«Ebbene», sorrise, «io vedo Cormyr come un deposito di magia… magia dei Maghi della Guerra… che io, che attualmente non costituisco una minaccia per nessuno, potrei utilizzare per diventare potente senza faticare per anni al servizio di maghi crudeli in cambio di frammenti di incantesimi elargiti con riluttanza. Questa stanza contiene molti altri come me, e il nostro stesso numero, insieme al fatto che i Maghi della Guerra faranno a gara per accaparrarsi nozioni magiche una volta che gli Obarskyr saranno morti, e alla paura e all’odio che la gente comune di Cormyr nutre nei confronti di quegli stessi, così benevoli, Maghi della Guerra… saranno molti i contadini pronti a trapassare con un forcone tutti i maghi che vedranno… sono tutti fattori che ci impediranno di costituire una minaccia collettiva. I più saggi si affretteranno a mettere le mani su tutta la magia possibile e a lasciare il paese».
«Se io fossi uno degli ignoti artefici di questa Legittima Cospirazione», obiettò Elminster, accigliandosi, «non vorrei avere qui nessun mago, a meno di essere certo che io stesso, o gli altri Capi Segreti, possediamo magia sufficiente ad annientarli… altrimenti moriremmo tutti per barattare un re bambino con un mago spietato, giusto?».
«Il che spiega perché sono convinto che dietro a tutto questo ci sia un grande mago, che intende fare del nuovo re un suo fantoccio», annuì il Mago Rosso travestito. «In questo modo potrà governare Cormyr senza correre nessuno dei pericoli connessi alla carica di regnante… dopo tutto, è più o meno quello che stanno facendo adesso Caladnei e la sua compagna Laspeera, nel percorrere la strada che il vecchio Vangerdahast ha pavimentato per loro. Tutto quello che devono fare è ricorrere a qualche incantesimo per mantenere la Regina Madre e il Reggente d’Acciaio in stato di asservimento mentale. Il nostro misterioso mago potrebbe addirittura rifornire di fondi alcuni di quegli intrepidi viaggiatori della Società dei Coraggiosi Avventurieri di Suzail perché gli procurino incantesimi e ricchezze da tempo perdute, cercandoli in terre straniere, giusto?»
Il «grande mago» a cui ti riferisci è Thay, giovane Thauvas, pensò Elminster, e Cormyr diventerebbe molto in fretta un remoto tharch occidentale e… proprio come tu dici… una base da cui raggiungere altre città e altre terre.
Badando a evitare che quelle riflessioni gli trasparissero dallo sguardo annuì e si accarezzò il mento con aria pensosa, accigliandosi.
«Per gli dei!» esclamò. «È per questo che finora non ho mai pensato di partecipare a qualche ribellione. Tutto questo complottare e pensare a quello che altri stanno pensando mi fa dolere la testa!»
Da quanti lo circondavano giunsero risatine e cenni di assenso, ma Elminster non mancò di notare l’attento e pensoso esame a cui il falso Khornandar lo stava ora sottoponendo, e si affrettò a richiamare alla mente il volto di due Cormaeril che conosceva… uno dei due era quello di Jhaunadyl, seduta sul suo letto con lo sguardo pieno di calore dopo che si erano amati…
Il sondaggio da parte del Mago Rosso giunse intenso quanto improvviso, ma Elminster, piuttosto che lasciarlo infrangere contro il proprio schermo mentale, gli permise di oltrepassarlo creando una trama fatta di una miriade di immagini mentali che espose all’esame di Thauvas. Fra tutte, la più nitida quella della risata e delle braccia protese di Jhaunadyl.
Il mago s’irrigidì e ritrasse il capo con aria disgustata, di fronte a quell’evidente testimonianza d’incesto fra nobili decadenti. In un altro momento avrebbe forse cercato con eccitazione altri ricordi ancora più intimi, ma molti Maghi Rossi consideravano le donne di poco superiori al bestiame e per loro l’intimità senza dominio era qualcosa che non valeva il tempo che vi si dedicava. Evidentemente, il giovane Zlorn apparteneva a quella categoria.
