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«Mi vuoi bene, vero, tesoruccio? Come se il tuo cuoricino ardesse d’amore per me…» borbottò Eric in lontananza. Deglutii e sorrisi ancora a mio padre.

«Be’, le cose stanno così, Jamie. Gliel’ho detto anche a papà stamattina.» Salutai mio padre con la mano.

«Bruci d’amore per me, vero, dolcezza?»

Il mio cuore e lo stomaco stavano per sbattere l’uno contro l’altro quando udii attraverso il telefono un respiro affannoso e concitato fare da sottofondo al mormorio di Eric. Un uggiolio sottile e un minorino di bava alla bocca mi fecero venire la pelle d’oca dappertutto. Rabbrividii. La testa mi ballava come se avessi appena buttato giù ettolitri di whisky foltissimo. Continuavo a sentire quel fiatone rantolante. Eric pronunciò a voce bassa qualche parola suadente, voltando le spalle alla cornetta. Oh mio Dio! C’era un cane con lui nella cabina! Oh no!

«Senti! Jamie! Che cosa…?» dissi alzando la voce disperatamente. Mi chiesi se mio padre potesse vedermi la pelle d’oca. Pensai che gli occhi mi stessero schizzando fuori dall’orbita, ma non c’era molto che potessi fare. Mi stavo concentrando con tutte le mie forze per farmi venire in mente qualcosa per distrarre Eric. «Stavo… ah… stavo giusto pensando che dovremmo… che dovremmo farci un altro giro con la vecchia macchina di Willy, sai, quella che lui qualche volta lancia a razzo giù per la spiaggia… Ci siamo divertiti un sacco, vero?» Avevo cominciato a gracchiare, mi si era completamente seccata la gola.

«Che? Di che stai parlando?» rispose prontamente la voce di Eric riavvicinandosi alla cornetta. Inghiottii e feci un altro sorriso a mio padre, i cui occhi pareva si fossero assottigliati.

«Te lo ricordi, Jamie. Il giro sulla macchina di Willy. Vorrei proprio che papà» dissi pronunciando la parola con un sibilo «mi comprasse una macchina vecchia per guidare sulla spiaggia.»

«Stai dicendo cazzate. Non ho fatto nessun giro in macchina sulla spiaggia. Hai di nuovo dimenticato chi sono» disse Eric, senza neanche ascoltare quello che stavo dicendo. Voltai le spalle a mio padre in fondo alle scale e mi girai verso l’angolo, tirai qualche sospiro forte, poi bisbigliai mentalmente, con la bocca lontana dalla cornetta: Oh mio Dio!

«Sì, sì, hai ragione, Jamie» continuai ormai senza speranza. «Mio fratello si sta ancora dirigendo da queste parti, per quanto ne so io. Io e papà speriamo che stia bene.»

«Bastardo! Parli come se io non ci fossi! Cristo santo, odio la gente che fa così. Non dovresti comportarti così con me, non è vero, tesoruccio?» La sua voce si interruppe di nuovo, attraverso il telefono si sentivano ora suoni canini — era un cucciolo, forse. Stavo cominciando a sudare.

Sentii dei passi giù nell’ingresso, poi la luce della cucina si spense. Si sentirono ancora i passi, poi mio padre cominciò a salire su per la scala. Mi voltai in fretta e gli feci un sorriso quando mi passò accanto.

«Va bene, Jamie, ti lascio» dissi pateticamente, smettendo di parlare.

«Non stare troppo tempo al telefono» disse mio padre sorpassandomi, poi proseguì la sua salita.

«Va bene, papà!» gridai allegramente. Cominciavo a sentire un dolore alla vescica, come spesso mi capita quando le cose vanno molto male e non vedo una via d’uscita.

«Aaaaaoooo!»

Allontanai di scatto il ricevitore dall’orecchio e lo fissai per un secondo. Non capivo se il rumore l’avesse fatto Eric o il cane.

«Pronto? Pronto?» bisbigliai affannosamente, alzando lo sguardo per vedere l’ombra di mio padre scivolare via dal muro del piano di sopra.

«Haaaooouuuaaaooouuu!» fu l’urlo che arrivò dall’altro capo del filo. Vacillai e indietreggiai. Mio Dio, che cosa stava facendo a quella bestia? Poi il ricevitore fu sbattuto forte, sentii un rumore atroce, e tuonò come se si stesse schiantando contro qualcosa. «Bastardo… Aargh! Cazzo! Merda! Vieni qui, piccolo…»

«Pronto! Eric! Voglio dire, Frank! Cioè… Pronto! Che succede?» dissi io con un sibilo, volgendo lo sguardo in cima alle scale alla ricerca dell’ombra di mio padre. Mi rannicchiai sopra al telefono e mi coprii la bocca con la mano libera. «Pronto?»

