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— Perché non dovrebbe possedere un villino? È immorale? Un putiferio di persone ha acquistato il biglietto della lotteria per avere uno di quei villini, da quando hanno messo a disposizione una parte delle Zone Forestali, lo scorso anno. Lei ha soltanto una stramaledettissima fortuna!

— Ma io non lo possedevo affatto — disse lui. — Nessuno poteva possederne. Le foreste erano parco nazionale, quel poco che ne rimaneva, e al massimo si poteva andare in campeggio accanto al loro bordo. Non c’erano villini trentennali governativi. Fino a venerdì scorso. Quando ho sognato che c’erano.

— Ma via, signor Orr, so benissimo…

— Sono certo che lei sa benissimo — fece Orr, gentilmente. — Lo so benissimo anch’io. So che hanno deciso di aprire parte delle Foreste Nazionali, la scorsa primavera. E io ho partecipato alla lotteria, il mio biglietto ha vinto e tutto il resto. Ma so anche che tutto ciò non era vero prima di venerdì scorso. E anche il dottor Haber lo sa.

— Allora — disse lei, canzonatoria, — il suo sogno di venerdì scorso ha cambiato retroattivamente la realtà per l’intero Stato dell’Oregon, ha cambiato una decisione presa a Washington l’anno scorso e inoltre ha cancellato i ricordi di tutta la nazione, salvo lei e il dottore? Un gran sogno davvero! Lei lo ricorda?

— Sì — fece, sgarbato ma deciso. — Vedevo il villino, e il torrentello davanti ad esso. Non pretendo che creda a tutto ciò che le dico, Miss Lelache. Anzi, non credo che neppure il dottor Haber abbia realmente capito bene la cosa, altrimenti non perderebbe tanto tempo in assaggi. Se l’avesse capita fino in fondo, andrebbe più cauto. Perché, vede, la cosa funziona così: se lui mi dicesse sotto ipnosi che nella stanza c’è un cane di colore rosa, io lo metterei nella stanza. Ma il cane non potrebbe esserci, perché i cani rosa non rientrano nell’ordine naturale, non fanno parte della realtà. Succederebbe una di queste due cose: o metterei un cane bianco, ma tinto in rosa, e insieme al cane qualche motivo per farcelo stare, oppure, se lui dicesse che deve essere un vero cane rosa, il mio sogno dovrebbe cambiare l’ordine naturale, in modo che sia possibile l’esistenza di cani di quel colore. Cambiarlo dappertutto. A partire dal Pleistocene o da quand’è che sono apparsi per la prima volta i cani. In questo caso sarebbero sempre esistiti cani neri, fulvi, marrone, bianchi, e rosa. E uno di questi cani rosa mi avrebbe seguito nella stanza, o si tratterebbe del cane del dottore, o del pechinese della sua segretaria o di qualcosa di simile. Niente di miracoloso. Niente che infranga le leggi della natura. Ciascun sogno copre completamente le proprie tracce. Al mio risveglio troverei soltanto un normalissimo cane rosa come ce ne sono mille, e sarebbe lì nella stanza per un motivo pienamente plausibile. E nessuno noterebbe niente di strano, salvo me… e lui. Io conservo entrambi i ricordi, quelli delle due realtà. E così il dottor Haber. Lui si trova presente al momento del cambiamento, e conosce il contenuto del sogno. Lui non ammette di conoscerlo, ma io so che lo conosce. Per tutti gli altri ci sarebbero sempre stati dei cani rosa. Per me e per lui, invece, ora ci sarebbero… e prima non c’erano.

— Doppie tracce temporali, universi alternati — disse Miss Lelache. - Mi dica: vede spesso quei vecchi film che danno di sera per televisione?

— No — disse il cliente, con un tono secco come il suo. — Non le chiedo di credermi. Almeno, di credermi senza prove.

— Be’, grazie…

Lui sorrise: quasi una risata. Aveva un volto cordiale; pareva che, per qualche ragione, l’avesse presa in simpatia.

— Ma, senta, signor Orr, come cavolo posso procurarmi delle prove sui suoi sogni? Soprattutto se lei distrugge tutte le prove, ogni volta che sogna, dal Pleistocene in poi?

— Non potrebbe… — disse lui, assumendo improvvisamente un tono animato, come se gli fosse sorta una speranza, — non potrebbe, come mio avvocato, chiedere di presenziare a una delle mie sedute con il dottor Haber… sempre che lei non abbia obiezioni?

