L’acqua le stava ancora vorticando intorno quando una scarica di luce accecante fendette la nebbia, generando una quantità di urla, poi qualcuno suonò quello che sembrava essere un corno da guerra, e dai punti più disparati una serie di quadrelle di balestra fendette la notte, dardi che ronzavano lungo i moli come calabroni in caccia.
Imprecando, Narnra fuggì senza curarsi di dove stava andando, sapeva solo che voleva allontanarsi da lì.
Ovunque c’erano piccole bande armate di Arpisti e di Maghi della Guerra, e molte delle colonne disposte lungo il molo erano adesso decorate dai corpi accasciati e addormentati di persone dagli abiti eleganti ora laceri e fradici, che erano state legate alle colonne e le une alle altre per i polsi, la gola o le caviglie… presumibilmente da quegli stessi Arpisti che ora le stavano sorvegliando attentamente.
Uno di essi apostrofò Narnra con un grido e si spostò per intercettarla, la spada spianata.
«Mi manda Caladnei!» ringhiò la ragazza. «Togliti di mezzo!»
Prontamente, l’uomo ritrasse la spada e le permise di proseguire.
Il molo però era ormai quasi finito e parecchi Arpisti la stavano osservando, quindi doveva oltrepassare una delle arcate buie. Esse però dovevano dare accesso a una serie di magazzini, e quale missione urgente lei poteva mai avere da assolvere in essi? No, doveva rientrare nelle cantine, non aveva scelta, e la fetida acqua del porto non le offriva un’alternativa perché, a parte il fatto che il suo aspetto non le piaceva per niente, tentare quella via di fuga quando c’erano intorno così tante balestre e tanti maghi capaci di scagliare fulmini avrebbe significato andare incontro a una morte certa. Dunque, la scala di accesso alle cantine si era trovata quasi sulla stessa linea del ponte che non esisteva più, quindi nonostante il fatto che in quell’area non sembrava fossero giunti schizzi d’acqua, quella che aveva davanti doveva essere l’arcata giusta…
«Ah! Un altro ratto che cerca di tornare nella tana!»
Oltre una dozzina di uomini erano raccolti intorno all’imboccatura della scala, impegnati a parlare, e due di essi per poco non l’avevano già trapassata con la spada.
Narnra schivò di lato senza rallentare.
«Ordini di Caladnei!» ribatté, cercando di usare di nuovo il tono secco della matriarca di Waterdeep. «Toglietevi di mezzo!»
«Armeld?» chiese, da sopra la spalla, uno degli uomini che le bloccavano il passo.
«Poco fa stava parlando con la Maga Reale. Lasciatela passare e andate con lei… giusto voi due… per vedere dove va e che cosa fa», ordinò Armeld, poi tornò a girarsi verso gli uomini che gli stavano facendo rapporto, e nel proseguire giù per la scala tallonata dalla sua sgradita scorta, Narnra li sentì riprendere a parlare: «Dozzine di sgradevoli accoltellamenti e annegamenti… credo si sia trattato di regolamenti di conti… abbondanza di sesso e di vino, le solite cose…».
«Ci sono in giro altri maghi, adesso che quell’Idiota-Scaglia-Fulmini è morto?»
«Ce ne dovrebbero essere, ma…»
Qualcuno imprecò nell’oscurità sottostante, dove le lampade erano ora decisamente meno numerose, e nel proseguire la sua corsa, Narnra si allontanò dalla cima delle scale abbastanza da non sentire più le voci nel tempo che quelle imprecazioni impiegarono a spegnersi, insieme al clangore d’acciaio e al gemito soffocato che le avevano prontamente seguite.
«… se l’è squagliata!» disse d’un tratto qualcuno, quasi vicino all’orecchio di Narnra, mentre lei superava a precipizio un angolo e si lanciava giù per la successiva rampa di scale. «Ehi!»
