Non accadde nulla.
Heather mosse le dita della mano sinistra, tracciando piccoli cerchi sulla superficie resistente e granulosa della poltrona, su quel materiale che un tempo era stato la pelle di un animale vivente, la superficie di separazione tra una mucca e il resto dell’universo. Il motivetto del vecchio disco suonato il giorno prima le tornò alla mente e si rifiutò di allontanarsene.
What do you see when you turn out the light?
I can’t tell you, but I know it’s mine…
Cosa vedi quando spegni la luce?
Non posso dirlo, ma so che è mio.
Non credeva che Haber riuscisse a starsene fermo, a starsene zitto, per un tempo così lungo. Solo una volta le sue dita corsero a una manopola. Poi ritornò immobile, con lo sguardo puntato sulla parete spoglia.
George sospirò, alzò una mano assonnata, si scosse e si destò. Batté le palpebre e si rizzò a sedere. I suoi occhi corsero immediatamente a Heather, come per assicurarsi che fosse ancora lì.
Haber si aggrottò, e con uno scatto premette il pulsante in fondo all’Aumentore. — Che diavolo! — esclamò. Fissò lo schermo EEG, su cui si rincorrevano ancora vivacemente le sottili linee spezzate. — L’Aumentore stava trasmettendo segnali di stadio-d; come diavolo ha fatto a svegliarsi?
— Non lo so — rispose George, sbadigliando. — Mi sono svegliato, e basta. Non è stato lei a ordinarmi di svegliarmi alla fine del sogno?
— Di solito faccio così, infatti. Al mio segnale. Ma come diavolo ha potuto vincere il segnale dell’Aumentare? … Dovrò modificare l’intensità; è chiaro che mi sono affidato un po’ troppo all’improvvisazione. — In questo momento, Haber parlava al suo Aumentore. Non potevano esserci dubbi. Terminata la conversazione, si volse bruscamente a George e gli disse: — D’accordo. Cos’ha sognato?
— Ho sognato che c’era una fotografia di Monte Hood sulla parete, dietro mia moglie.
Gli occhi di Haber corsero alla parete ricoperta di pannelli di legno, priva di fotografie, e poi a George.
— Nient’altro? Un sogno precedente… ne ricorda qualche elemento?
— Mi pare di sì. Aspetti un istante… Mi pare d’avere sognato che stavo sognando. Era un po’ confuso. Ero ai grandi magazzini… da Meier Frank, per comprarmi un vestito nuovo, con la tunica blu perché stavo per cambiare lavoro, o qualcosa di simile, non ricordo. Comunque, avevano una tabellina che mostrava quanto si doveva pesare con una certa altezza, e viceversa. E io ero proprio nel mezzo della scala delle stature e della scala dei pesi per uomini di corporatura media.
— Normale, in altre parole — disse Haber, e rise. Rise molto rumorosamente. Heather sobbalzò, dopo la tensione e il silenzio.
— Ottimo, George. Davvero, ottimo. — Diede una pacca sulla spalla a George e cominciò a staccargli dalla testa gli elettrodi. — Ce l’abbiamo fatta. Abbiamo terminato. Lei è a posto! Lo sa?
— Penso di sì — rispose George, in tono mite.
— Il pesante fardello le è stato tolto dalle spalle. Giusto?
— Ed è passato sulle sue?
— Ed è passato sulle mie. Giusto! — Di nuovo quella risata tempestosa, immensa, ma, questa volta, leggermente sforzata. Heather si chiedeva se Haber era sempre così, o se era momentaneamente in uno stato di estremo eccitamento.
— Dottor Haber — disse suo marito, — non ha mai parlato dei sogni con un Alieno?
— Un aldebaraniano, vuol dire? No. Forde, a Washington, ha provato alcuni dei nostri test su un paio di Alieni, oltre ai soliti test psicologici, ma ha ottenuto dei risultati privi di significato. Noi, semplicemente, non abbiamo ancora risolto il problema della comunicazione. Sono intelligenti, ma Irchevsky, il nostro migliore xenobiologo, ritiene che forse non si tratta affatto di esseri razionali, e che quello che pare comportamento socialmente integrativo in mezzo agli uomini non è altro che una specie di istintivo mimetismo adattativo. Ma non si può dire. Non si può fare loro un EEG, e, in realtà, non si può neppure sapere se dormono o no, tanto meno se sognano.
