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Il gioco può essere fatto, in forma ridotta, anche negli orinatoi singoli di forma semisferica che vanno più di moda oggi, ma Jamie non ci ha mai provato, perché è talmente basso che per usare uno di quegli aggeggi deve rimanere a circa un metro di distanza e svuotarsi la vescica con un getto a parabola.

In ogni caso, sembrerebbe che ci siano diversi modi per rendere più interessante una pisciata lunga, ma non è roba per me, grazie al mio crudele destino.

«Che è tuo fratello o che cosa?»

«No, è un mio amico.»

«Sempre così fatto?»

«Già. Il sabato sera sì.»

Questa è una clamorosa bugia, naturalmente. È raro che mi sbronzi al punto di non poter parlare o camminare in posizione eretta. Gliene avrei dette quattro a Jamie, se avessi avuto la capacità di parlare e non avessi dovuto concentrarmi a mettere un piede di seguito all’altro. Non avevo la certezza che avrei saputo trattenere il vomito, ma quella stessa parte irresponsabile e distruttrice del mio cervello — soltanto qualche neurone, probabilmente, ma credo che ne bastino pochi, di elementi criminali, per dare al resto del cervello una pessima fama — continuò a pensare a quelle uova fritte con la pancetta fredda, e appena quella scena mi tornava in mente mi saliva su un conato. Ci volle una buona dose di forza di volontà per pensare all’aria delle colline o alle ombre che getta l’acqua sulla sabbia solcata, cose che ho sempre creduto recassero in sé un senso di chiarezza e freschezza e che mi sarebbero state d’aiuto per distrarre il cervello dall’impicciarsi del contenuto del mio stomaco.

Comunque, avevo un disperato bisogno di pisciare, anche più di prima. Jamie e la ragazza stavano a qualche centimetro di distanza da me, tenendomi per le braccia, e spesso finivo addosso all’uno o all’altra, ma la mia ubriachezza aveva raggiunto uno stato — nel momento in cui le ultime due birre ingollate insieme con un whisky mi arrivarono nel sangue che scorreva all’impazzata — che avrei anche potuto trovarmi su di un altro pianeta, per la speranza che avevo di far capire loro quello di cui avevo bisogno. Mi camminavano di lato, da una parte e dall’altra, e parlavano tra loro, biascicando emerite stronzate come se si trattasse di argomenti importantissimi, e io, con più cervello di tutti e due messi assieme e con informazioni di vitale importanza, non riuscivo a farmi uscire una parola.

Doveva esserci un modo. Provai a scrollare la testa e a fare qualche altro respiro profondo. Raddrizzai l’andatura. Pensai molto attentamente alle parole e a come comporle. Diedi una controllata alla lingua e feci una prova con la gola. Dovevo riprendere il controllo. Dovevo comunicare. Mi guardai attorno quando attraversammo una strada; vidi il segnale per Union Street fissato su di un muretto basso. Mi voltai verso Jamie e poi verso la ragazza, mi schiarii la voce e dissi in modo piuttosto chiaro: «Non so se per caso voi due abbiate mai condiviso — oppure stiate tuttora condividendo, per quel che ne so, almeno tra di voi, e comunque senza includere me — la svista concettuale che io casualmente ho potuto notare nelle parole contenute in quel segnale, ma sta di fatto che io credevo che il termine “unione” presente in tale denominazione delineasse un’associazione di lavoratori, un sindacato, e mi era sembrata una cosa di stampo alquanto socialista da parte dei padri della città denominare in siffatto modo una strada. Aveva destato in me una certa impressione il fatto che forse non tutto era perduto sul versante delle prospettive per una possibile pacificazione o almeno per un cessate il fuoco nella lotta di classe se un simile riconoscimento del valore delle unioni dei lavoratori poteva trovare una realizzazione in un segnale relativo a una via così venerabile e importante, ma devo ammettere che la disillusione mi è giunta nel momento in cui mio padre — Dio possa perdonargli il suo senso dell’umorismo — mi ha fornito informazioni sul fatto che era l’unione recentemente confermata tra il parlamento inglese e quello scozzese che le autorità locali celebravano con tanta solennità e durevolezza (in concomitanza con centinaia di altri consigli municipali dell’intero territorio che fino ad allora era stato un regno indipendente) sicuramente con un occhio rivolto alle opportunità di profitto che questa recente forma di omaggio non disinteressato avrebbe presentato».

