George si afflosciò come un cuscino mezzo vuoto, in avanti e di lato, finché fu un mucchio grosso, caldo e inerte sul pavimento.
Non doveva pesare più di 65 chili, ma si sarebbe potuto trattare di un elefante, per l’aiuto che le diede nel farsi mettere sulla branda. Dovette prima alzare le gambe e poi tirarlo per le spalle, per non rovesciare la branda; e naturalmente lui finì sul sacco a pelo, invece che dentro. Riuscì a toglierglielo di sotto, rischiando ancora di rovesciare la branda, e glielo stese sopra. Lui dormì profondamente, durante tutte queste manovre. Lei era senza fiato, sudata e con il capogiro. Lui stava benissimo.
Si sedette e riprese il fiato. Dopo qualche minuto si chiese cosa fare. Pulì le briciole, scaldò l’acqua, sciacquò i piatti di stagnola, le forchette, il coltello e le tazze. Riattizzò il fuoco nella stufa. Su uno scaffale trovò vari libri tascabili: probabilmente George li aveva presi a Lincoln City, per passare il tempo nella veglia. Nessun giallo, accidenti; un bel giallo le avrebbe fatto piacere. C’era un romanzo sulla Russia. Il Patto Spaziale aveva portato qualcosa di buono: il Governo degli Stati Uniti aveva smesso di fingere che non ci fossero altri Paesi da Israele alle Filippine (i Paesi che, se ci fossero stati, avrebbero potuto minacciare il Modo di Vivere Americano), e perciò da qualche anno si poteva comprare parasoli di carta giapponesi, incenso indiano, romanzi russi e altre cose di quel tipo, come una volta. Il nuovo modello di vita era la Fratellanza Umana, con le parole del Presidente Merdle.
Questo libro, scritto da un tale che finiva per «-evski», descriveva la vita durante gli Anni della Peste in una piccola cittadina del Caucaso, e, pur non essendo esattamente una lettura amena, la colpì profondamente; lo lesse d’un fiato, dalle dieci alle due e mezza. Per tutto il tempo Orr dormì senza muoversi, respirando tranquillamente, senza fare rumore. Ogni tanto Heather alzava gli occhi dalla cittadina del Caucaso e dava un’occhiata al suo volto, biondo e leggermente illuminato dalla lampada, sereno. Se sognava, erano sogni tranquilli e fuggitivi. Quando nella cittadina caucasica furono morti tutti, eccetto che lo scemo del villaggio (la cui assoluta passività di fronte all’inevitabile le ricordava il suo compagno), provò a bere un po’ di caffè riscaldato, ma aveva un sapore orribile. Andò alla porta e rimase lì per qualche tempo, mezza dentro e mezza fuori, ad ascoltare il ruscello che gridava. Era incredibile che avesse continuato a fare quel tremendo rumore per migliaia di anni prima che lei fosse nata, e che avrebbe continuato a farlo per tutta l’esistenza delle montagne. E la cosa più strana di quel rumore, adesso, a notte inoltrata, nell’assoluto silenzio dei boschi, era una nota lontana, molto a monte, che ricordava un canto di bambini, dolce e strano.
Sentì freddo; chiuse la porta sulle voci di quei bambini non ancora nati che cantavano nell’acqua, e ritornò alla piccola stanza riscaldata e all’uomo dormiente. Prese un libro sul modo di farsi i mobili da sé (Orr doveva averlo preso per apportare qualche miglioramento alla casetta), ma la lettura le fece subito venire sonno. Be’, perché no? Chi la obbligava a stare sveglia? Sì, ma dove dormire?
Avrebbe fatto meglio a lasciare George sul pavimento. Non se ne sarebbe mai accorto. Non era giusto: lui aveva sia la branda che il sacco a pelo.
Prese il sacco a pelo e lo sostituì con i loro due soprabiti. Lui non si mosse. Lo guardò con affetto, poi entrò nel sacco a pelo, sul pavimento. Cristo se faceva freddo lì in terra, e se era duro. Non aveva spento la luce. Ma come si spengono le lampade a petrolio, si soffia o si gira la chiavetta? Bisognava fare una cosa e non fare mai l’altra. L’aveva imparato alla comune. Ma non ricordava quale fosse la cosa da fare. Oooooh CACCA! se faceva freddo lì in terra!
Freddo, freddo. Duro. Chiaro. Troppo chiaro. Luce dell’alba che veniva dalla finestra, attraverso i rami e le antine. Sul letto. Il pavimento tremò. Le montagne mormorarono e sognarono di cadere in mare, e da dietro le montagne, debole e orribile, si alzò l’ululato delle sirene di lontane città.
Si rizzò a sedere. Lupi che ululavano per la fine del mondo.
