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Narnra si allontanò di scatto dal mercante e dai suoi amici ubriachi e ridacchianti, passando nella stanza accanto.

«Ah mio signore, finalmente», sussurrò in tono intenso una voce di donna, mentre la sua proprietaria aggrediva le vesti di un uomo che appariva più sconcertato che mosso da passione, il tutto mentre tre guardie del corpo formavano un piccolo cerchio impassibile intorno alla coppia di amanti, volgendo loro le spalle a braccia conserte. Ignorando tutti, Narnra proseguì per la sua strada.

Nella cantina successiva s’imbatté in quattro uomini che procedevano con passo spedito, uno di essi più indietro degli altri e intento a chiamarli.

«Sorval? Sei Sorval Maethur?», chiese il quarto uomo, in tono all’apparenza deliziato, nel raggiungere gli altri tre mercanti.

«Sì, sono Sorval», replicò uno di essi, voltandosi. «E tu sei…»

«Lieto di darti la morte!» fu la risposta ringhiante, mentre una daga veniva conficcata in una gola e una lampada veniva scagliata contro la faccia di uno dei compagni della vittima; quanto al terzo uomo, si diede alla fuga con un urlo di terrore.

Gorgogliando per lo sforzo vano di riuscire a parlare, spruzzando grandi quantità di sangue dalla gola squarciata, Sorval si accasciò al suolo e il suo assassino si ritrasse, allontanandosi con passo tranquillo dal cadavere che ancora si contorceva e dall’uomo gemente che si artigliava gli occhi ustionati.

Narnra si sforzò di allontanarsi a sua volta con altrettanta indifferenza, consapevole che da un momento all’altro l’assassino si sarebbe potuto voltare per verificare se c’erano stati testimoni da eliminare a loro volta, e che la sua vita sarebbe potuta dipendere da… ma certo!

L’assassino di Sorval le scoccò uno sguardo minaccioso, ma Narnra lo ignorò apertamente e continuò a camminare, mormorando ad alta voce, come se stesse parlando fra sé:

«Dunque, com’è che funzionava quell’incantesimo…»

Con la daga sporca di sangue ancora stretta in pugno, l’uomo esitò per un momento, fissandola con occhi roventi, poi decise che allontanarsi dalla scena del delitto era una mossa più saggia dell’affrontare qualcuno che non conosceva… notando l’improvviso sgranarsi dei suoi occhi, Narnra comprese che l’uomo si era accorto che lei era una donna, e che aveva il volto mascherato.

Parecchi gruppi di uomini stavano intanto confluendo in una stanza lontana, reggendo in mano lanterne accese la cui luce oscillante si stava spostando verso l’alto. Subito Narnra si avviò in quella direzione con passo deciso, estraendo la daga con un gesto marcato, in modo da essere certa che l’assassino di Sorval notasse la cosa, poi agitò le dita dell’altra mano sulla lama in una serie di gesti complicati, sperando di indurre l’uomo a supporre che lei stesse operando una magia di qualche tipo, e deglutì a fatica. Non era la prima volta che vedeva tagliare una gola, ma Sorval aveva versato così tanto sangue benedetto dagli dei…

L’assassino si incamminò intanto in una direzione diversa e scomparve ben presto dietro le colonne e oltre le arcate, mentre Narnra continuava a camminare cercando di dimenticare gli ultimi, orribili momenti di agonia di Sorval. Chiunque fosse stato, non poteva aver meritato… basta!

Agitando una mano, come per allontanare quelle immagini, Narnra si guardò di nuovo alle spalle, constatando che non c’era nessun assassino che la stesse seguendo di soppiatto.

Un’altra coppia di amanti era stretta in un abbraccio appassionato in un angolo in ombra della camera successiva, mentre sul lato opposto della stessa stanza alcuni uomini furenti stavano cercando di trafiggersi a vicenda con le daghe, peraltro troppo ubriachi per riuscire a fare altro se non ringhiarsi a vicenda minacce e imprecazioni incoerenti, cadere, ruggire ancora di rabbia e cadere nuovamente. La «Legittima Cospirazione»… come no!

Qua e là le danze erano ancora in corso, anche se la musica di flauti e tamburi pareva essere cessata, alle sue spalle, e davanti a lei gli uomini continuavano instancabilmente a conversare, le parole che rimbalzavano dagli uni agli altri come pietre lanciate da una fionda in un susseguirsi di eccitate supposizioni sul modo in cui le ricchezze avrebbero cominciato ad affluire nelle loro tasche una volta che «quei bastardi Obarskyr fossero tutti morti».