La ragazza si rivolse a Jamie: «Che, ha detto qualche cosa quello là?»

«Credevo si stesse solo schiarendo la gola» disse Jamie.

«Mi sa che s’è messo a parlare delle banane, o che ne so.»

«Banane?» disse Jamie incredulo, guardando la ragazza.

«Vabbé» disse lei guardandomi e scuotendo la testa. «Mo’ basta.»

Gran bella comunicazione, pensai. Evidentemente erano entrambi così ubriachi che neanche capivano la mia lingua grammaticalmente corretta. Sospirai profondamente guardando prima l’uno poi l’altra mentre continuavamo a scendere lentamente per la strada principale, passando davanti a Woolworth e ai semafori. Guardai dritto davanti a me e cercai di pensare a cosa mai avrei potuto fare. Mi aiutarono ad attraversare la strada successiva, mentre io quasi inciampavo sullo scalino del marciapiede. Improvvisamente mi resi conto della vulnerabilità del mio naso e dei denti davanti, nel caso fossero venuti a contatto con il granito dei selciati di Portneil a una qualunque velocità che superasse quella di una frazione di metro al secondo.

«Bella storia, io e una compagna mia ce ne siamo andate in giro in mezzo ai cosi della forestale, come si chiamano, i sentieri, sopra alle colline, a novanta all’ora, andavamo impennando a tavoletta.»

«Merda!»

Mio Dio, stavano ancora parlando di moto.

«Insomma mo’ dov’è che ce lo dobbiamo portare questo qua?»

«Da mia madre. Se è ancora in piedi ci fa un po’ di tè.»

«Tua madre?»

«Eh.»

«Ah.»

Mi venne come un lampo. Era talmente ovvio che non capivo come mai non mi fosse venuto in mente prima. Sapevo che non c’era tempo da perdere e che non era il caso di esitare — stavo proprio per scoppiare — così abbassai la testa e mi divincolai da Jamie e dalla ragazza, mettendomi a correre fino in fondo alla strada. Non mi restava altro che scappare, proprio come Eric, in modo tale da potermi trovare un posticino tranquillo per farmi una bella pisciata.

«Frank!»

«Porca troia, rompicazzo di merda, che cazzo fai adesso?»

Avevo ancora la strada sotto i piedi, che si muovevano più o meno come si dovevano muovere. Sentivo Jamie e la ragazza che mi correvano dietro gridando, ma io avevo già superato la vecchia friggitoria e il monumento ai caduti e stavo prendendo velocità. La vescica tirata certo non mi aiutava, ma neanche mi impediva nei movimenti come avrei temuto.

«Frank, torna indietro! Frank, fermati! Cosa c’è che non va, Frank? Frank, bastardo fottuto, ti romperai l’osso del collo!»

«Ma lascialo andare, quel testa di cazzo!»

«No, è amico mio. Frank!»

Girai l’angolo in Bank Street, mi ci buttai a capofitto mancando di poco due lampioni, schizzai a sinistra in Adam Smith Street e arrivai al garage di McGarvie. Mi buttai nel cortile e andai di corsa dietro a una pompa, ruttando e ansimando e sentendomi il cuore in gola. Mi calai i pantaloni e mi accovacciai, appoggiandomi con la schiena alla pompa principale, col respiro che diventava sempre più affannoso man mano che la pozza di piscio fumante si raccoglieva sul selciato rugoso dell’area di rifornimento.