La luce dell’alba penetrava dall’unica finestra, nascondendo tutto ciò che giaceva sotto il suo raggio accecante. Cercò tra la luce eccessiva e trovò il sognatore, prono sulla branda. Era ancora addormentato. — George! Svegliati! Oh, George, svegliati! C’è qualcosa che non va!
George si destò. Le sorrise, mentre si svegliava.
— C’è qualcosa che non va… le sirene… che cosa è successo?
Come se facesse ancora parte dei suoi sogni, George le rispose senza emozione: — Sono atterrati.
Infatti aveva compiuto esattamente quello che Heather gli aveva chiesto. Gli aveva ordinato di sognare che gli Alieni non erano più sulla luna.
CAPITOLO OTTAVO
Cielo e Terra non sono umani.
Nel corso della seconda guerra mondiale, l’unica parte del territorio americano che subì l’attacco del nemico fu lo Stato dell’Oregon. Alcuni palloni incendiari giapponesi appiccarono fuoco a una foresta, sulla costa. Nella prima guerra interstellare, l’unica parte del territorio americano che subì un’invasione fu lo Stato dell’Oregon. Si potrebbe attribuirne la colpa ai suoi uomini politici; la funzione storica di un senatore dell’Oregon pare quella di far ammattire tutti gli altri senatori, e le ruvidezze di questo Stato non sono mai state appianate da qualche lubrificante militare. Gli unici depositi posseduti dall’Oregon non erano di armi nucleari, ma soltanto di fieno; e non aveva nessuna piattaforma di lancio missilistica, nessuna base della NASA. Era chiaramente indifeso. I Missili Balistici Anti-Alieni (MBAA) che lo difendevano partivano dalle enormi installazioni sotterranee di Walla Walla, dello Stato di Washington, e di Round Valley (California). Dall’Idaho, la cui area apparteneva prevalentemente all’Aviazione degli Stati Uniti, enormi XXTT-9900 supersonici si lanciarono ululando in direzione ovest, spaccando i timpani a tutti, da Boise a Sun Valley, per attaccare ogni astronave Aliena che eventualmente riuscisse a filtrare attraverso l’infallibile rete missilistica.
Respinti dalle astronavi Aliene, che erano provviste di uno strumento che metteva fuori uso i loro sistemi di guida, gli MBAA cambiarono direzione nella stratosfera e tornarono indietro, cadendo ed esplodendo qui e là nello Stato dell’Oregon. Un olocausto si scatenò sulle asciutte pendici orientali delle Cascate. Gold Beach e le Dalles furono spazzate da tempeste di fuoco. Portland non venne colpita in pieno, ma un missile vagante a testata nucleare colpì Monte Hood, nei pressi del vecchio cratere, e destò il vulcano dormiente. Subito si ebbero terremoti e uscite di vapori, e a mezzodì del primo giorno dell’invasione Aliena, primo aprile, sulla parte nordoccidentale di Monte Hood si apriva già un nuovo cratere, in violenta eruzione. La lava arroventò il fianco senza neve, disboscato, del vulcano, minacciando le comunità di Zigzag e Rododendro. Cominciò a formarsi una grossa nuvola di ceneri, e in poche ore l’aria di Portland, a sessanta chilometri di distanza, divenne spessa e grigia. Quando giunse la sera e il vento cambiò direzione, volgendo a sud, l’aria si schiarì un poco, rivelando le luci rosso-cupe dell’eruzione, tra le nubi dell’est. Il cielo, piena di pioggia e di ceneri, rimbombava per il volo dei WWTT-9900 che cercavano invano le astronavi Aliene. Altri stormi di bombardieri e di caccia continuavano intanto ad arrivare dalla Costa Atlantica e dalle altre nazioni del Patto; spesso finivano con l’abbattersi accidentalmente tra loro. La terra tremava per il terremoto e per le percosse delle bombe e degli aeroplani caduti. Una delle astronavi Aliene era atterrata a poco più di un centinaio di chilometri di distanza da Portland, e così la periferia sudoccidentale della città venne polverizzata dai bombardieri che devastavano metodicamente l’area di trenta chilometri quadrati in cui doveva trovarsi la nave spaziale. In realtà erano già arrivati dei dispacci che comunicavano la sua sparizione dalla zona, ma bisognava pur fare qualcosa. Molte bombe caddero per errore anche su altre parti della città, come sempre succede quando sono di scena i bombardieri a reazione. In centro non rimaneva una sola finestra con ancora i vetri. Quei vetri giacevano per terra, nelle strade, ridotti a frammenti di pochi centimetri. I profughi provenienti dalla zona sudoccidentale di Portland dovettero passare su quei vetri; le donne portavano i figli in braccio e camminavano piangendo per il dolore, con le scarpe sottili piene di cocci di vetro.