— Conosce il termine iahklu’?
Haber tacque un istante. — L’ho sentito. È intraducibile. Lei ha deciso che vuol dire «sogno», «sognare»; è così?
George scosse il capo. — Non so cosa significhi. Non voglio darmi le arie di sapere cose che lei non sa, ma credo davvero che lei, prima di procedere con… l’applicazione della nuova tecnica, dottor Haber, prima di sognare, dovrebbe parlare con uno degli Alieni.
— E quale? — L’ironia era chiara.
— Uno qualsiasi. Non ha importanza.
Haber rise. — Parlare di che cosa, George?
Heather vide gli occhi di suo marito brillare, mentre alzava lo sguardo sull’uomo più alto. — Parlare di me. Dei sogni. Dello iahklu ’. Non importa. Basta che lei ascolti. Gli Alieni sanno cosa lei intende fare. In queste cose hanno più esperienza di noi.
— In quali cose?
— Nel sognare. Nelle cose di cui il sogno costituisce un aspetto. Essi le fanno da molto tempo. Da sempre, credo. Io non lo capisco, non posso esprimerlo a parole. Ogni cosa sogna. Il gioco delle forme, dell’esistenza, è il sogno della sostanza. Le rocce fanno un sogno, e la terra cambia… Ma quando la mente diviene cosciente, quando la velocità dell’evoluzione aumenta, allora bisogna andare molto cauti. Cauti, questa è la parola. Occorre imparare la via. Occorre imparare la tecnica, l’arte, i limiti. Una mente cosciente deve fare parte del tutto, intenzionalmente e cautamente, come la roccia fa inconsciamente parte del tutto. Capisce? Queste parole significano qualcosa, per lei?
— Non sono concetti nuovi per me, se questo è ciò che lei intende dire; l’anima del mondo e così via. Sintesi pre-scientifica. Il misticismo è uno dei modi di affrontare la natura del sogno, o della realtà, anche se non è accettabile da coloro che intendono usare la ragione, e che sono capaci di usarla.
— Non so se sia vero — disse George, senza il minimo risentimento, in tutta onestà. — Però, anche soltanto per pura curiosità scientifica, provi almeno a fare una cosa: prima di provare l’Aumentore su se stesso, prima di accenderlo, quando comincerà ad auto-suggestionarsi, pronunci queste parole: Er’ perrehnne. A voce alta o nella sua mente, non importa. Le pronunci una volta. Chiaramente. Ci provi.
— E perché?
— Perché serve.
— «Serve» a cosa?
— A ricevere aiuto dai suoi amici — disse George. Si alzò. Heather lo fissava terrorizzata. Aveva detto cose folli… la cura di Haber l’aveva fatto impazzire: lei ne aveva da tempo il presentimento. Ma Haber non gli rispondeva (o gli rispondeva?) come avrebbe risposto a un discorso psicotico o incoerente.
— Lo iahklu’ è una cosa troppo grande perché una persona possa maneggiarla da sola — diceva George. — Sfugge di mano. Gli Alieni sanno come controllarlo. Anzi, non proprio controllarlo, non è la parola giusta; ma tenerlo al suo posto, fargli seguire la giusta strada… Io non lo capisco. Forse potrà capirlo lei. Chieda il loro aiuto. Dica la frase Er’ perrehnne prima di… di schiacciare il pulsante di accensione.
— Forse c’è qualcosa d’interessante nelle sue parole, George — disse Haber. — Forse vale la pena di svolgere una ricerca. Me ne interesserò. Farò venire qui uno degli aldebaraniani del Centro Culturale, e vedrò di procurarmi qualche informazione sulla cosa… Tutto arabo, per lei, vero, signora Orr? Suo marito doveva fare lo psicologo, il ricercatore; è sprecato come disegnatore. — Perché diceva questo? George era un urbanista che si occupava di parchi e aree da gioco. — Ha l’intuito che occorre, ci arriva naturalmente. Non avevo mai pensato di sperimentare la macchina sugli aldebaraniani, ma potrebbe essere una buona idea. Però, forse lei, signora, sarà lieta che non sia uno psicologo, eh? Terribile avere un marito che analizza i nostri desideri inconsci dall’altra parte della tavola, eh? — Continuò a parlare con voce stentorea mentre li accompagnava all’uscita. Heather era sconvolta, quasi sul punto di piangere.