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— È morta — disse Orr.

— Meglio. Esercitava un’influenza distruttiva su di lei. Irresponsabilità. Lei non ha coscienza sociale, non ha altruismo. Lei è come una medusa, moralmente. Devo instillare in lei ogni volta la responsabilità sociale, con l’ipnosi. E ogni volta me la trovo rovinata, piegata ad altri fini. Questo è appunto ciò che è successo con i Centri Infantili. Le ho suggerito che la famiglia nucleare è la prima fonte di nevrosi, e che c’erano alcuni modi in cui, in una società ideale, si poteva modificarla. Il suo sogno si è limitato a prendere le più rozze interpretazioni dei miei suggerimenti, le ha mescolate con delle concezioni utopistiche da quattro soldi, o, chissà, con delle concezioni ciniche anti-utopistiche, e ha prodotto i Centri. I quali, comunque, sono pur sempre migliori dell’istituzione di cui hanno preso il posto! In questo mondo c’è pochissima schizofrenia… lo sapeva? È una malattia rara! — Mentre Haber diceva queste cose, i suoi occhi scuri brillavano, le sue labbra sorridevano.

— Le cose vanno meglio di una volta… — disse Orr, rinunciando ad ogni speranza di discussione. — Ma, più lei va avanti, più peggiorano. E non è perché io cerchi di metterle i bastoni tra le ruote: è soltanto perché lei intende compiere una cosa impossibile. Io ho questo dono, lo so; e io conosco i miei obblighi verso di esso. Osarlo soltanto quando è necessario. Quando non ci sono alternative. Ma adesso le alternative ci sono. Io devo fermarmi.

— Non possiamo fermarci… abbiamo appena cominciato! Stiamo appena cominciando a esercitare un qualche controllo sulla sua facoltà. Intravedo la possibilità, e intendo riuscire a controllarla. Le paure personali non debbono ostacolare il bene che si può compiere a favore di tutti gli uomini con questa nuova capacità del cervello umano!

Haber cominciava il comizio. Orr lo guardò, ma gli occhi opachi del medico, anche se lo fissavano direttamente, non gli restituivano lo sguardo, non lo vedevano. La concione continuò.

— La mia intenzione è di rendere replicabile questa nuova facoltà. Si può tracciare un’analogia con l’invenzione della stampa, o con l’applicazione di qualsiasi nuovo concetto tecnologico o scientifico. Se gli esperimenti o le tecniche non possono venire ripetuti positivamente da altri, allora non servono. E così lo stadio-e, finché era chiuso nel cervello di un singolo uomo, era inutile per l’umanità, come una chiave chiusa dentro una stanza sbarrata, come una singola, sterile mutazione genetica che desse la genialità. Ma io saprò togliere la chiave dalla stanza sbarrata. E quella «chiave» sarà una pietra miliare dell’evoluzione umana: una tappa fondamentale, come lo è stata, all’origine dell’uomo, la nascita di un cervello capace di ragionare! Qualsiasi cervello che possa usare questa nuova capacità, che meriti di usarla, potrà farlo. Quando un soggetto adatto, addestrato, preparato, entrerà nello stadio-e sotto lo stimolo dell’Aumentore, vi entrerà con un completo controllo autoipnotico. Nulla verrà lasciato al caso, all’impulso accidentale, al capriccio narcisistico irrazionale. Non ci sarà più questa tensione tra la sua tendenza al nichilismo e la mia volontà di progresso, il suo desiderio del Nirvana e la mia pianificazione cosciente, attenta, del bene collettivo. Non appena avrò verificato la mia metodologia, lei sarà libero di andarsene. Assolutamente libero. E poiché lei ha affermato fin dall’inizio di non desiderare altro che di essere libero dalle responsabilità, di non poter più fare sogni efficaci, le prometto che il mio primo sogno efficace comprenderà la sua «guarigione»: lei non farà mai più un sogno efficace.

