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Poteva telefonare al dottor Haber, forse. Ma era una persona talmente importante, direttore del Palazzo dei Sogni, lassù in cima al parco. E poi, che idea sciocca: Haber non doveva sapere dei suoi rapporti con Orr. Bugiardo scava le buche, bugiardo ci casca dentro. Ragno preso nella sua tela.

Quella sera Orr non rispose al telefono né alle sette, né alle nove, né alle undici. Non si presentò al lavoro martedì mattina, e neppure alle due del pomeriggio. Alle quattro e mezza, Heather Lelache lasciò gli uffici degli avvocati Forman, Esserbeck e Rutt e prese il tram fino a Whiteaker Street, salì fino alla Corbett Avenue, trovò la casa, suonò il campanello: uno di sei pulsanti che denunciavano di essere stati premuti infinite volte, variamente sbreccati, disposti in fila sullo stipite scrostato di una porta con vetri smerigliati; una casa che era stata la gioia e l’orgoglio di qualcuno nel 1905 o nel 1892, che da allora aveva fatto la sua carovana, ma che andava in rovina con dignità e con una certa magnificenza un po’ appannata. Nessuna risposta suonando il campanello di Orr. Suonò quello di «M. Ahrens Custode». Due volte. Custode giunse, e dapprima si mostrò restio a collaborare. Ma se c’era una cosa in cui la Vedova Nera eccelleva, questa era l’intimidazione di insettucoli inferiori. Custode la accompagnò per le scale e provò a spingere la porta di Orr. La porta si aprì. Non era chiusa a chiave.

Entrò. A tutta prima, pensò che potesse esserci un morto. E non era casa sua.

Custode, senza preoccuparsi della proprietà privata, entrò; lei lo seguì riluttante.

Le stanze, vecchie, grandi e spoglie, erano buie e vuote. Le parve una sciocchezza avere pensato alla morte. Le proprietà di Orr non ammontavano a molto; non c’erano il disordine e la trascuratezza di certi scapoli, né l’ordine e la pulizia di certi altri. La personalità del proprietario non si era impressa sulle stanze, eppure si poteva immaginare la sua presenza: un uomo tranquillo, che viveva in tranquillità. Sul comodino da notte c’era un bicchiere d’acqua, con un’incrostazione bianca sopra il pelo del liquido. Ne era evaporato circa un centimetro.

— No so dove sia andato — disse Custode, con aria preoccupata, e le rivolse un’occhiata come per chiederle aiuto. — Crede che gli sia successo qualcosa? Un incidente? — Custode portava la giacca di camoscio, i capelli alla Buffalo Bill, la collana con lo stemma dell’Aquario della sua gioventù; a quanto pareva, non doveva essersi cambiato d’abiti negli ultimi trent’anni. E aveva un significativo accento alla Bob Dylan. Sapeva perfino di marijuana. I vecchi hippie non si arrendono mai.

Heather lo guardò con simpatia, perché l’odore di marijuana le ricordava sua madre. Disse: — Forse è andato in quella sua casa di montagna. Il fatto è che non sta bene; lo saprà anche lei, è in Terapia Governativa. Se non torna, può avere delle grane. Lei non sa dove sia quella villa, e se c’è un telefono?

— Non so.

— Posso venire da lei a fare una telefonata?

— La faccia da qui — disse Custode, scrollando le spalle.

Heather chiamò un amico all’Ufficio Forestale dell’Oregon e gli chiese di controllare l’elenco delle 34 case assegnate con la lotteria della Foresta Nazionale Siuslaw, e di dirle dove si trovavano. Custode rimase lì intorno ad ascoltare la conversazione, e, quando fu terminata, fece: — Amici altolocati, eh?

— Serve — rispose la Vedova Nera, sibilando.

— Spero che riesca a trovate George. Mi piace quel ragazzo. Si fa prestare la mia Tessera Farmaceutica — disse Custode, e scoppiò d’improvviso in una risata, che però si spense subito. Quando Heather lo lasciò, era appoggiato con aria imbronciata contro lo stipite scrostato della porta d’ingresso. Lui e la vecchia casa si fornivano reciprocamente sostegno.

