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Dalla prua, che adesso si era fermata, uscì un lungo tentacolo sottile, che si mosse nell’aria come se cercasse qualcosa. La sua estremità, alzandosi come la testa di un serpente cobra, puntò qui e là, poi si arrestò nella direzione di Haber. A circa tre metri di distanza, sospesa nell’aria, lo fissò per alcuni secondi. Poi si ritrasse con un sibilo e uno schiocco, come un metro snodabile da falegnami, e dal vascello si alzò un acuto ronzio. La cornice metallica della finestra cigolò e cadde. La prua del vascello girò su se stessa e si ribaltò sul pavimento. Dal foro così formatosi, qualcosa emerse.

Si trattava, pensò Haber, in una sorta di orrore senza emozioni, di una gigantesca tartaruga. Poi vide che era chiusa in una sorta di tuta, che le dava un aspetto ponderoso, verdastro, corazzato, inespressivo, come se fosse stata una grande testuggine marina, ferma sulle zampe posteriori.

L’Alieno rimase immobile, accanto alla scrivania. Con estrema lentezza alzò il braccio sinistro, puntando su Haber uno strumento metallico, con un foro in cima.

Haber si vide morto.

Dal gomito dell’Alieno giunse una voce piatta, priva di intonazioni. — Non fare agli altri quello che vuoi gli altri non facciano a te — disse.

Haber lo fissò sbalordito, con un tuffo al cuore.

Il pesante braccio metallico si alzò ancora. — Noi tentiamo di fare arrivo pacifico — disse il gomito, tutto in un solo tono. — Prego informare gli altri che questo è arrivo pacifico. Noi non abbiamo nessuna arma. Grande autodistruzione originata da paura senza fondamento. Prego cessare distruzione di sé e di altro. Noi non abbiamo nessuna arma. Noi siamo una specie non aggressiva non bellicosa.

— Io… io… io non posso dare ordini all’Aviazione — balbettò Haber.

— Persone in veicoli volanti sono raggiunte adesso — disse il gomito della creatura. — È installazione militare, questa.

Dall’ordine delle parole sembrava una domanda. — No — rispose Haber. — No, niente del genere…

— Prego allora scusare intrusione non autorizzata. — La grande figura corazzata si girò leggermente; parve esitare. — Cosa è, macchina — disse, indicando col gomito destro gli strumenti collegati alla testa del dormiente.

— Un elettroencefalografo, una macchina che registra l’attività elettrica del cervello…

— Meritevole — disse l’Alieno, e fece un breve passo verso il divano, come se desiderasse dare un’occhiata. — L’individuo-persona è iahklu’. La macchina per registrare registra forse questo. È tutta vostra specie, capace di iahklu’.

— Io non… non conosco la parola, potete spiegarmi…

La figura si girò leggermente, alzò il gomito sinistro al di sopra della testa (che, come quella delle tartarughe, era poco più alta delle grandi spalle curve della corazza), e disse: — Prego scusare. Non comunicabile con macchina per comunicare inventata in fretta nel molto vicino passato. Prego scusare. È necessario che noi procediamo nel molto vicino futuro rapidamente verso altre persone responsabili colpite dal panico e capaci di distruggere sé e altro. Molte grazie. — E ritornò dentro la prua del vascello.

Haber guardò le grandi suole rotonde dei suoi piedi che sparivano nella cavità scura.

La calotta anteriore si alzò dal pavimento e si rimise con abilità a posto: Haber ebbe la vivida impressione che non agisse in modo meccanico, ma in modo temporale, ripetendo al contrario i movimenti di prima, come un film proiettato all’indietro. Il vascello Alieno, scuotendo l’ufficio e strappando gli ultimi rimasugli di finestra con uno schianto odioso, si ritirò e svanì nella sporca caligine del Parco.

Il crescendo di esplosioni, comprese Haber, era cessato; anzi, non si udiva più alcun rumore. C’era ancora un leggero tremito, ma doveva essere colpa della montagna, non delle bombe. Alcune sirene ululavano, lontane, strazianti, dall’altra sponda del fiume.