Orr si era alzato; rimase immobile, fissando Haber; il suo volto era calmo, ma molto attento. — Lei dice che controllerà da solo i suoi sogni — disse, — da solo… senza nessuno che la aiuti o le faccia da supervisore? …

— Ho controllato per settimane i suoi. Nel mio caso… e naturalmente io sarò il primo soggetto del mio esperimento, si tratta di un preciso obbligo morale… nel mio caso il controllo sarà completo.

— Io ho già provato con l’autoipnosi, prima ancora di usare i farmaci per la soppressione del sogno…

— Sì, me ne aveva parlato; e non ha avuto fortuna, ovviamente. Il problema se un soggetto resistente possa giungere a una vera autoipnosi è molto interessante, ma la sua esperienza non può costituire una prova; lei non è uno psicologo di professione, non è un ipnotista addestrato, ed era già disturbato emotivamente a causa di tutta la cosa: lei non è approdato a nulla, naturalmente. Ma io sono uno psicologo di professione, e so con precisione cosa faccio. Posso auto-suggerirmi un intero sogno, e poi sognarlo in tutti i dettagli, esattamente come se si trattasse della mia mente nello stato di veglia. E ho provato a farlo, ogni notte della scorsa settimana, per rimettermi in allenamento. Quando l’Aumentore sincronizzerà con il mio stadio-d lo schema dello stadio-e generalizzato, questi miei sogni diverranno efficaci. E allora… e allora… — Dentro la cornice di barba ricciuta, le sue labbra si spalancarono in un sorriso teso e immobile: un sorriso estatico che costrinse Orr a voltarsi da un’altra parte, come se avesse visto qualcosa che non si doveva guardare; una cosa terrificante e insieme patetica. — E allora questo mondo sarà un paradiso, e gli uomini diverranno simili agli dèi!

— Lo siamo già, lo siamo già — disse Orr, ma l’altro non gli prestò attenzione.

— Non c’è nulla da temere. Il periodo pericoloso… ah, averlo saputo allora!… era quando soltanto lei poteva sognare in modo efficace, e non sapeva come servirsi della sua facoltà. Se lei non fosse venuto da me, se lei non fosse stato affidato alle mani addestrate di uno scienziato, chissà cosa sarebbe successo! Ma lei era qui, e io ero qui: come si dice, la genialità consiste nel trovarsi al momento giusto nel posto giusto! — Rise fragorosamente. — Dunque, ora non c’è niente da temere, e nulla resta affidato alle sue mani. Io so, sia dal punto scientifico che da quello morale, cosa faccio e come devo farlo. Io so dove vado.

— Vulcani eruttano fiamme — mormorò Orr.

— Come?

— Posso andare, ora?

— Domani alle cinque.

— Sarò qui — promise Orr, e uscì.

CAPITOLO DECIMO

Il descend, réveillé, l’autre côté du rêve.

Hugo, Contemplations

Erano soltanto le tre del pomeriggio, e sarebbe stato suo dovere tornare in ufficio, al Dipartimento Parchi, per terminare i progetti delle aree di gioco della zona sudorientale della città; ma non tornò. Pensò una singola volta a tornare, poi se lo cancellò dalla mente. La memoria gli diceva che aveva quel lavoro da cinque anni, ma non credeva alla propria memoria; quel lavoro non gli pareva reale. Non era un lavoro da fare. Non era il suo lavoro.

Era consapevole che confinando nell’irrealtà un elemento importante dell’unica realtà, dell’unica esistenza, correva esattamente lo stesso rischio delle menti malate: la perdita del senso del libero arbitrio. Sapeva che quando si nega ciò che si è, si finisce con l’essere posseduti da ciò che non si è: dalle coazioni, le fantasie, i terrori che accorrono a colmare il vuoto. Ma il vuoto c’era. Questa vita mancava di realtà; era vuota. Il sogno, creando dove non c’era necessità di creare, era diventato logoro e sottile. Se questo era vivere, allora forse il vuoto era preferibile. Meglio accettare i mostri e le necessità esterne alla ragione. Meglio andare a casa, e non prendere farmaci, ma dormire e sognare senza preoccupazione.

Giunto in città, scese dalla funicolare, ma invece di prendere il tram si avviò a piedi verso la propria casa; gli era sempre piaciuto camminare.