«Fermatela!» scattò un’altra voce, poi si sentì un tonfo sonoro quando qualcuno si parò involontariamente davanti ai due Arpisti che la stavano inseguendo, e i tre uomini rimbalzarono e rotolarono giù per i gradini sulla sua scia in un groviglio rumoroso le cui imprecazioni si trasformarono ben presto in gemiti. Narnra non osò rallentare per guardare cosa fosse successo, ma nello svoltare sul pianerottolo successivo intravide momentaneamente quella che sembrava essere la sagoma di un uomo, delineata dalla luce di una lampada, che stava superando d’un balzo i corpi rotolanti per continuare a inseguirla.
Poi sdrucciolò su qualcosa di viscido… probabilmente sangue… e per poco non cadde a sua volta; invece, andò a sbattere contro il muro con una violenza tale da toglierle il respiro e scivolò dolorosamente lungo la sua superficie fino ad arrestarsi con il respiro affannoso per cercare a tentoni la ringhiera, che non poteva vedere perché laggiù il buio era assoluto, anche se era possibile scorgere molto più in basso il bagliore sobbalzante di alcune torce.
«Bene», commentò con malvagia soddisfazione una voce maschile, scaturendo dall’oscurità, appena sotto di lei, «se sono saliti a bordo di quella barca, adesso devono essere sul fondo di uno dei fetidi canali di Marsember, perché si tratta di quella che…».
«Un momento!» scattò un altro uomo. «Credevo che quello che stava rotolando giù per le scale fosse un cadavere, ma adesso sento ansimare, quindi si tratta di qualcuno che è ancora vivo!»
«Tasta a sinistra», borbottò la prima voce, e mentre si accoccolava su se stessa, bilanciandosi per spiccare un balzo disperato, Narnra sentì dei movimenti furtivi.
Poi una luce divampò sotto di lei, un fioco chiarore magico che scaturiva dal pomo di una daga protesa sopra il centro degli scalini da qualcuno vestito di cuoio scuro e accoccolato a ridosso della parete sulla sua sinistra; un altro uomo era invece accucciato contro il muro di destra, Proprio davanti a lei.
«Una ragazza!» esclamò l’uomo sulla sinistra, in tono sorpreso.
«Mascherata», rispose l’altro, in tono tale da dare l’impressione che portare una maschera fosse il crimine più nefasto che si potesse commettere in Cormyr.
«Siamo dalla stessa parte», annunciò Narnra, in un tono secco che imitava alla perfezione quello di un’irritata nobile matriarca di Waterdeep. «Mi stavo precipitando qua sotto per ordine di Caladnei quando sono scivolata su queste dannate scale.»
«Perché la maschera?»
«Il mio volto non è più molto attraente, signore», ribatté Narnra, con finta amarezza. «Un prezzo del mio fedele servizio.»
«Oh. Capisco. Ah… mi dispiace. Non hai una lampada?»
«No, e neppure il permesso di usarne una. I miei ordini non lo prevedono.»
«Deve trattarsi di Armeld», commentò l’altro, in tono disgustato. «È sempre convinto di essere un nobile guerriero avviato incontro a una fine gloriosa. Passa pure, signora», continuò, facendosi da parte, «ma usa la ringhiera, che attraversa almeno il prossimo pianerottolo. Questi nobili marsembani si sono costruiti dei magazzini dannatamente lussuosi, tanto da indurre a chiedersi che sorta di merci vi riponessero».
«Già, è vero. Signori, vi ringrazio», replicò con cautela l’Ombra di Seta, affrettandosi a proseguire a ridosso della ringhiera.
«No, Thauvas, non è questo il modo», affermò in tono cordiale Senzanome Cormaeril, la punta della sua spada che trapassava di stretta misura la pelle del Mago Rosso, nel punto in cui la gola si congiungeva alla mascella. «Perché voi Thayani rendete sempre le cose così complicate? Affari, sono solo affari, ricordi? Lascia che te lo ripeta, in parole semplici: io ti rivolgo alcune domande e tu mi fornisci altrettante risposte sincere… una cosa a cui non sei abituato, lo so, ma ti garantisco che non fa poi così male, una volta che si è imparato a farlo. Mi riveli qualche piccola verità, io ti lascio andare, e dopo tu avrai tutto il tempo che vorrai per tramare la mia morte… semplice, non credi?»