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— Ma dove diavolo era andato? — Haber aveva preso dell’acqua calda nel suo bagno privato, vi aveva tuffato un asciugamano, e ora lo porgeva a Orr perché si pulisse la faccia.

— Ero nel mio villino, sulla Catena Costiera.

— Che cosa ha alla gamba?

— Me la sono contusa quando si è rovesciata la macchina, credo. Senta, gli Alieni sono già in città?

— Se i militari lo sanno, non lo dicono. Dicono soltanto che le grandi astronavi, dopo essere atterrate, questa mattina, si sono suddivise in piccole unità mobili, simili a elicotteri, e si sono disperse. La parte occidentale dello Stato ne è piena. Dicono che si muovono lentamente, ma non dicono di averne abbattute.

— Ne abbiamo vista una — disse Orr. La sua faccia emerse dall’asciugamano: era segnata di ecchimosi rosse, ma faceva meno impressione di prima, adesso che il sangue e il fango erano scomparsi. — Almeno, doveva essere una delle loro unità mobili. Non molto grande, di colore argenteo; volava a una quindicina di metri di altezza, su un pascolo accanto a North Plains. Pareva che saltellasse. Aveva un aspetto extraterrestre. Ma cosa fanno gli Alieni? Ci combattono? Abbattono gli aerei?

— La radio non lo dice. Non c’è notizia di vittime, salvo che tra i civili. Su, venga, prenda un caffè e mangi qualcosa. E poi, per Dio, faremo una seduta della Terapia qui, in mezzo all’inferno, e metteremo fine a questo stupido pasticcio da lei combinato. — Aveva preparato una siringa con pentotal sodico; ora prese il braccio di Orr e gli fece l’iniezione, senza preavviso e senza scuse.

— Sono venuto qui per questo. Ma non so se…

— Non sa se può farlo? Può farlo. Venga! — Orr si era chinato di nuovo sulla donna. — Sta bene. Dorme, la lasci stare, non ha bisogno d’altro. Venga! — Accompagnò Orr ai distributori automatici, prese un panino con arrosto, un altro con uova e pomodoro, due mele, quattro tavolette di cioccolato, due tazze di caffè. Si sedettero a una tavola del Laboratorio del Sonno A, togliendo di mezzo un gioco di pazienza che era stato abbandonato all’alba, quando le sirene si erano messe a suonare. — Bene. Mangi. Ora, nel caso lei pensi che rimettere a posto questo pasticcio sia un’impresa superiore alle sue forze, non se ne preoccupi. Ho fatto delle modifiche all’Aumentore, e può occuparsene la macchina. Ho il modello, il campione delle sue emissioni cerebrali durante il sogno efficace. L’errore da me fatto per tutto il mese è stato quello di cercare un’entità determinata, un’Onda Omega. Ebbene, quest’onda non esiste. È semplicemente uno schema formato dalla combinazione di altre onde, e in questi ultimi due giorni, prima che si scatenasse l’inferno, sono finalmente riuscito a scoprire le sue caratteristiche. Il ciclo dura 97 secondi. Questo per lei non significa nulla, anche se si tratta di un’attività del suo cervello. Mettiamola in questo modo: quando lei fa un sogno efficace, tutto il suo cervello è coinvolto in uno schema di emissione, complesso e sincronizzato, che richiede 97 secondi per completarsi e per ricominciare da capo; una specie di effetto a contrappunto che sta ai normali grafici dello stadio-d come la Nona di Beethoven sta a Siam tre piccoli porcellin. È incredibilmente complesso, eppure è uno schema coerente e si ripete con regolarità. Perciò posso rinviarlo direttamente al suo cervello, amplificato. L’Aumentore è già a posto, è pronto per lei, è proprio adatto all’interno del suo cervello, finalmente! Questa volta, mio caro, quando lei sognerà, sognerà davvero qualcosa di grande! Abbastanza grande da fermare questa invasione, e da trasportarci direttamente in un altro continuum, dove possiamo ricominciare tutto da capo. È appunto questo, ciò che lei fa; lo sapeva? Lei non cambia le cose, o le vite; lei sposta l’intero continuum.

— È bello poter parlare con lei della cosa — disse Orr; o, almeno, disse qualcosa di simile. Aveva mangiato i panini con una rapidità eccezionale, nonostante il taglio al labbro e il dente rotto, e adesso si stava dedicando alla cioccolata. C’era una punta di ironia nelle sue parole, ma Haber era troppo indaffarato per preoccuparsene.