Si sentì un fracasso, poi Eric urlò nella cornetta: «È stata colpa tua». Poi arrivò un altro schianto. Riuscivo vagamente a sentire i suoni, ma per quanto mi sforzassi non capivo di cosa si trattasse, potevano anche essere disturbi della linea. Mi chiesi se avrei dovuto mettere giù il telefono, e stavo per farlo quando la voce di Eric tornò a farsi sentire, mugugnando parole incomprensibili.

«Pronto? Che cosa?» dissi io.

«Ancora lì, eh? Mi è scappato il bastardo. Tutta colpa tua! Cristo, ma perché fai così?»

«Mi dispiace» risposi io in tono sincero.

«È troppo tardi. Mi ha morso, quella merda. Ma lo riacchiappo. Bastardo.» Cominciò ad arrivare il bip-bip. Sentii che inseriva altre monete. «Immagino che tu ne sia felice!»

«Felice di che?»

«Felice che lo stramaledetto cane se ne sia andato, stronzo.»

«Che? Io?» dissi evasivamente.

«Non starai cercando di dire che ti dispiace che sia scappato, vero?»

«Ah…»

«L’hai fatto apposta!» urlò Eric. «L’hai fatto apposta! Volevi che scappasse! Non mi fai giocare con niente! Avresti preferito che si divertisse più il cane di me! Sei una merda! Bastardo schifoso!»

«Ah, ah» ridacchiai senza essere convincente. «Be’, grazie per aver chiamato… Frank. Ciao.» Sbattei giù il telefono e rimasi lì per un attimo, congratulandomi in cuor mio per il mio comportamento impeccabile, tutto considerato. Mi asciugai la fronte sudaticcia e diedi un’ultima occhiata al muro senza ombre del piano di sopra.

Scossi la testa e arrancai su per le scale. Avevo raggiunto l’ultimo gradino della rampa quando il telefono squillò di nuovo. Mi fermai di scatto. Se avessi risposto… Ma se non l’avessi fatto e fosse arrivato padre… tornai giù di corsa, tirai su, sentii le monete che entravano. Poi Eric urlò: «Bastardo!» e subito dopo si udì una sfilza di rumori assordanti, come di plastica sbattuta contro vetro e metallo. Chiusi gli occhi e rimasi ad ascoltare gli schianti e i colpi finché un tonfo particolarmente forte non si affievolì fino a diventare un ronzio leggero, ma diverso da quello che generalmente fanno i telefoni. Riattaccai, mi voltai, guardai verso il piano di sopra e mi avviai a passi stanchi ancora una volta su per le scale.

Mi misi a letto. Presto avrei dovuto trovare una soluzione definitiva a questo problema. Era l’unico modo. Avrei dovuto cercare di esercitare la mia influenza sulle cose affrontandole proprio alla radice: il Vecchio Saul. Ci voleva un rimedio efficace se non volevo che Eric si mettesse a sfasciare tutte le cabine telefoniche della Scozia e decimasse la popolazione canina della nazione. Prima, pensai, dovrò consultare la Fabbrica.

Non era propriamente colpa mia, ma questa faccenda mi aveva coinvolto fino in fondo, e dovevo riuscire a fare qualcosa con il teschio del vecchio cane, l’aiuto della Fabbrica e un pizzico di fortuna. Quanto diventasse suscettibile mio fratello di fronte alle vibrazioni che ero in grado di emanare, buone o cattive che fossero, è una faccenda a cui non avevo molta voglia di pensare, data la condizione della sua mente. Comunque, dovevo fare qualcosa.

Sperai che il cucciolotto se la fosse cavata. Diamine, non bisogna prendersela con tutti i cani per quello che è successo. Il colpevole era il Vecchio Saul. Il Vecchio Saul era passato alla storia, nella nostra famiglia e nella mia mitologia personale, come il Castratore-Traditore, ma grazie alle creaturine che sguazzavano nel torrente era ormai finito in mio potere.

Eric era completamente pazzo, anche se era mio fratello. Era fortunato ad avere qualcuno con la testa sulle spalle che ancora gli volesse bene.