George Orr giaceva inerte sul divano; respirava irregolarmente, e i tagli e le ecchimosi risaltavano sul pallore del volto. Dalla finestra sfasciata continuavano a giungere ceneri e fumo, portati dall’aria gelida e soffocante. Non c’era nulla di cambiato. Non aveva cancellato niente. Che Orr non avesse ancora combinato nulla? Dietro le palpebre chiuse si scorgeva un leggero movimento oculare; stava ancora sognando; non poteva farne a meno, con l’Aumentore che comandava gli impulsi del suo cervello. Perché non cambiava continuum, perché non li portava tutti in un mondo pacifico, come Haber gli aveva ordinato? Forse la suggestione ipnotica non era stata abbastanza chiara o abbastanza forte. Dovevano ricominciare. Haber spense l’Aumentore e pronunciò tre volte il nome di Orr.

— Resti sdraiato, la cuffia dell’Aumentore è ancora collegata. Che cosa ha sognato?

Orr parlò in fretta e a voce bassa; non era ancora del tutto sveglio. — L’Alieno… un Alieno era qui dentro. Nell’ufficio. È uscito dal davanti di uno dei loro veicoli. Per la finestra. Voi due parlavate insieme.

— Ma questo non è un sogno! È la realtà! Santo Dio, bisogna ricominciare da capo. Ci dev’essere stata un’esplosione atomica, pochi minuti fa; dobbiamo trasferirci in un altro continuum… forse siamo già stati colpiti mortalmente dalle radiazioni…

— Oh, ormai non più — disse Orr, mettendosi a sedere e staccandosi elettrodi dai capelli come se fossero pidocchi. — Ed è certamente vero. Un sogno efficace è una realtà, Dottor Haber.

Haber lo fissò sbalordito.

— Credo che l’Aumentore abbia reso più immediata la cosa — disse Orr, sempre con una calma eccezionale. Parve meditare per un istante. — Senta, non può telefonare a Washington?

— E a che scopo?

— Be’, un famoso scienziato, proprio qui in mezzo a ciò che è successo, potrebbe farsi ascoltare. Probabilmente saranno alla ricerca di una spiegazione. Lei conosce qualcuno, al Governo, che potrebbe chiamare? Magari il ministro della Sanità? Potrebbe dirgli che tutta la cosa è un malinteso, che gli Alieni non hanno intenzione né di invaderci né di attaccarci. Che, semplicemente, non avevano compreso, prima dell’atterraggio, che gli uomini si basano sulla comunicazione verbale. Non avevano neppure capito che noi credevamo di essere in guerra con loro… Chissà se potrebbe dirlo a qualcuno che riesca a parlarne al presidente? Più presto Washington richiama i militari, meno persone saranno uccise qui. Gli unici che muoiono sono i civili. Gli Alieni non respingono i soldati: non sono neppure armati, e io ho l’impressione che siano indistruttibili, in quelle tute. Ma se qualcuno non la fermerà, l’Aviazione farà saltare in aria l’intera città. Provi, dottor Haber. Magari a lei daranno ascolto.

Haber sentiva che Orr aveva ragione. Non era una convinzione razionale, era la logica della follia, ma aveva ragione: ed era la sua occasione. Orr parlava con la sicurezza incontrovertibile dei sogni, in cui non c’è libertà di scelta: fai questo, devi farlo, occorre fare così.

Perché questo dono era stato dato a uno sciocco, a un individuo passivo, a una nullità d’uomo? Perché Orr era così sicuro e aveva così ragione, mentre l’uomo forte, attivo, deciso, era impotente, era costretto a usare, ad addirittura obbedire, il debole strumento? Questi pensieri si agitarono nella sua mente, non per la prima volta, mentre correva alla scrivania, al telefono. Si sedette e fece il numero degli uffici della Sanità, a Washington. La chiamata, avviata attraverso le centrali automatiche dello Utah, giunse subito alla capitale.