— Senta, questa invasione. È successa, e basta, oppure è successa perché lei non è venuto alla seduta?

— L’ho sognata.

— Si è permesso di fare, senza controllo, un sogno efficace? — Il tono della voce di Haber era molto incollerito. Era stato troppo protettivo, troppo gentile con Orr. L’irresponsabilità di Orr aveva causato la morte di innumerevoli innocenti, aveva scatenato sulla città panico e distruzione: Orr doveva affrontare la responsabilità delle proprie azioni.

— Non era senza controllo… — cominciava a dire Orr, quando vi fu un’enorme esplosione. L’edificio sobbalzò, tintinnò, scoppiettò; congegni elettronici caddero a terra accanto alla fila di letti vuoti, il caffè si rovesciò dalle tazze. — Chi è stato? — fece Orr. — Il vulcano o l’Aviazione? — Nella nebbia del (comprensibile) sgomento causatogli dall’esplosione, Haber notò che Orr non pareva affatto spaventato. Ed era una reazione completamente anormale. Venerdì scorso, Orr aveva avuto un crollo a causa di una banale questione di morale; oggi, mercoledì, mostrava calma e freddezza in mezzo a una specie di Apocalisse. Non pareva avesse paura. Eppure doveva averla. Se aveva paura Haber, a maggior ragione doveva averla Orr. Rimuoveva la paura. O forse pensava, si chiese a un tratto Haber, che, per il fatto di avere sognato l’invasione, fosse tutto un sogno?

E se anche lo era?

Un sogno di chi?

— Meglio tornare in ufficio — disse Haber, alzandosi. Si sentiva sempre più impaziente e irritabile; l’eccitazione cominciava a essere insopportabile. — Chi è la donna con lei, tra parentesi?

— È Miss Lelache — disse Orr, guardandolo in maniera strana. — L’avvocatessa. Era qui venerdì.

— E cosa ci fa, con lei?

— È venuta a cercarmi; è venuta sulle montagne per vedere se ero lì.

— Me lo spiegherà dopo — disse Haber. Non c’era tempo da perdere in queste banalità. Dovevano uscire fuori, uscire fuori da questo mondo che scoppiava e bruciava.

Proprio mentre entravano nell’ufficio di Haber, il vetro schizzò via dalla finestra panoramica con un rumore secco e un grande risucchio d’aria; entrambi si sentirono trascinare verso l’apertura, come verso la bocca di un aspirapolvere. Tutto divenne bianco: ogni cosa. Entrambi caddero a terra.

Nessuno dei due sentì più alcun rumore.

Quando riacquistò la vista, Haber si rialzò, tenendosi alla scrivania. Orr era già chino sul divano; cercava di calmare la paura della donna. Nell’ufficio faceva freddo: l’aria primaverile che penetrava dalla finestra era umida e pungente, e puzzava di fumo, isolante bruciato, ozono, solfo e morte. — Dovremmo andare in cantina, non crede? — disse Miss Lelache in tono lucido, anche se rabbrividiva visibilmente.

— Lei vada pure — disse Haber. — Noi dobbiamo fermarci qui ancora per qualche tempo.

— Fermarvi qui?

— L’Aumentore è in questa stanza. Non si può spostarlo qui e là come un televisore portatile! Scenda in cantina; noi la raggiungeremo appena potremo.

— Lei intende farlo addormentare adesso? — disse la donna, mentre gli alberi del parco si trasformavano improvvisamente in palle di fuoco. L’eruzione di Monte Hood era nascosta da avvenimenti molto più vicini; la terra, comunque, aveva continuato a tremare debolmente negli ultimi minuti: una specie di tremore fondamentale, che portava le mani e la mente a tremare all’unisono con esso.

— Intendo fare proprio così, porco mondo! Lei vada, scenda in cantina, mi occorre il divano. George, si stenda… Senta, lei, in cantina, subito dopo la stanza del sorvegliante, c’è una porta con la scritta «Generatore d’emergenza». Entri dentro, cerchi la leva con la scritta ACCESO. Tenga la mano sulla leva, e se manca la luce metta in funzione il generatore. Occorre tirare la leva verso l’alto, con forza. Vada!

Heather uscì. Tremava ancora, e sorrideva; mentre usciva, strinse la mano di Orr per un attimo e gli disse: — Sogni felici, George.

— Non preoccuparti — le rispose Orr. — È tutto a posto.