Nel sentire quel nome, Narnra si accigliò. Per quanto ne sapeva, gli Obarskyr erano la famiglia reale di un regno che si trovava a est di Waterdeep… un posto di gente per bene, degna di fiducia e osservante delle leggi, una nazione che aveva uno strano nome… Cromyar? Cromeer? Cormeer… Cormyr, così si chiamava!

Dei, era a mezzo mondo di distanza da casa!

Bene, questo ti insegni a non seguire i maghi passando attraverso arcate di luce, disse a se stessa, con rabbia. Idiota.

Con la daga in pugno, si unì agli uomini che stavano salendo le scale, e nessuno di essi le prestò la minima attenzione, in quanto erano tutti immersi nei loro piani, nelle loro supposizioni e in sogni di ricchezze sempre più vaste. Due volte alcuni di essi si arrestarono per assumere una posa drammatica e apostrofare i compagni in tono declamatorio, solo per essere spintonati alle spalle e sentirsi apostrofare con esclamazioni come «Muoviti!» oppure «Spostati!» o anche «Non intralciare la Cospirazione!»

I vecchi gradini larghi e logori parevano non finire mai, suddivisi in piccole rampe alternate a pianerottoli da cui partivano altre rampe ancora, e nel salire Narnra sentì aumentare l’umidità, mista ora a filamenti di nebbia che penetravano nell’affollata rampa della scala.

All’improvviso, si ritrovò sotto un portico dalle molteplici colonne, su un molo che si affacciava sulle luci scintillanti e sulle guglie buie di una città di rispettabili dimensioni, protendendosi su una distesa di acqua nebbiosa e puzzolente. Piccoli velieri e imbarcazioni da diporto decorate da lanterne accese beccheggiavano a ridosso del molo, ancorati a pali di metallo dotate di numerosi anelli, che non avevano nulla a che vedere con i massicci piloni d’ancoraggio del Porto di Waterdeep. Quello era il mare, certo… un mare… ma era così diverso da quello della Città degli Splendori!

Un arcuato ponte di pietra collegava la terra su cui lei si trovava a una piccola isola coperta di edifici fatiscenti, con i tetti di ardesia che apparivano pericolanti e le ringhiere tinte di marrone dalla ruggine; su di essa non si vedevano luci di sorta, e neppure su quella che sembrava essere una seconda isola, al di là della prima, dove chiatte semisommerse erano allineate lungo moli in rovina cosparsi di escrementi di uccelli.

D’istinto, Narnra si allontanò dalla calca di uomini che, continuando a chiacchierare, si stavano avviando verso il ponte o in direzione delle imbarcazioni, sulle quali era possibile vedere marinai dall’espressione paziente che attendevano il loro arrivo. Narnra invece si spostò lungo il molo coperto, alla ricerca di un modo per salire in una posizione sopraelevata che le permettesse di guardarsi intorno e di esaminare quel luogo nuovo… ma dove trovarla?

Alle sue spalle, qualcuno cadde nell’acqua con un sonoro sciacquio, seguito da risa ubriache, mentre su una barca vicina qualcun altro approfittava della confusione per tagliare una gola e spingere in mare il cadavere, che Narnra vide scivolare in acqua a testa in giù senza il minimo suono.

Intanto, un terzo uomo accese una lanterna a mano per issare rudemente l’ubriaco caduto in acqua a bordo di un’altra chiatta, e quel chiarore permise a Narnra di vedere bene l’acqua per la prima volta, nel momento in cui le vesti chiare dell’uomo ne emergevano: essa era scura come torba e ancor più puzzolente, adesso che la sua superficie era stata disturbata. Arricciando il naso, la ragazza volse le spalle al mare e s’immobilizzò di colpo.

Fermo in fondo al molo, un gruppo di uomini silenziosi la stava fissando intensamente. Tutti erano vestiti di cuoio scuro, alcuni avevano in mano una spada o una rete da cattura, altri impugnavano piccole balestre di un genere che Narnra aveva avuto modo di vedere anche troppo spesso a Waterdeep. Altri ancora, poi, erano muniti di delicati e affusolati pezzi di legno: bastoni magici!