momento in cui avrebbe dovuto colpire la campana con la sua trave. «Vabbè» disse, e smise di contorcersi. Lo misi giù. «Ma potto coppire forte forte forte?»

«Più forte che puoi, quando io ti faccio segno da sopra alla duna laggiù. Tutto a posto?»