Mantenere un sondaggio mentale di quel genere, e ancor più pilotare la mente invasa in modo da esporre determinati pensieri e ricordi, richiedeva una grande forza di volontà, quindi il falso Khornandar abbandonò i pensieri di Elminster con la stessa rapidità con cui vi era penetrato, rientrando nel cerchio di congiurati con aria d’un tratto pallida e stanca.
«Stai bene, mago di Westgate?» chiese qualcuno, notando come gli tremasse la mano in cui reggeva il boccale.
«Io… sì. Sono soltanto stanco», fu la succinta risposta di Khornandar.
«Altro vino?»
«No, quella sarebbe la cosa peggiore. Devo soltanto restarmene per un po’ seduto ad ascoltare, lasciando che siano gli altri a parlare.»
Il gruppetto si spostò verso una colonna circondata da un sedile di pietra, e molti dei suoi membri ne approfittarono per allontanarsi nella calca del resto dei presenti, che adesso avevano cominciato sul serio a danzare, mettendo in pericolo parecchi vassoi di gustose tartine che stavano circolando per l’affollata sala da ballo trasportati da uomini che non parevano abituati a servire il cibo in quel modo, almeno a giudicare dalla loro aria di disagio e dal volto segnato dagli elementi.
Elminster si abbassò per schivare un vassoio che pareva destinato a precipitare al suolo… solo per vederlo salvare alle proprie spalle da un mercante i cui grassi menti tremolanti erano adornati ciascuno da una serie di altri menti più piccoli… e nel volgere le spalle a quella dimostrazione di destrezza non indifferente si venne a trovare faccia a faccia con una splendida donna avvolta in un lucido abito decorato da parecchi stemmi dorati; o meglio, come il mago constatò nel distogliere con una certa difficoltà lo sguardo da un sorriso malizioso e da profondi, accattivanti occhi scuri, dallo stesso stemma ripetuto più volte e realizzato in filo dorato su sfondo fra il blu e il verde, raffigurante una conchiglia attraversata da un tridente. Quello era lo stemma di un casato marsembano… Mistwind, quello era il suo nome, una famiglia antica, molto riservata e composta da pochi membri.
La regale Lady Mistwind… in quanto quella dama non poteva essere che l’erede apparente del casato… gli rivolse un sorriso sempre più accentuato, mostrando appena una fila di denti simili a perle.
«Signore, hai l’aspetto di un nobile che abbia girato il mondo», osservò, in tono dolce. «Come giudichi l’ospitalità che stiamo offrendo qui stanotte?»
Quello era senza dubbio un invito esplicito. Elminster le rivolse un sorriso galante accompagnato da un inchino nell’antico stile di corte, a indicare la sua appartenenza a un casato di alto lignaggio (anche se molti «veri» nobili purosangue del regno non avrebbero riconosciuto ai Cormaeril quella rivendicazione).
«Splendida dama», rispose, «ho appena cominciato ad assaporare ciò che viene offerto qui, e tuttavia confesso di essere rimasto finora notevolmente impressionato… ma forse ne potremo riparlare meglio più tardi, non credi?».
«Forse», assentì la dama, mentre il suo sorriso si accentuava, poi avanzò verso di lui con passo danzante, quasi nascondendo le guardie del corpo dallo sguardo duro che si tenevano alle sue spalle e aggiunse, in tono sensuale: «La tua discrezione ti fa onore. Lady Amrelle Mistwind ha il piacere di salutare…».
«Lord Senzanome Cormaeril, al tuo servizio», si presentò Elminster, ricambiando il sorriso.
«Essere senza nome è una fonte di vergogna se non c’è un valido motivo», osservò la dama, inarcando un sopracciglio bruno, «ma dovrò aspettare che tu mi spieghi le ragioni del tuo anonimato prima di poter presumere di giudicarti. A più tardi, dunque, come hai detto tu stesso».
Poi gli volse le spalle, e il profondo spacco del suo abito, aperto fino alla vita, permise a Elminster di intravedere un grifone tempestato di gemme tatuato in alto sulla coscia… oltre all’assoluta assenza di biancheria intima. Quel movimento lasciò Lord Senzanome Cormaeril faccia a faccia con le accigliate guardie del corpo e pervaso da un improvviso senso di calore.