— Be’. Forse. Potrei riuscire a farlo, se ci fosse un ragionevole motivo. Ma, vede, far venire come testimone un avvocato, in un caso in cui il medico può rischiare una querela per invasione della privacy, finirà certamente per mandare a pezzi il vostro rapporto terapeuta-paziente. Non che quello che avete attualmente mi paia molto salutare, ma dall’esterno non si può mai giudicare. Il fatto è che lei deve fidarsi del suo medico, e anche, lei sa, il suo medico deve fidarsi di lei, in un certo senso. Se gli mette alle costole un avvocato perché vuole toglierselo dalla testa, be’, gli impedisce di fare bene il suo lavoro. Presumibilmente, il suo medico intende aiutarla.

— Sì. Ma mi sta usando per scopi sperimen… — Orr non poté terminare la parola: Miss Lelache si era irrigidita; il ragno, finalmente, aveva scorto la preda.

— Scopi sperimentali? Lo dice davvero? Cosa? La macchina di cui mi ha detto… è ancora allo stadio sperimentale? Ha l’approvazione della Sanità? Cosa ha firmato, lei, un’assunzione di responsabilità, qualcosa d’al’tro o soltanto i moduli del Trattamento Volontario e del consenso all’ipnosi? Soltanto quelli? Allora direi davvero che abbiamo dell’ottimo materiale su cui basare una querela, signor Orr.

— Potrebbe venire ad assistere a una seduta?

— Forse. Ma la direzione da seguire diventa quella dei diritti civili, naturalmente, non quella dell’invasione della sfera privata.

— Mah… non vorrei far avere dei guai al dottor Haber — disse lui, in tono preoccupato. - No, non lo vorrei proprio. So che lo fa per dei buoni motivi. È soltanto che desidero essere curato, non usato.

— Se lo fa per dei buoni motivi, e se usa un apparecchio sperimentale su un soggetto umano, allora la considererà una cosa normale, senza risentimenti; e se tutto è a posto non avrà fastidi. Ho già fatto lavori come questo, un paio di volte. Mi ha incaricato il Controllo Sanitario di farli. Ho osservato un nuovo ipno-induttore in prova alla Clinica Universitaria, che non funzionava, e ho osservato la dimostrazione di come indurre mediante suggestione l’agorafobia, in modo che la gente fosse contenta di trovarsi in mezzo alla folla, all’Istituto di Forest Glove. Questo modo funzionava, ma non è stato approvato: ricadeva entro le leggi contro il lavaggio del cervello, abbiamo deciso. Ora, io posso quasi certamente farmi assegnare dalla Sanità il compito di indagare su questo aggeggio del suo dottore. E lei resta al di fuori di tutto. Anzi, non c’è neppure bisogno che io la conosca. Io sono un osservatore legale della Sanità, ufficialmente accreditato. Inoltre, se con questo sistema non arrivassimo a niente, il rapporto tra lei e il suo dottore resterebbe uguale a prima. L’unico guaio è che devo farmi invitare a una delle sue sedute, non a quella di un altro paziente.

— Sono l’unico paziente psichiatrico su cui usa l’Aumentore; me l’ha detto lui. Dice che ci sta ancora lavorando sopra… perfezionandolo.

— Allora si tratta proprio di un apparecchio sperimentale, qualunque sia il modo in cui lo usa. Bene. Vedrò cosa posso fare. Però occorrerà almeno una settimana per le scartoffie.

Orr parve desolato.

— Spero che non mi cancellerà dall’esistenza con uno dei suoi sogni, signor Orr, durante la settimana — disse lei, e udì il suono chitinoso della propria voce, lo scatto secco delle mandibole.

— Spero proprio di no — rispose lui, con gratitudine… no, per Dio, non era gratitudine, era simpatia. Lei gli piaceva. Era un povero maledettissimo pazzoide di uno psicopatico drogato; era doveroso che lei gli piacesse! Ma anche lei lo trovava simpatico. Tese la sua mano color cioccolata, e lui gliela strinse con la sua, bianca, proprio come in quel dannatissimo distintivo che sua madre teneva in mezzo alle cianfrusaglie, l’associazione dov’era iscritta verso la metà del secolo scorso, la mano Nera stretta alla Bianca. Oh, Cristo!