Heather tornò in centro col tram, noleggiò alla Hertz una Ford a vapore e si avviò sulla statale ovest. La cosa cominciava a piacerle. Vedova Nera che insegue la preda. Perché non era una detective, invece di essere una stramaledettissima civilista di terza categoria? Odiava la professione dell’avvocato. Richiedeva una personalità aggressiva e dogmatica. E lei non l’aveva. Aveva invece una personalità furtiva, segreta, timida, squamosa. Aveva le malattie veneree della mente.

In breve, la piccola vettura si trovò fuori dell’abitato: ormai erano scomparse le periferie che un tempo si estendevano per chilometri e chilometri lungo la carrozzabile. Durante gli Anni della Peste, negli ’80, quando in alcune zone non rimaneva in vita una persona su venti, la periferia non era un posto molto piacevole in cui abitare. Chilometri per raggiungere il supermercato, niente benzina per l’auto, e tutte le case che ti circondano piene di morti. Nessuno che ti possa dare una mano, niente cibo. Branchi di grossi cani status-symbol — tutti quegli afgani, alsaziani, danesi che venivano comprati per dimostrare il censo del proprietario — battevano, rinselvatichiti, i prati pieni di erbacce. Se si rompeva la finestra panoramica, chi veniva a cambiare il vetro? La gente si era rincantucciata nel vecchio centro cittadino, e le aree residenziali periferiche, dopo essere state saccheggiate, bruciavano. Come Mosca nel 1812, per decreto divino o per vandalismo umano: nessuno le voleva, ed esse bruciavano. L’epilobio, la prima pianta che cresce sulle aree bruciate, e da cui le api fanno il miele migliore, aveva ricoperto un ettaro dopo l’altro di certi villaggi residenziali come Kensington Homes West, Sylvan Oak Manor Estates e Valley Vista Park.

Il sole declinava quando Heather attraversò il fiume Tualatin, immobile come un nastro di seta tra gli argini alti e ripidi, coperti di alberi. Dopo qualche tempo si levò la luna, quasi piena; quando la strada deviò a sud, cominciò a risplendere giallastra alla sua sinistra. Le dava fastidio, le pareva che la spiasse da dietro le spalle quando prendeva le curve. Oggigiorno non era piacevole scambiare delle occhiate con la luna. Non simboleggiava più l’Irraggiungibile, come aveva fatto per millenni, né il Raggiunto, come aveva fatto per pochi decenni, ma il Perduto. Una moneta rubata, la canna della tua pistola puntata contro di te, un buco rotondo nel telone del cielo. La luna apparteneva agli Alieni. Il loro primo atto di aggressione — la prima notizia giunta all’umanità della loro presenza nel sistema solare — era stato l’attacco a Base Lunare, l’orribile assassinio per asfissia di quaranta uomini nella cupola a bolla. E nello stesso tempo, lo stesso giorno, avevano distrutto la piattaforma spaziale russa: quella cosa strana e affascinante, simile a un enorme seme di cardo, che era in orbita intorno alla Terra e da cui i russi si preparavano a partire per Marte. Soltanto dieci anni dopo la fine della Peste, i resti della civiltà umana erano risorti come la fenice, si erano messi in orbita, verso la luna, verso Marte: e avevano incontrato questo. Una brutalità senza forma, senza parole, senza ragione. Lo stupido odio dell’universo.

La manutenzione delle strade era molto scaduta dall’epoca in cui l’Autostrada era regina; c’erano dei tratti malconci e delle grandi buche. Ma Heather rasentò spesso il limite di velocità (75 km/h) mentre percorreva la vasta vallata illuminata dalla luna, attraversava il fiume Yamhill quattro volte (o cinque?), superava i due villaggi di Dundee e Grand Ronde (il primo ancora vivo, il secondo deserto, morto come Ur dei caldei), e arrivava finalmente alle montagne, alla foresta. Corridoio Forestale Van Duzer, diceva un antico cartiglio in legno: terra sottratta mólto tempo prima ai tagliaboschi delle compagnie di sfruttamento forestale. Non tutte le foreste americane si erano trasformate in carta da salumai, villini monofamiliari e fumetti di Dick Tracy sui supplementi domenicali dei quotidiani. Qualcuna di esse rimaneva ancora. Svolta a destra: Foresta Nazionale Siuslaw. E non si trattava neppure di una.di quelle aree a rimboschimento circolare, dove per ogni ceppo c’è un alberello stentato e rachitico: si trattava proprio di una foresta vergine. Forme di grandi abeti che si stagliavano contro il lucore del cielo notturno.